Too Old to Die Young Recensione

Too Old to Die Young

Too Old to Die Young | «Il Messico è il futuro: non c’è legge qui, solo sopravvivenza». Potrebbe essere questo il pitch che Nicholas Winding Refn ha adottato per convincere quelli di Amazon a scommettere sulla sua idea, qualche mese fa. Avanziamo questa ipotesi perché l’esordio da autore “seriale” del regista danese sembrerebbe tutto fuorché un viaggio alla ricerca di qualche approdo accomodante. Non che l’intenzione di Refn fosse quella di allestire un format adatto al pubblico televisivo. Durante la presentazione degli episodi centrali della serie, che ha avuto luogo nella patinatissima cornice di Cannes 2019, l’ideatore di Drive è stato abbastanza chiaro in tal senso. E a vedere questo film espanso, che dura circa 13 ore, non si può che ammettere quanto le intenzioni iniziali dell’autore siano concise con l’effettiva realtà dei fatti.

Too Old to Die Young

Il protagonista, Martin.

Too Old to Die Young: un contenitore dalle molteplici entrate

Martin Jones (interpretato dal Miles Teller di Project XWhiplash) è un agente della polizia americana che si è visto uccidere a pochi metri l’amico e collega, durante un turno di notte. La personale vendetta di Martin non può però attendere i tempi di quella giustizia che il suo stesso distintivo dovrebbe rappresentare. Decide quindi di mettersi contro l’intera criminalità organizzata di Los Angeles, facendosi aiutare proprio dal sicario del suo amico (John Hauwkes, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, American Gangster). Dopo The Neon Demon, Nicholas Winding Refn decide di fare sul serio, spingendosi sempre più verso un mondo a trazione anteriore rispetto alle canoniche leggi gravitazionali. Il Refn Cinematic Universe è infatti un ambiente in cui conta più l’immaginario, fatto di led verdi, rossi, viola e di carrellate che si muovono con un ritmo più che blando, piuttosto che l’effettiva tridimensionalità dei personaggi messi in scena. Per molti aspetti To Old to Die Young sembrerebbe un esercizio di stile bello e buono, l’ennesima trovata da parte di un regista che, allo storytelling, ha preferito le più ciniche regole del marketing. Per l’intera durata della serie, scritta assieme al fumettista Ed Brubaker (il “killer” di Captain America), Refn dimostra di volersene infischiare delle canoniche regole di scrittura in tre atti, di esposizione del conflitto, di caratterizzazione dei personaggi. Il suo intento è più quello di sperimentare un contenitore dalle molteplici modalità d’ingresso (e non è casuale che a Cannes siano stati presentati gli episodi 5 e 6), una video installazione da contemplare secondo modi e tempi assolutamente personali.

Luci al neon ovunque

Antieroi al ralenti non lasciano spazio alla morale

Siamo lontani dalle esperienze multi-plot di Black Mirror, ma anche dall’ultima stagione di Twin Peaks. Allo stesso modo di Lynch – ma non con la medesima capacità visionaria – anche Refn vuole raccontare un’America in cui, per sopravvivere, devi farti demone, scendere a patti col nemico, mettere da parte ogni tipo di morale. I personaggi di Too Old to Die Young sono freddi, cinici, spietati. Recitano in maniera distaccata la parte di chi ormai è anestetizzato al dolore, di chi fa dei propri abusi un rito quotidiano. Evadere non serve, sentirsi vivi nemmeno. Nella giungla che è Los Angeles di notte non c’è più posto per i buoni sentimenti. La società è incattivita, al confine tra Stati Uniti e Messico (e questo è un messaggio nemmeno troppo velato alla politica dei muri voluta dalla presidenza Trump). Lasciate ogni speranza voi che entrate.

Too Old to Die Young mantiene integro il pathos lanciato dall’omonimo brano folk di Brother Dege ed in alcuni personaggi ricorda Non è un paese per vecchi dei Fratelli Coen. Di certo l’operazione condotta da Refn ha degli intenti e delle fasi molto interessanti, sia per come è stata concepita l’opera, sia per la sua bellezza estetica. Rimane però molto forte il dubbio relativo al formato che la produzione ha scelto di utilizzare per presentare un prodotto di questo tipo. La divisione della storia in 10 episodi rimanda troppo alla struttura di serie tv canoniche, in cui il legame tra una puntata e l’altra è solitamente quello garantito dal cliffhanger.
Too Old to Die Young è invece qualcosa di totalmente diverso, un lungometraggio che forse non dovrebbe nemmeno essere trattato come materiale streaming.
Questo sembra allora essere un errore distributivo che pregiudica notevolmente la confezione in cui è avvolta la sinossi. E si sa, per Refn la confezione è tutto! 

Gianluca la passione per il cinema la scopre a 4 anni, quando decide che il suo supereroe nella vita sarà sempre e solo Fantozzi. 
Poi però di quella passione sembra dimenticarla fin quando, un giorno, decide di vedere uno dietro l’altro La Dolce Vita di Fellini, Accattone di Pasolini e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Da quel momento non c’è stato verso di farlo smettere di scrivere e parlare di cinema, in radio e su portali online e cartacei. 
Vive a Roma perché più che una città gli sembra un immenso set su cui sono stati girati chilometri e chilometri di pellicola. 
Odia le stampanti.