La serie Atelier di Gust ha da sempre rappresentato un’anomalia nel panorama dei giochi di ruolo di stampo giapponese, poiché basata su premesse totalmente agli antipodi di qualsivoglia fantasy epico: una volta tanto, non siamo chiamati a interpretare l’eroe leggendario che deve girare il mondo alla ricerca di potenti alleati per sconfiggere il malvagio imperatore/stregone/demone di turno, bensì il fornitissimo commerciante che si occupa di vendere al gruppo di campioni ogni sorta di arma, armatura e pozione magica necessaria per il buon esito della missione. Il protagonista di ogni titolo è di solito un’energica fanciulla che si diletta con le arti alchemiche e desidera diventare la miglior praticante mai esistita, ragion per cui buona parte del gameplay si incentra sulla raccolta di ricette ed ingredienti e sulla realizzazione di oggetti, filtri magici e incantesimi. Dall’esordio della saga sulla prima console di casa Sony sono trascorsi ormai vent’anni, durante i quali Gust ha rilasciato, sia autonomamente che tramite Koei Tecmo in seguito all’acquizione della compagnia da parte di quest’ultima, decine di episodi suddivisi in universi narrativi distinti (ma a volte correlati fra loro), e questo Atelier Firis: The Alchemist and the Mysterious Journey costituisce la seconda parte della miniserie sottotitolata “Mysterious”, iniziata con il precedente Atelier Sophie: The Alchemist of the Mysterious Book. Gli appassionati sanno cosa aspettarsi in ciascuna iterazione e gli sviluppatori non si sono mai fatti problemi a replicare la medesima formula ogni volta, apportando piccole variazioni qua e là e cercando di restare al passo con l’inevitabile progresso tecnologico: per questo motivo, anche Atelier Firis sfoggia un comparto grafico non proprio all’avanguardia ma gradevole e pastellato, esteticamente simile ad un qualsiasi cartone animato di genere fantastico, un nutrito cast di personaggi scanzonati, un processo di sintesi alchemica semplice da padroneggiare e al tempo stesso accattivante, ed un sistema di combattimento sobrio e lineare. Ciò non significa che non sia presente qualche sporadico tentativo di rinnovamento ma, nel complesso, Firis si propone come uno dei capitoli più convenzionali dell’intera collezione. Nel bene e nel male.

IL NOSTRO SCOPO È TRASMETTERE FELICITÀ ATTRAVERSO L’ALCHIMIA!
Firis Mistlud è una ragazzina che, dal giorno in cui è nata, vive con i suoi genitori e la sorella Liane nel villaggio sotterraneo di Ertona. Con il trascorrere degli anni, ella matura un desiderio sempre più incalzante di spingersi all’avventura nel mondo esterno ma, a causa dei parenti iperprotettivi e della straordinaria capacità di percepire istintivamente la posizione dei giacimenti minerari, che facilita il lavoro degli operai estrattori di Ertona, non le è stato mai concesso di allontanarsi dai confini del borgo. I giorni per lei continuano a scorrere tutti uguali finché una coppia di vecchie conoscenze, Sophie e Plachta dal precedente episodio, non fa esplodere per errore l’ingresso del centro abitato. Sophie spiega a Firis che la bomba utilizzata per la detonazione è stata creata con l’alchimia, e le mostra l’interno della classica officina portatile utilizzata per sintetizzare i materiali raccolti, molto più grande rispetto a come appare da fuori. Firis manifesta da subito una grande affinità per questa nuova arte e, di conseguenza, ne resta incredibilmente affascinata: dopo aver appreso le basi del mestiere dalla coppia di esploratrici, queste ultime le illustrano anche la procedura da seguire per ottenere la licenza ufficiale di alchimista, che prevede il conseguimento di almeno tre lettere di raccomandazione da altrettanti studiosi già accreditati ed un esame finale da svolgere presso la città di Risenburg. Persuasi dall’entusiasmo della fanciulla, alla fine tanto i genitori quanto l’amareggiato capo villaggio si convincono a lasciarla andare, a patto però che venga accompagnata dalla sorella, abile cacciatrice e già avvezza ai pericoli dei territori esterni, e che riesca a guadagnarsi la licenza entro un anno. Niente aspiranti dominatori dell’universo da abbattere, dunque, né minacce ancestrali o inenarrabili cataclismi da sventare: in linea con i titoli che l’hanno preceduto, Atelier Firis prende le distanze dalla drammaticità solenne che caratterizza la narrativa delle grandi produzioni ruolistiche, conferendo al viaggio sia letterale che metaforico della giovane eroina una collocazione di assoluta centralità. Le nuove meccaniche di gioco e, soprattutto, i personaggi ci vengono presentati con una cadenza serrata ma, grazie anche allo stile armonico e vivace, l’atmosfera è sempre rilassata e piacevole, eccezion fatta per un antipatico dettaglio del quale andrò a parlare fra poco. Firis ed i suoi compagni di ventura possiedono personalità e tratti somatici ben definiti, nonché motivazioni specifiche (sebbene alquanto banali, persino rispetto alla media degli scorsi Atelier) riguardanti il loro pellegrinaggio individuale con le quali potremo interagire in varia misura. Tutti elementi inseriti con criterio per non farseli venire a noia durante la scarsa cinquantina di ore richieste per portare a termine le vicende: anzi, fra di essi forse è proprio Firis e, in particolare, il suo tono di voce acuto e stucchevole che qualcuno (ad esempio, il sottoscritto) potrebbe trovare fastidioso, ma per fortuna le conversazioni non sono mai così predominanti da oltrepassare la soglia di tolleranza e, in ogni caso, i puristi possono sempre impostare il giapponese per i dialoghi qualora ne apprezzino maggiormente le sfumature linguistiche. Di ben altra caratura è invece il tempo, che incide in maniera sistematica su buona parte delle peripezie che la ragazza dovrà affrontare: i 365 giorni di tempo vengono infatti scanditi da un contatore ben visibile a schermo, e la durata di ciascuno di essi corrisponde ad una manciata di minuti nel mondo reale, creando un senso di autentica urgenza che contraddice il clima piuttosto sereno della storia. L’alba e il crepuscolo, così come svariati effetti atmosferici, si danno il cambio indipendentemente dalle nostre azioni, presentando un diverso assortimento di mostri e personaggi secondari in base al momento del giorno, fattore essenziale per la risoluzione di alcuni incarichi: ciò che manca spesso, tuttavia, è una chiara indicazione sull’obiettivo da raggiungere, poiché il gioco si limita a fornirci suggerimenti generici circa, ad esempio, un determinato oggetto (il materiale di cui è composto, per dire) ma non ci indirizza verso il luogo dove è possibile recuperarlo, creando situazioni paradossali grazie alle quali alcune missioni vengono completate quasi per caso, dopo aver raggiunto zone che non venivano affatto menzionate nella descrizione delle stesse. Tale seccatura sarebbe anche trascurabile in un contesto privo di limitazioni, ma in Atelier Firis l’orologio è una costante “spada di Damocle” che grava sulle nostre teste e bighellonare senza meta, per quanto non dipenda dalla nostra volontà, può alla lunga rivelarsi deleterio. Come se non bastasse, la resistenza della piccola alchimista viene misurata in Life Points, o LP, con una meccanica analoga a quella vista in Atelier Sophie: quasi ogni azione compiuta, dalla raccolta di componenti alla semplice esplorazione, consuma un certo quantitativo di LP il cui ammontare è proporzionale all’efficacia del nostro operato, specie in battaglia. Il consumo totale di LP ci costringe ad una sosta forzata all’interno dell’equivalente fantasy del TARDIS, ovvero l’atelier che Firis ha ricevuto in dono da Sophie, perciò è consigliabile pianificare una serie di tappe periodiche per recuperare punti e al contempo dilettarsi con la creazione di equipaggiamento e composti alchemici.

Il combattimento viene gestito con una tradizionale sequenza di turni, che migliora l’approccio semi-automatico visto in Sophie senza tuttavia avvicinarsi alle vette raggiunte da Atelier Shallie, Escha & Logy o persino dai due Mana Khemia, nei quali gli scontri erano veloci e coinvolgenti: qui invece i mostri e fino a quattro degli alleati di Firis, che rimane saggiamente nelle retrovie, si alternano a seconda della mossa prescelta e possono accedere all’inventario in maniera autonoma per utilizzare gli oggetti disponibili, laddove in passato questa opzione era un privilegio esclusivo degli alchimisti. Sul lato sinistro dello schermo è presente un indicatore che aumenta con il susseguirsi degli attacchi e, una volta riempito, consente ai compagni di scatenare un assalto combinato: più abilità vengono concatenate, maggiori sono le probabilità che l’ultima sia un colpo particolarmente vigoroso, con danni ed effetti complementari potenziati. Si tratta, per l’appunto, di un sistema molto basilare che soddisfa i suoi intenti senza però offrire alcun incentivo stimolante al giocatore, rischiando così di venire in breve a noia. Di contro, l’aspetto più brillante di Atelier Firis è quello relativo alla sintesi alchemica, che eredita da Sophie il tabellone sul quale è possibile posizionare gli ingredienti: una volta soddisfatti i requisiti della ricetta e scelto il tipo di composto da impiegare, dovremo collocare sullo stesso una serie di nodi che rafforzeranno il risultato finale. Anziché sostituire i calderoni, questa volta potremo utilizzare degli speciali catalizzatori per ottimizzare l’oggetto trasmutato, modificando le dimensioni del pannello che quindi potrà contenere bonus e migliorie supplementari. Il processo è intuitivo e divertente, e rappresenta di gran lunga la parte migliore del titolo, oltretutto richiamabile a piacimento dopo aver invocato l’opificio tascabile in un qualsiasi punto di salvataggio, vero e proprio punto di svolta nella saga. Il rovescio della medaglia è rappresentato, al solito, dal consumo di tempo che anche l’alchimia richiede, ma a tal proposito è doveroso fare una precisazione: una volta ottenuta l’approvazione dei mastri alchimisti e affrontata con successo la valutazione ufficiale, il conto alla rovescia viene rimosso in toto e il mondo di gioco diventa finalmente esplorabile in completa libertà, accordandoci il benestare per concludere le traversie personali dei nostri compagni, come pure il percorso di crescita della stessa alchimista, secondo il ritmo che riterremo più opportuno. Beninteso, nessuna delle sottotrame parallele legate ai comprimari o ai personaggi non giocanti presenta chissà quale spessore narrativo, dunque i meriti più genuini dell’avventura risiedono, come volevasi dimostrare, nel vagabondaggio vero e proprio fra spaziose praterie, distese innevate o tenebrose caverne. In poche parole, Atelier Firis si trasforma di colpo nell’esperienza pseudo open world tranquilla e distensiva che prometteva di essere all’inizio, tenuta fino a questo momento a freno dal seccante prerequisito dell’esame di abilitazione il cui limite temporale, comunque lo si guardi, non ha molto senso di esistere e rischia di fungere da spauracchio per i meno pazienti. La grafica, come già detto, è suggestiva e diversificata al punto giusto, con un gran numero di ambienti che ricreano con dovizia di particolari il senso di meraviglia per la scoperta di una terra ignota agli occhi della giovane Firis, mentre quest’ultima ed i suoi alleati sfoggiano un ricco assortimento di completi. Purtroppo, però, non è esente da occasionali difetti e non di rado il motore tridimensionale viene tradito da cali di frame repentini, caricamenti errati delle texture e fantasiosi “incastri” poligonali ma, nel complesso, la situazione risulta accettabile. Tatsuya Yano torna alle musiche dopo il debutto in Atelier Sophie, componendo una sostanziosa raccolta di tracce che ben si adattano al tema della scoperta dell’ignoto, mentre gli effetti sonori svolgono il loro compito senza infamia e senza lode.