Sparare o non sparare? Sopravvivere o non sopravvivere? Amleto non sarebbe durato molto nello Sprawl… [Hands-On]
Da che parte va, Dead Space 2? Che sia un bel gioco, a questo punto, è piuttosto chiaro, e ci vorrebbe un improbabile colpo di scena per tramutare quel che abbiamo visto finora in una mezza ciofeca. Resta da stabilire quanto sarà bello (cosa che faremo in fase di recensione), ma soprattutto quale direzione prenderà. Il primo capitolo era un po’ survival horror e un po’ sparatutto in terza persona, e si è trovato nella difficile posizione di essere un successo di critica, quasi a livello di cult, e un mezzo flop di vendite, che ha raggiunto solo gli appassionati hardcore. Electronic Arts ha giustamente investito in un seguito, puntando sulla forza di questo nuovo universo narrativo. Ma Visceral Games? Avrà mantenuto lo spirito del primo episodio, o lo avrà annacquato per renderlo più digeribile al grande pubblico? La risposta non è banale, e per questo abbiamo testato per voi due dei quindici capitoli che comporranno il puzzle finale.
UN PLASMA PER AMICO
Ricordate lo smembramento strategico? Si trattava della meccanica di gioco centrale del primo Dead Space, e obbligava il giocatore a orientare lo sparo per mutilare con scienza i necromorfi di turno. Rimuovendo le parti giuste morivano più in fretta, facendo risparmiare preziosi colpi e magari danneggiando gli altri nemici nelle vicinanze. Un sistema semplice ma geniale, capace di creare un’ulteriore livello di complessità e giocabilità in normali sparatorie, e che si rivelava perfetto per la sintesi tra sparatutto e horror a cui mirava Visceral Games. Squadra che vince non si cambia, ovviamente, e lo smembramento torna in grande stile, con nuove armi, nuovi attacchi secondari e – soprattutto – con nuovi necromorfi, che sommati a quelli vecchi creano situazioni più varie (e, soprattutto, gettano i presupposti per un buon crescendo nella curva di difficoltà). Sparare è bello, appagante, e il level design si presta bene tanto alle sorprese (BU!) quanto alla risoluzione creativa degli scontri tramite i poteri della stasi e della telecinesi.
Tutto funziona alla grande, ed è reso ancor più interessante da un sistema di negozi e potenziamenti, che continuano a svecchiare l’arsenale e a dare nuovi mirabolanti modi per frullare i mostri. Stiamo parlando di miglioramenti palesi alla formula di base delle sparatorie, e siamo pronti a scommettere che chiunque li percepirà sin dai primi minuti di gioco.
Come sempre, però, la vita non regala niente. Se da un lato Dead Space 2 promette di essere uno sparatutto migliore, dall’altro sembra meno agguerrito sul fronte survival horror. Isaac Clarke è più armato, più arrabbiato, più determinato: non è più un cucciolo sperduto capitato suo malgrado in una situazione da incubo. È un eroe deciso a raddrizzare i torti subiti, a vendicare i suoi affetti, e possibilmente a portare a casa la pellaccia. Ci sono ancora momenti di panico e paura, ma è inevitabile notare come l’accento di Dead Space 2 si sia spostato marcatamente verso la sua componente sparatutto, perdendo per strada alcuni dei brividi che abbiamo amato nel primo episodio.
IL RITMO DELLO SPRAWL
Nonostante tutto, però, Dead Space 2 sembra avere tutte le carte in regola per tenerci sulla punta della sedia. È vero che un pizzico di paura si è perso per strada, ma è altrettanto vero che il ritmo e il level design sono di primissima qualità, e rappresentano un ulteriore miglioramento rispetto al debutto della serie. In fase di anteprima abbiamo osservato un gradevole crescendo di difficoltà, ma anche una sapiente distribuzione dei nemici, che mantiene sempre viva la tensione. Ci sono interi corridoi in cui non succede niente, passaggi in cui spunta un mostro a sorpresa, o anche improvvisi assalti di massa. In pratica “succedono cose”, ma sono abbastanza imprevedibili, e obbligano ad affrontare ogni livello con il dovuto rispetto.
La struttura è un filo più lineare di quanto dovrebbe, ma l’uso delle luci fa letteralmente chiudere un occhio sulla magagna. Le sezioni che abbiamo superato usano i chiaroscuri con fare caravaggesco, disegnando gli spazi e creando zone buie funzionali all’estetica e al gameplay. Sono facilmente le migliori luci che ci sia capitato di vedere negli ultimi anni. Lo stesso non si può dire per la grafica, che come tutti i giochi multipiattaforma inizia a soffrire dei limiti delle console, e risulta sostanzialmente uguale a quella di due anni fa.
Nota bene: se a livello tecnico non c’è da strapparsi i capelli, la direzione artistica è ancora una volta superlativa, con spettacolari panorami cyberpunk e spremute di sangue da far rabbrividire Freddy Krueger.