Il mercato cinematografico coreano è uno dei più attivi dell’intera scena mondiale, ormai consacrato sia dalla critica che dal pubblico: uno su tutti, basti pensare allo straordinario successo – culminato con la vittoria di quattro Oscar – di Parasite (2019).
Le produzioni autoctone ormai sono state sdoganate anche all’estero, mettendo in mostra la voglia di osare e di competere con le omologhe hollywoodiane anche in campi ad ampio budget. Space Sweepers, da poco arrivato nel catalogo di Netflix come original, ne è il perfetto esempio, addentrandosi come da tradizione “la dove nessuno è mai giunto prima“, ossia nello spazio profondo.
Ci troviamo infatti davanti ad uno sci-fi in piena regola, con astronavi che volteggiano a spron battuto nella galassia e un manipolo di coraggiosi eroi che si ritrova in mano il destino dell’universo.
Space Sweepers: tutti per uno, uno per tutti
La storia è ambientata nel 2092, futuro nel quale la Terra è ormai diventata pressoché inabitabile. La UTS Corporation, guidata da un ambizioso quanto ambiguo leader, ha costruito una nuova casa orbitante per un selezionato gruppo di individui e il prossimo obiettivo è la colonizzazione di Marte.
Tae-ho, ex comandante della Guardia Spaziale, la bella Jang – con un passato nelle forze speciali – il criminale Tiger Park e il robot Bubs formano la crew di una navicella che raccoglie detriti lasciati alla deriva, non sempre in maniera del tutto legale. I quattro diventeranno involontari protagonisti di un’incredibile avventura dopo essersi imbattuti nella piccola Dorothy, apparentemente una bambina ma in realtà – secondo quando denunciato dalle autorità – una pericolosissima arma di distruzione di massa.
Dopo averla accolta a bordo, i Nostri scopriranno un’incredibile verità e si troveranno a lottare per il destino del pianeta Terra, cercando di sventare un intrigo che potrebbe portare alla morte di milioni di individui.
Eccessi e limiti
Sin dai primi minuti si ha l’impressione dell’approccio estremamente derivativo con il quale Space Sweepers si avvicina al genere. Considerato il primo blockbuster spaziale proveniente dal Paese asiatico, il film cerca di sfruttare formule risapute e di rielaborarle in un’ottica personale, ma il risultato non può dirsi del tutto riuscito.
Se le varie ambientazioni “terrestri” riportano alla mente per geometrie architettoniche quelle del Blade Runner (1982) di Ridley Scott e del classico a cui tutti si ispirano, ossia il Metropolis (1927) di Fritz Lang, con i predominanti effetti speciali a incanalare suggestioni cyberpunk, quando l’azione si sposta tra le stelle la messa in scena risente di alcuni limiti.
Limiti dovuti soprattutto ad una gestione approssimativa delle sequenze action, sì veloci e frenetiche ma mai realmente accattivanti, con solo la resa dei conti finale a mettere un po’ di pepe al comparto visivo e al relativo slancio emozionale.
Nelle due ore e rotti si respira quella voglia di osare per avvicinarsi ad uno spettacolo puro e disinvolto, ma l’eccessiva ridondanza delle dinamiche a bordo delle navicelle ha il fiato corto. Lo stesso si può dire per la gestione dei personaggi, scadente in diversi cliché tipici di certo cinema coreano – dove bene o male, nelle produzioni pensate per il grande pubblico, vi è sempre una bambina da salvare – e appesantita da un’ironia spesso fuori luogo e poco tagliente.
Non è insomma riuscito il botto come con quel Train to Busan (2016) che solo pochi anni fa riuscì ad ergersi quale moderna pietra miliare degli zombie-movie, e Space Sweepers soffre di diverse ingenuità che il pur ottimo cast principale – ingabbiato in figure monodimensionali e dagli sviluppi prevedibili – non riesce a nascondere. La presenza in ruoli secondari di numerosissimi interpreti occidentali di secondo piano sembra poi un inutile orpello: tanto valeva mantenersi filmicamente nazionalisti come nel ben più riuscito epigono cinese The Wandering Earth (2019), anch’esso imperfetto ma ben più deciso nel proprio scopo.
Il regista Jo Sung-hee possiede una visione chiara e precisa, non supportata dai fatti, con le idee che vengono spesso coperte dall’invasivo uso del digitale e dalla diversità di toni e atmosfere che ondeggiano senza il necessario equilibrio nel corso della visione.
Voto: 5.9