Il solista

Storia di handicap, di caduta e rinascita, di dignità, di redenzione, una di quelle storie che molto piacciono al cinema d’oltremanica (oltretutto si sa che i ruoli da…

Regia: Joe Wright
Cast: Robert Downey Jr; Jamie Foxx; Christine Keener
Distribuzione: Universal
Voto: 65

Storia di handicap, di caduta e rinascita, di dignità, di redenzione, una di quelle storie che molto piacciono al cinema d’oltremanica (oltretutto si sa che i ruoli da handicappato sono ambiti dagli attori, che così possono dimostrare di saper “recitare” per davvero), Il solista (The Soloist) racconta fatti realmente accaduti al noto giornalista del Los Angeles Time Steve Lopez, uomo egocentrico, autoreferenziale, incapace di relazionarsi decentemente col prossimo, separato da una moglie che si rende conto di amare ancora, ma non abbastanza per cambiare. In redazione è il classico cane sciolto, sempre in giro alla ricerca di storie interessanti da raccontare, di personaggi, di casi umani, ma è in un momento di crisi creativa. Scopre un giorno un barbone, un uomo di colore sulla cinquantina, uno dei tanti homeless che in un carrello della spesa si trascinano dietro tutta la loro vita. Ma nel suo carrello l’uomo porta un vecchio violoncello, che suona stupendamente. Affascinato e incuriosito Steve riuscirà pian piano a penetrare la corazza del disagio psichico dell’uomo e scoprirà una triste storia di miseria e incomprensione che aveva portato un giovane ragazzo dotatissimo all’abbandono, al degrado, alla perdita di sé, dalla mitica Juilliard di New York spazzato via via dalla sua malattia sempre più a ovest, per finire come un rifiuto sulla costa della California.

Nell’universo oscuro della sua mente schizofrenica, Nathaniel Ayers non è un personaggio facilmente maneggiabile, situato in quella zona intermedia fra la ragionevolezza e sprazzi di follia, che rendono impossibile fare affidamento su di lui e sulle sue reazioni, e soprattutto non avverte di dover essere “salvato”. Ma Steve, che nella sua deriva clinica intravede più similitudini e inquietanti punti di contatto con la propria deriva esistenziale di quanto vorrebbe, non si arrenderà. Facendone quasi una ragione di vita, concretizzerà per lui il sogno più incredibile, suonare alla Walt Diseny Concert Hall di Los Angeles. Ma il cammino sarà irto di difficoltà e il finale sarà lieto ma non lietissimo, concludendo la narrazione in maniera giustamente poco consolatoria, perché le bacchette magiche esistono solo nelle favole. Steve ne trarrà una lezione di vita che forse lo salverà dal suo diverso tipo di auto-annientamento, dallo spreco definitivo del suo talento, scosso dalla vita gettata al vento del povero Nat, oltre che dall’ambiente tutto degli homeless.

Che si sia un povero ragazzo nero o un affermato professionista, voler correre sempre da soli può risultare nefasto, accettare l’aiuto di chi ci ama, se siamo così fortunati da averlo, può essere cosa saggia e giusta. Uno dei pregi del film, che ha usato come comparse dei veri senzatetto, sta anche nelle interessanti incursioni in un territorio che certo i turisti non visitano quando approdano nella Città degli Angeli, quei luoghi dove pochi eroiche associazioni di volontari cercano di tenere in piedi le strutture che possono aiutare la sterminata quantità di caratteriali personaggi che vagano intorno come zombie, perché il loro ricovero non è certo obbligato. Diverse scene sono infatti ambientate nella Lamp Community, sulla Stanford in zona Skid Row, non molto distante dalla splendente Downtown, dove si trova anche il Pershing Square Park, con la statua di Beethoven. Nella zona è situato anche il gruppo di 200 appartamenti che un gruppo di avvocati di L. A. ha messo disposizione dei bisognosi. Al di là della storia particolare di Nathaniel Ayers, che ha avuto la fortuna, nella sua sventura, di conoscere Lopez e di farsi così conoscere dal mondo (anche se chissà quanto può davvero importargliene), le cifre dei senza tetto negli USA sono impressionanti, si parla di più di 3,5 milioni di persone, di cui il 39% sono bambini, e questi sono dati risalenti a prima dell’ultima feroce crisi che ha cacciato da casa altri sfortunati, dopo la perdita del lavoro. Ogni notte la città di Los Angeles ospita più di 40.000 homeless (in tutta la contea sono circa di 75.000), più del 50% sono afro-americani, ma il resto è costituito da sudamericani e caucasici e il 12 % sono ex militari. Nel periodo in cui è stato girato il film, nella zona di Skid Row gravitavano 8000/11.000 senzatetto, adesso l’amministrazione del sindaco Antonia Villaraigosa, primo ispanico a rivestire questa carica dal 1872, afferma che sono diminuiti a circa 5.000. La maggioranza vuole dormire fuori dai centri di accoglienza, che comunque sono insufficienti, e rifiuta di accettare un sussidio. Naturalmente non hanno assistenza medica, pur essendo afflitti da problemi mentali e handicap vari, oltre che essere in gran parte drogati e alcolisti.

Il Solista è uno di quei film che piacciono molto agli attori, perché danno modo di esibire le loro qualità, ai registi e produttori perché trattano temi civili, handicap, ingiustizie sociali, al pubblico spesso un po’ meno. Proprio il fatto di essere una storia vera ne limita l’universalità, relegandola fra le fiabe a lieto fine che ogni tanto la vita concede a qualcuno, particolarmente sfortunato in precedenza. Infatti, più che il giornalista un po’ viziato e autolesionista, colpisce la figura dello sventurato Nat, che per colpa delle sue umili origini e forse anche del colore della sua pelle, non solo ha sprecato un indubbio talento, ma ha avuto la vita rovinata dalla mancanza di cure adeguate, che sarebbero state concesse ad una persona di diversa classe sociale, evitandogli di finire sulla strada. Downey si conferma ottimo l’attore che può essere in presenza di sceneggiature che gli consentano di mostrarlo, Jamie Foxx, che è anche cantante e musicista, si misura volonterosamente in un ruolo da perdente che per lui è una novità, dai tempi di Ray in cui era il mitico Ray Charles. Christine Keener, sempre sensibile e autentica, interpreta la moglie del giornalista, unico personaggio fortemente romanzato. Splendida la classicheggiante colonna sonora di Dario Marianelli, che si è ispirato a Beethoven, idolo di Ayers. Dirige Joe Wright al suo primo film americano dopo Orgoglio e pregiudizio e Espiazione, su sceneggiatura di Susannah Grant, autrice di Eric Brockovich, mentre la scenografa Sarah Greenwood si è ispirata agli interessanti lavori del fotografo Alfredo Falvo autore del libro fotografico Lost Angels: A Photographic Impression of Skid Row e alle splendide foto di strada di Philip-Lorca diCorcia.
Il film risale al 2008 e la sua uscita è stata più volte rimandata.