Un tempo, la Terra era illuminata da dieci Soli, che con il loro calore e la loro luce bruciavano il terreno e impedivano il calare della notte. Per questo l’arciere Hou Yi intervenne, e con le sue magiche frecce riuscì ad abbattere nove dei dieci Soli. Grato per la sua impresa, l’imperatore concesse a Yi un elisir che garantiva l’immortalità. Tuttavia l’arciere non lo bevve, e lo dette a sua moglie Chang’e, perché lo custodisse. Yi infatti non desiderava l’immortalità se questo avesse significato perdere l’amata. Quel giorno tuttavia, quando l’arciere uscì a caccia, il suo apprendista Fengmeng cercò di costringere Chang’e a consegnargli l’elisir e lei, per tenerlo al sicuro, lo bevve. Divenuta immortale, la giovane donna fu trascinata verso il cielo, e decise di fermarsi sulla Luna, con la sola compagnia di un coniglio, continuando ad amare il marito, e desiderandolo, ma per sempre separata da lui.
Questa antica leggenda cinese, che sta all’origine della Festa della Luna, è anche l’antefatto di Over the Moon, attesissimo film prodotto dal cinese Pearl Studio e Sony Pictures Imageworks con la collaborazione di Netflix. Scritta da Audrey Wells (Sotto il sole della Toscana), la pellicola è stata diretta da un vero gigante dell’animazione statunitense come Glen Keane, un animatore che vanta sul curriculum titoli come Taron e la pentola magica, Basil l’investigatopo, La sirenetta, Aladdin, La bella e la bestia, Pocahontas, Il pianeta del tesoro e Rapunzel, e che ha vinto anche il premio Oscar con Dear Basketball, la trasposizione animata della lettera d’addio al basket del compianto Kobe Bryant. Uno staff d’eccezione, dunque, per un film partito senza grossi clamori nel lontano 2017, con l’idea di far conoscere al mondo questo mito cinese, romantico e struggente. L’impresa sarà riuscita? È ciò che andiamo subito a vedere.
Over the Moon: un piccolo passo per una bambina…
Fei Fei ha una vita meravigliosa. I suoi genitori sono innamoratissimi, e le fanno vivere le sue giornate tra il profumo dei dolcetti della luna che vendono nel loro negozio di dolci e la brezza che scompiglia l’erba sotto cieli stellati, raccontandole storie e leggende sugli astri, sulla Luna e sulla dea Chang’e. Ma dopo qualche anno la madre di Fei Fei si ammala e muore. Una ferita troppo profonda per la piccola. Quando il Ba Ba di Fei Fei conosce un’altra donna, la bambina decide di costruire un razzo e di raggiungere la Luna per trovare la dea Chang’e, e ricordare a suo padre che “l’amore è eternità“.
Una trama, quella di Over the Moon, che almeno all’inizio non brilla esattamente per originalità. Il tema del legame madre-figlia, quello della perdita di un genitore amato, quello della difficoltà ad accettare che qualcuno di nuovo, di esterno, si inserisca nella famiglia, è qualcosa di ben collaudato nella storia cinematografica, e anzi verrebbe da dire quasi abusato. La scena della presentazione di Fei Fei alla signora Zhong è costruita secondo tutti i cliché possibili e immaginabili, dalla reazione volutamente ottusa della bambina (nei cui occhioni sbarrati sembra di poter leggere “no, non è vero”), al palese imbarazzo del padre, dal gioco di sguardi e piccoli accenni degli adulti, fino alla voce incerta, ai movimenti goffi, alle espressioni affettate di questa donna, che sta entrando a gamba tesa nella vita quotidiana di un’altra famiglia, portandosi dietro, tra l’altro, il bambino più pestifero e fastidioso della storia dell’animazione recente, Chin.
Insomma, fermandoci a una prima visione superficiale, potremmo dire che Over the Moon sia la più classica delle storie, in cui una bambina è incapace di accettare che chi le sta intorno possa rifarsi una vita. Eppure fin dall’inizio si percepisce che c’è anche qualcosa di diverso, spunti ulteriori che potrebbero essere in grado di cambiare il leitmotiv. Si sente, nell’ambiente, uno strano mix di elementi tradizionali, come i negozi tipici o gli Shishi di pietra a guardia del ponte, e innovazione, come nel caso del treno a levitazione magnetica che gli operai stanno costruendo.
Un mix che parla di tensione e cambiamento, di evoluzione, di cose in eterno fluire in cui però non necessariamente il vecchio deve farsi da parte e scomparire in favore del nuovo. Questo è il vero fil rouge della pellicola, la colonna portante dell’intera architettura del film. Persino la decisione di Fei Fei di costruire una navicella spaziale per volare fino alla Luna a raccogliere le prove dell’esistenza di Chang’e è un esempio di questo mix: utilizzare mezzi nuovi, una tecnologia quasi futuristica, diventare una piccola astronauta, per andare a scoprire un mistero antico, una dea lontana, persa nelle nebbie della tradizione, del mito e dell’amorevole ricordo dei racconti materni. Eppure nulla potrebbe preparare Fei Fei a ciò che si trova davanti quando finalmente entra a Lunaria, la città sulla Luna, e incontra Chang’e.
… un balzo enorme per una divinità
Questa recensione dovrebbe essere priva di spoiler, per cui non posso dirvi cosa dovreste aspettarvi quando Chang’e comparirà sullo schermo per la prima volta. Il concetto di “stupore“, tra l’altro, potrebbe non bastare a descrivere le scene surreali che Fei Fei e Chin (che l’ha incoscientemente seguita nel suo viaggio) si troveranno di fronte una volta arrivati da una dea della Luna che non è nemmeno lontanamente simile a quella descritta in racconti e leggende.
La caratterizzazione di Chang’e è un altro di quegli aspetti del film che potremmo definire “classici”. Tramandata dalle storie come una donna gentile e generosa, la dea della Luna sembra più che altro una star del cinema viziatissima, e nemmeno particolarmente cresciuta. Gli unici momenti in cui il personaggio ottiene profondità sono quelli che vedono coinvolto, in qualche modo, l’amato Hou Yi. Per il resto, i suoi isterismi da prima donna e l’umoralità esagerata, pur essendo elementi “da manuale”, la rendono fastidiosa, almeno in una primissima fase. Anche lei però, come Fei Fei, andrà incontro a un processo che la cambia, un processo che passa non solo attraverso la bambina e il suo piccolo accompagnatore Chin, ma anche per tutta quella lunga teoria di personaggi coloratissimi e psichedelici che popolano la città di Lunaria, e sì, anche per quell’essere di difficile definizione che è Gobi.
Gli elementi più scontati di una trama che, al netto di tutte le considerazioni, rimane abbastanza classica e anonima, sono ovviamente Chin, col suo ruolo di catalizzatore di ogni cambiamento positivo in Fei Fei e insieme di improbabile spalla comica, e soprattutto della coniglietta Bungie, talmente tanto esageratamente kawaii che ogni volta che viene inquadrata rischierà di farvi scoppiare a piangere dalla tenerezza. In realtà la sua presenza sarebbe molto importante ai fini della trama, sia per accostare in qualche modo Fei Fei a Chang’e (anche la dea ha un coniglio per amico), sia perché attraverso il suo rapporto con la bambina il processo di crescita viene completato e sublimato. Tutti questi ragionamenti vengono però soffocati da un design palesemente concepito per vendere merchandising e che rimane quasi l’unico aspetto memorabile di un personaggio altrimenti interessante. A raccogliere il testimone c’è comunque l’improbabile Gobi, esserino lunare a metà tra un riccio e un camaleonte, che, con un’amicizia pura e disinteressata e una mezza canzone, si assume l’onore e l’onere di diventare il personaggio più insospettabilmente profondo della pellicola.
Pixar, sei tu?
A livello tecnico in realtà c’è davvero poco da dire: Over the Moon è semplicemente perfetto. I disegni sono sublimi, le animazioni sempre fluide, realistiche e precise. A livello grafico il film non si discosta nemmeno di un millimetro dagli altissimi standard imposti dai maestri di questo genere di opere di animazione, la Pixar. Le animazioni facciali sono di una naturalezza e di un realismo stupefacenti, tanto che persino il regista ne è rimasto affascinato, ripensando alla plasticità e al realismo raggiunto dal viso di Fei Fei durante i primi piani.
Un vero fiore all’occhiello poi, è il cromatismo scatenato di Lunaria. La città sulla Luna è una cacofonia armonica di colori accesi, luminosi, elettrici, praticamente al neon, eppure mai fastidiosi o accecanti. La profusione di luce e colore dell’ambiente mette un’immensa allegria, sposandosi alla perfezione con la rappresentazione di una città che si ispira apertamente alla storica cover dell’album Dark Side of the Moon, dei Pink Floyd, con tutta la sua psicadelia, e agli arditi dipinti di Joan Mirò.
Le musiche, curate da Steven Price (già noto per la colonna sonora di Gravity) sono meravigliosamente adatte alla vicenda, e non hanno nulla da invidiare a quelle di qualsiasi cartone Disney o Pixar. C’è da scommettere che diventeranno immediatamente dei classici, tra le canzoni più amate dai bambini.
In definitiva, Over the Moon è un film godibile, divertente e interessante, dal comparto tecnico assolutamente impeccabile e, al netto di un pochino di prevedibilità, una trama lineare e ben costruita. Ma è soprattutto un film che parla d’amore: d’amore romantico, d’amore filiale, d’amore fraterno e di quell’amore così particolare che ci lega agli amici. E allo stesso tempo ci parla di tristezza, di perdita, di separazione e di crescita. Un film che serve a spiegare come, anche dopo il più grande dei dolori, la vita e l’amore riescano sempre a trovare via e modo, anche nelle forme per noi più imprevedibile. Perché sì, Fei Fei in fondo ha ragione quando grida a un cielo notturno trapunto di stelle che l’Amore è Eternità.