Facciamo un po’ di chiarezza per quanti non hanno ancora troppa familiarità con la serie Trails, concepita da Falcom come un ginepraio di giochi di ruolo e archi narrativi interconnessi in maniera più o meno profonda tra loro, che a sua volta fa parte dell’ancor più esteso franchise conosciuto come The Legend of Heroes: questo Trails of Cold Steel IV, che qui analizziamo in versione Switch mentre di quella PS4 abbiamo parlato qualche mese addietro, è il capitolo conclusivo dell’omonima tetralogia, seguito del terzetto di avventure che compongono Trails in the Sky e di Zero/Ao no Kiseki (che non ha mai visto la luce, almeno in via ufficiale, al di fuori del territorio asiatico), ambientata grossomodo durante il medesimo periodo temporale dell’ultima coppia di titoli. I quattro Trails of Cold Steel hanno rappresentato una piccola rivoluzione sia tecnica che romanzesca, in primis per l’utilizzo di un motore grafico interamente tridimensionale e in seconda battuta perché le vicende si svolgono all’interno dell’Impero Ereboniano, una superpotenza espansionista che minaccia da tempo il Regno di Liberl e lo Stato di Crossbell, i due territori nei quali erano ambientate le saghe precedenti. Trails of Cold Steel I e II iniziano nell’anno 1204 del Calendario Septiano, che prende il nome dal credo religioso più diffuso nel continente di Zemuria, e ci vede calzare i panni di Rean Schwarzer, un nuovo studente della prestigiosa Accademia Militare Thors di Erebonia nella città di Trista, eretta in prossimità della capitale imperiale Heimdallr, appena arrivato nella Classe VII dove vengono collocati allievi provenienti sia dalla nobiltà che dal ceto comune. Qui ci ritroveremo alle prese non solo con esami ed esercitazioni pratiche, ma anche con un corpo studentesco fratturato dalle divisioni sociali, con un insegnante ostinato che adotta un approccio non ortodosso all’istruzione e con le nostre stesse insicurezze, mentre in sottofondo l’Impero inizia a stendere la sua morsa sui territori circostanti ed i numerosi conflitti di classe assumono sempre più i connotati di una guerra aperta.
Negli ultimi due episodi, ambientati un anno dopo, i membri originali della Classe VII si sono diplomati ed hanno proseguito ciascuno per la propria strada, con Rean che ha assunto il ruolo di istruttore per una nuova Classe VII, presso la sede secondaria della Thors nella città di Leeves. Anche se di fatto sono diventati agenti di Erebonia, i personaggi si troveranno a scavare fra i terribili segreti della nazione, molti dei quali sono riconducibili al Cancelliere Giliath Osborne, il vero artefice delle mire di conquista dell’Impero. E ci vorranno gli sforzi combinati di Rean, degli ex compagni di accademia, dei suoi studenti e di altri amici, così come di un certo numero di volti familiari, per fermare le ambizioni di Osborne anche se, come da manuale, il nostro valoroso manipolo di eroi scoprirà ben presto che non tutto è come sembra. Nel finale di Trails of Cold Steel III, la situazione si fa pericolosamente spinosa con la tragica dipartita di alcuni compagni, gli effetti della maledizione del Grande Crepuscolo che iniziano a farsi sentire, il continente sull’orlo di una devastante guerra su scala mondiale e il protagonista principale caduto vittima dei suoi stessi poteri: si capisce bene dunque come Trails of Cold Steel IV abbia molte cose da risolvere e aspettative altissime da soddisfare, che Nihon Falcom ha racchiuso in un’epocale girandola di emozioni da oltre 100 ore di gioco garantite, tempo che gli aficionados dell’epopea techno-fantasy ideata dagli autori di Ys saranno oltremodo disposti ad investire.
Trails of Cold Steel IV: sembra ci siano ancora molti segreti nascosti
Come già visto in Trails of Cold Steel II, il IV abbandona di nuovo le atmosfere scolastiche per espandere la storia e il folclore del mondo di gioco tramite un cospicuo quantitativo di missioni che si intrecciano con gli avvenimenti principali: a conti fatti, è necessario completare solo una piccola parte di queste ultime per procedere, ma affrontarle tutte significa vagliare tutte le profonde conseguenze che l’anatema di Erebonia sta infliggendo sul resto della superficie terrestre, senza contare che esplorare le zone anteriormente inaccessibili di Zemuria insieme a luoghi e facce familiari suscita sempre un considerevole richiamo nostalgico. Certo, l’assenza di Rean per buona parte delle fasi iniziali è un po’ disorientante, e magari certe situazioni avrebbero potuto essere gestite in maniera tale da reintrodurlo prima nel cast, ma le dimensioni raggiunte da quest’ultimo hanno reso tale scelta praticamente obbligata: il titolo utilizza infatti queste ore introduttive per concedere a tutti gli affiliati alla nuova Classe VII un po’ di meritato tempo sotto i riflettori, prima di far tornare in scena i veterani. I Punti Legame fanno il loro gradito ritorno, con una svolta interessante: determinati eventi sono contrassegnati con un cuore, stante ad indicare la possibilità di stabilire un vincolo più profondo con il personaggio di turno, e devo ammettere che la capacità degli sceneggiatori di trasformare le cotte adolescenziali in vere e proprie storie d’amore mature si è rivelata davvero encomiabile, soprattutto considerato l’altissimo rischio di farle sfociare nel ridicolo. Inoltre, l’egregio adattamento occidentale aiuta a catturare tutte le sfumature di ogni singola relazione, dagli amori reciprocati a quelli non corrisposti passando per infatuazioni e attaccamenti platonici, inquadrandola nella giusta luce a seconda delle circostanze. Anche in questo caso, parliamo di elementi non fondamentali nell’economia complessiva dell’avventura, ma saltarli a piè pari sarebbe un delitto: questi brevi passaggi contengono alcuni degli attimi più emozionanti del gioco, e contribuiscono a sottolineare la cura riversata nella caratterizzazione degli attori principali. Di contro, una compagnia tanto nutrita si traduce a volte in sequenze eccessivamente prolisse, nelle quali ogni singolo partecipante sembra quasi costretto a dire la propria: per quanto sia comunque un modo per consolidare nella nostra mente i tratti distintivi e caratteriali di ogni individuo, non ho potuto fare a meno di pensare che spesso una sintesi migliore avrebbe giovato non poco all’andamento della storia.
Zemuria è una terra sconfinata, ma per fortuna non dovremo attraversarla soltanto a piedi: i cavalli e le motociclette Orbal del capitolo precedente fanno il loro gradito ritorno e ci consentono di percorrere il continente senza consumare troppe paia di stivali, ma stavolta diventano disponibili solo dopo aver completato le missioni principali di una certa zona invece che non al nostro arrivo. Dato che ci capiterà spesso di tornare sui nostri passi, utilizzare una cavalcatura per svicolare velocemente tra i nemici tornerà utile in svariate occasioni. Altro aspetto rimasto più o meno invariato è l’interfaccia della serie, che presenta qualche piccolo accorgimento qualitativo ma i medesimi difetti cui gli appassionati hanno fatto ormai l’abitudine, come l’assenza di un elenco a parte per i materiali riservati al crafting o le dimensioni ridottissime dei modificatori di stato e delle caratteristiche in combattimento, tutti fattori che purtroppo impediscono di godere appieno della modalità portatile. A proposito di materiali e delle attrezzature che è possibile forgiare con il loro contributo, anche in tal senso l’assortimento davvero ragguardevole di personaggi, sia permanenti che temporanei, rende da subito la loro ricerca una questione di primaria importanza e la scelta della priorità da assegnare a oggetti, potenziamenti e Quarzi potrebbe lasciare interdetti e frastornati, tenendo anche conto che i protagonisti vanno e vengono dal gruppo a seconda delle esigenze di trama, dunque conviene tenere sempre tutti abbastanza allineati in termini di abilità ed esperienza per non rischiare di impegnare ogni energia sullo sviluppo di pochi soggetti che potrebbero venirci preclusi per motivi indipendenti dalla nostra volontà. Se non altro, gli eroi tenuti “in panchina” continuano comunque ad accumulare livelli, benché le loro abilità speciali vengano sbloccate soltanto impiegandoli all’interno del party.
La nostra fazione è pronta a combattere in qualsiasi momento. E tu?
Come accaduto fra i primi due titoli, non ci sono grosse novità da segnalare nel combat-system rispetto a Trails of Cold Steel III, che resta ancorato alla stabile configurazione a turni di sempre. Il gruppo adesso può accumulare fino a sette Brave Point, il che permette di lesinare meno sul loro utilizzo e rende accessibili senza troppe remore anche i Brave Order più costosi. Sono state introdotte alcune prove che consentono di affrontare una serie di mini-boss con formazioni pre-configurate di combattenti, ulteriore incentivo alla maturazione uniforme del gruppo perché le ricompense offrono notevoli migliorie per i Brave Order in termini di costi, durata, funzionalità e bonus alle caratteristiche, dunque è nel nostro interesse riuscire a superare tali battaglie. Ci sono poi i consueti boss opzionali, i Cryptid, che presentano gratificazioni ancor più succose qualora fossimo in grado di tenere testa al loro vigore: cinque Lost Art, ancestrali magie perdute dalla forza sconcertante, che possono essere equipaggiate solo su specifici ARCUS. Per il resto, i combattimenti si svolgono in maniera pressoché identica fin dai tempi del capostipite della saga: l’ordine dei turni viene mostrato a video e la scelta di attacchi o capacità che possono alterare la disposizione temporale dei partecipanti è una delle strategie fondamentali da apprendere per emergere vittoriosi anche dagli scontri più ardui. I nemici possiedono un indicatore aggiuntivo sotto la barra dei punti vita, che diminuisce in proporzione ai colpi ricevuti e alle rispettive debolezze, esaurito il quale vengono storditi e subiscono danni aggiuntivi, oltre a ritardare in modo significativo il proprio turno. Possiamo anche contare sui Super Craft, poteri peculiari che spesso costituiscono l’opzione offensiva più efficace in dotazione ai personaggi, i quali guadagnano un Super Craft aggiuntivo con l’aumentare dei livelli che di solito infligge effetti completamente diversi rispetto al primo. La sfida può essere regolata a piacimento se non siamo impegnati in mischia, fatta eccezione per l’ultimo livello di difficoltà (Nightmare) che deve restare così impostato dall’inizio alla fine, mentre ulteriori agevolazioni provengono dalla facoltà di affrontare l’avventura con il minimo sforzo per quanti vogliono godersi soltanto la storia e di ripetere gli scontri coi boss particolarmente coriacei qualora ci mettano troppo spesso alle corde.
Non mancano certo gli scontri a bordo dei tradizionali robot umanoidi di Trails of Cold Steel, con le Rivalità tra i sette Cavalieri Divini in pieno svolgimento e un esercito di Panzer Soldat potenziati sparsi per tutto il continente. Le tattiche si incentrano sempre sull’identificazione del punto più debole da attaccare durante le varie fasi del combattimento (braccia, corpo o testa), e le vulnerabilità variabili da duello a duello aggiungono un pizzico di incertezza che non guasta mai. Come se non bastasse, anche ai livelli di difficoltà più bassi gli avversari tendono a sfruttare a loro vantaggio le nostre, di debolezze, perciò è consigliabile bilanciare con cura l’utilizzo delle abilità difensive. Il combat-system di Cold Steel è sempre stato fra i più divertenti e frenetici del suo genere, ma le rifiniture che Falcom continua ad apportare con ogni episodio dimostra senza ombra di dubbio la dedizione del team di sviluppo nel perfezionare qualcosa che partiva già da ottime fondamenta. E poi, per quanto le battaglie siano una delle attrattive principali di Trails of Cold Steel IV, troviamo una pletora di attività secondarie nelle quali perdersi: si va dal gioco di carte Vantage Masters (VM per praticità) che aveva già riscosso consensi unanimi negli altri capitoli, e che qui possiede una modalità con cui è possibile continuare a sfidare i contendenti già battuti almeno una volta per accumulare preziose risorse, per passare poi alla cucina, alla pesca, alla raccolta di libri e alla fotografia, tutti passatempi assolutamente non obbligatori che però consentono di guadagnare accessori e cosmetici esclusivi. Per completare la collezione di testi, ricette e foto dovremo imbarcarci spesso in lunghe deviazioni di percorso, ma gran parte di questi collezionabili possono venire acquistati in un secondo momento dal negozio di Jingo (anche se i prezzi non saranno proprio accessibili).
Dobbiamo ancora capire di cosa è capace la flotta nemica
Poiché gli strumenti ARCUS diventano sempre più simili all’equivalente dei cellulari nell’universo di Trails, non poteva mancare un giochino espressamente dedicato a tali dispositivi: Pom! Pom! Party! è una simpatica imitazione di Puyo Puyo che adotta le stesse meccaniche, con blocchi di colori differenti da accorpare in gruppi di tre o più per liberare la nostra plancia e saturare quella del rivale di turno, magari organizzando devastanti combinazioni a catena, è una formula che si rivela sempre fresca e divertente, nonché meritevole del nostro tempo considerate le ricompense materiali che è possibile guadagnare. Il comparto visivo di Trails of Cold Steel IV rimane accattivante anche in questo porting su Switch, mostrando qualche incertezza solo nelle situazioni più concitate e durante l’esecuzione di specifici attacchi, nella fattispecie quelli di personaggi che utilizzano armi a distanza come Alisa, anche se non si tratta di rallentamenti significativi. Il design e i modelli poligonali dei protagonisti sono dettagliatissimi come al solito, e financo i luoghi già visitati nelle trascorse avventure sembrano beneficiare di qualche dettaglio aggiuntivo: per gli aficionados di lunga data, sarà un piacere ammirare finalmente gli eroi di Trails in the Sky e Zero/Ao no Kiseki in 3D, con le fattezze adeguate agli anni trascorsi dalla conclusione delle loro peripezie, mentre sono disponibili costumi, acconciature e ornamenti supplementari, sebbene stavolta gli intermezzi più importanti mostrino i membri del cast con indosso i loro abiti standard, indipendentemente da come li abbiamo agghindati.
La colonna sonora è parimenti apprezzabile, con la sua selezione di tracce ed effetti sonori ereditati dall’intera serie corredata da alcuni inediti. Il doppiaggio, come già menzionato, è ben strutturato in entrambe le lingue e gli attori conferiscono quasi sempre il giusto peso alle parole dei loro avatar virtuali, per quanto alcuni passaggi avrebbero forse meritato maggiore enfasi. Del resto, la narrazione profondamente emotiva del gioco non avrebbe avuto il medesimo impatto se non fosse andata a braccetto con un accompagnamento degno di tale nome, e da questo punto di vista Mitsuo Singa ha svolto un lavoro eccellente, al netto di qualche riff di chitarra sintetizzato che stona un pochino fra le composizioni. Nondimeno, alcuni passaggi restano memorabili anche dopo la conclusione del gioco, e riescono ad infondere un senso di positiva malinconia al pensiero del tempo trascorso su quelle mastodontiche aeronavi con le quali abbiamo solcato i cieli di Zemuria.
Com’è ovvio, Trails of Cold Steel IV non può essere considerato il capitolo dal quale partire se non abbiamo mai giocato un solo titolo di questo arco narrativo, ed è un peccato che non sia possibile giocare l’intera saga sulla stessa console, ma per chi ha vissuto le traversie di Rean Schwarzer e della Classe VII nel corso degli episodi precedenti si tratta del coronamento adeguato di una storia che ha impiegato quasi dieci anni per giungere al termine. Le piccole correzioni di interfaccia e gameplay sono riuscite ad apportare la giusta percentuale di miglioramenti senza guastare quello che già funzionava bene, mentre il racconto che incede con un po’ di lentezza all’inizio prende il volo subito dopo il primo atto e converge in un finale soddisfacente. Adesso non resta che sperare in una remastered dei primi due capitoli per poter godere dell’intero epos anche sulla piccola console ibrida targata Nintendo.