Jesus Rolls – Quintana è tornato Recensione | Tra le piste da bowling, mentre Drugo (Jeff Bridges), Walter (John Goodman) e Donny (Steve Buscemi) fanno qualche tiro, appare una figura irriverente e affascinante, che prima di lanciare la sua palla, la lecca con trasporto: l’iconico Jesus Quintana, giocatore talentuoso dallo stile irresistibile. Così John Turturro appare ne Il grande Lebowski: una presenza molto marginale, quasi un cameo, che però continua ad essere uno dei personaggi più ricordati del lungometraggio, nonostante i pochi minuti su schermo. Pochi sanno che la figura in questione è stata creata 10 anni prima del film dal suo interprete e che è stata inserita nell’opera come una sorta di fugace visione che ha contribuito sicuramente (almeno in parte) al suo successo e motivo per il quale Turturro ha deciso di dedicargli lo spazio necessario. Da anni si vociferava di un progetto stand-alone sul personaggio e finalmente ha preso vita: l’artista sopracitato ha scritto, diretto, prodotto e interpretato Jesus Rolls – Quintana è tornato, che sarà disponibile nelle sale italiane dal 17 ottobre, distribuito da Europictures. Sarà riuscito il prode atleta pederasta a far breccia nei nostri cuori? Vediamo piano piano come mai il lungometraggio, tra le pre-aperture della Festa del Cinema di Roma (qui tutto il programma), si è rivelato un bluff.
Non se escherza con Jesus.
Jesus Rolls – Quintana è tornato: un road movie dissacrante e surreale
Il nostro eroe, appena uscito dalla galera, si imbarca, insieme al suo amico Petey, in un’avventura completamente priva di logica, che non ha un vero e proprio senso di esistere, se non la ricerca filosofica e poco concreta della libertà. A loro due si aggiunge una compagna d’eccezione, Marie, che completa il trittico dei protagonisti e che diventa il principale interesse amoroso e sessuale di entrambi. Una caratteristica che si percepisce già nei primi minuti del film e che fa comprendere come mai il prodotto è considerato come un remake, a tutti gli effetti, de I santissimi (Les valseuses) di Bertrand Blier del 1974, con alcune licenze poetiche, si intende. Anche il film in questione ha al centro della vicenda un rapporto tra due uomini e una donna, e si ha sempre un Odissea folle e comica alle spalle, condita forse da un umorismo decisamente più impattante della sua versione aggiornata e corretta. Il cast coinvolto, composto principalmente da John Turturro, Bobby Cannavale e Audrey Tautou, ma anche da Jon Hamm, Christoper Walken e Susan Sarandon, cerca di destreggiarsi in una narrazione troppo sconclusionata e senza mordente, e nonostante questa evidente problematica, riesce comunque a risaltare tra più elementi che purtroppo non riescono a funzionare nel modo corretto. È evidente come dietro la sceneggiatura e la regia ci sia la volontà di raccontare una storia sensibile, critica e anticonvenzionale (decisamente attuale), ma purtroppo, quello che rimane, a livello formale, un ottimo concept, non riesce a concretizzarsi con qualcosa di funzionante su schermo. Un esempio lampante sono le gag presenti che hanno (in teoria) il compito di guidare lo spettatore nella costruzione di un ironia solida e ben congegnata, ma che sfociano, nella maggior parte dei casi, in battute becere, volgari e, alcune volte, nemmeno divertenti. Certo, non è tutto da buttare e alcune sequenze fanno sorridere, ma niente di più e i pochi momenti che potrebbero essere davvero toccanti cadono nel dimenticatoio, perché non valorizzati appieno.
Un complicato e disfunzionale triangolo amoroso.
Un viaggio che forse non è mai partito del tutto
Alla base del film, come dicevano poc’anzi, c’è sorta di viaggio interiore dei personaggi principali, che dopo situazioni assurde, sciagure ed incidenti di percorso tentano di crescere, di evolvere e di cambiare. Il problema maggiore è che l’unica che fa parte della riscoperta caratteriale ed emozionale è Marie, che alla fine dell’opera, è la sola che ha una vero e proprio mutamento, mentre, per gli altri due, l’esperienza inizia e si ferma sulla linea di partenza. In effetti, non è nemmeno pienamente corretto dire che Jesus e Petey siano figure statiche (perché alla fine il loro percorso bene o male lo sperimentano), ma la loro fragilità e debolezza non cambia di una virgola dalla sequenza iniziale fino all’ultima. Personaggi che più che partecipare alla storia ne sono delle vittime inconsapevoli e passivamente subiscono lo scorrere degli eventi inesorabilmente. Gli uomini quindi, in questa realizzazione, sono i grandi incompresi, coloro che soffrono più intensamente la loro condizione esistenziale, mentre le donne escono vincitrici. Una lettura sicuramente filosofica, spirituale, per così dire, ma priva di efficacia perché cade continuamente nella banalità, nel luogo comune, nello stereotipo e veramente poche scene riescono effettivamente ad esprimere questo concetto pienamente. Tornando al potere delle donne, sia la figura incarnata da Audrey che la Jean di Susan Sarandon, nonostante sia profondamente diverse, lasciano un segno importante e decisivo all’interno del film, configurandosi come i personaggi meglio scritti e caratterizzati. Siamo quindi in presenza di un lungometraggio con tante buone aspettative, non tutte purtroppo andate a buon fine a livello di messa in scena. Non chiamiamolo spin-off de Il grande Lebowski però: il tutto ha poco da spartire con la creatura dei Coen, eccetto il personaggio del titolo, ovviamente, e l’assenza dei due fratelli cineasti si sente moltissimo, soprattutto la loro particolare ironia che avrebbe sicuramente rinforzato il prodotto.
Jesus Rolls – Quintana è tornato si configura come un’opera che vuole essere alternativa, critica e scomoda fino al midollo, ma che non riesce ad esprimere nel modo corretto il messaggio previsto. La storia, correlata da situazioni al limite del ridicolo e in più occasioni mal collegate fra loro, ci presenta un folle viaggio di tre personaggi principali che cercano la loro libertà interiore. Riusciranno a ottenerla? Alla fine quello che conta non è tanto la meta, ma le tappe percorse e purtroppo, sono in alcuni casi disastrose e imbarazzanti. A salvare in calcio d’angolo la realizzazione due personaggi femminili di spessore e la dichiarazione d’intenti che propone che nonostante non sia stata attuata al meglio, esprime un tentativo (riuscito male) di ironizzare su argomenti piuttosto delicati.