Aspettando Dragon Quest XI, riscopriamo la saga

Quando in Occidente si pensa ai giochi di ruolo dallo stile tipicamente giapponese, il primo nome che viene in mente è quello della longeva saga di Final Fantasy. Questa serie, nata ormai trent’anni fa, ha infatti il merito di aver fatto innamorare anche un altro continente delle storie narrate nei JRPG, grazie soprattutto al successo del leggendario settimo capitolo, uscito sulla prima PlayStation. Da lì in poi, i giochi di ruolo giapponesi sono usciti pian piano dalla nicchia dei titoli per pochi appassionati, diventando un genere sempre più amato dal grande pubblico. Nonostante la fama della saga di Final Fantasy sia enorme anche nella sua patria d’origine, se chiedete a un giapponese quale sia il primo videogioco di ruolo che gli viene in mente, probabilmente vi risponderà Dragon Quest.

La saga, nata originariamente in Enix e pronta per tornare nella sua undicesima iterazione su PC e PlayStation 4, è infatti entrata nel cuore dei nipponici come l’RPG che più adorano in assoluto. Per farvi un esempio, non a caso, la parodia classica presente negli anime (i cartoni animati giapponesi) di un JRPG è sempre basata su elementi propri di Dragon Quest, tanto che nel 2011 è stato mandato in onda anche un drama chiamato Yūsha Yoshihiko (l’Eroe Yoshihiko), che non è altro che una vera e propria parodia di Dragon Quest in cui si prendono in giro i cliché dei JRPG.

Le origini di Dragon Quest

La saga di Dragon Quest nacque dalla mente di Yūji Horii, che vinse un concorso indotto da Enix per giovani sviluppatori nel 1982. Il premio era un viaggio in America, dove Horii scoprì Wizardry e Ultima, due famosi titoli che lo ispirarono per la sua opera originale. Horii coinvolse poi nel progetto il compositore Koichi Sugiyama e il famosissimo mangaka Akira Toriyama, padre di Dragon Ball. Da allora, questo trio ha curato ogni capitolo principale della serie. Il primo Dragon Quest uscì nel 1986 per il Nintendo Famicom e l’MSX, e nei due anni successivi uscirono il secondo e il terzo capitolo, facendo entrare l’opera di Yūji Horii nell’Olimpo dei titoli più venduti e amati in Giappone.

In Occidente, la serie arrivò per la prima volta nel 1989, ma soltanto in America e, per problemi di copyright con l’omonimo gioco di ruolo cartaceo (DragonQuest), con il titolo cambiato in Dragon Warrior. Il ritardo di tre anni fu però fatale per il suo successo. La grafica e le meccaniche di gioco risultarono difatti obsolete, e il titolo dovette inoltre affrontare la pressione della concorrenza di titoli più recenti, fra cui il primo Final Fantasy. Stessa sorte subirono i successivi capitoli, arrivati troppo tardi sui tempi, con il terzo e il quarto approdati già nell’epoca dei 16 bit. L’insuccesso in Occidente arrestò la serie al quarto capitolo e si dovette aspettare l’arrivo del settimo su PSX per rivederlo nuovamente sul suolo americano.

In Europa, la situazione si rivelò persino peggiore. Infatti, il primo titolo di Dragon Quest arrivato ufficialmente fu niente di meno che l’ottavo, su PlayStation 2, tra il 2005 ed il 2006. Fortunatamente, la situazione oggi è cambiata, e attualmente è possibile recuperare tutti i capitoli originali della saga: dal 2014 si possono giocare sullo smartphone i primi storici tre capitoli con grafica migliorata, mentre su DS sono usciti i remake del quarto, quinto e sesto capitolo, con diverse aggiunte e correzioni. Il settimo capitolo è invece arrivato di recente nella sua nuova versione per 3DS, insieme anche all’ottavo, mentre il nono è uscito su Nintendo DS; dunque proprio sulla console per cui era stato creato. Soltanto Dragon Quest X latita da queste parti, ma il decimo capitolo è un po’ una storia a parte, dato che è un MMORPG uscito, almeno in Giappone, per Wii, Wii U e PC, e che esula dalla linea narrativa e dalle meccaniche comuni agli altri episodi; un po’ come i capitoli XI e XIV di Final Fantasy.

La forza della tradizione

La differenza principale fra la saga creata da Yūji Horii e quella di Hironobu Sakaguchi si può dedurre dando un’occhiata agli ultimi capitoli di entrambe. Se guardiamo al quindicesimo capitolo di Final Fantasy, possiamo notare un’evoluzione enorme nella saga, che ha sempre provato a rinnovarsi di gioco in gioco, nella storia e nel gameplay, tanto che sono pochi i punti in comune fra il primo e l’ultimo titolo uscito.
Guardando invece all’imminente undicesimo capitolo di Dragon Quest, vediamo subito, dalla caratterizzazione del mondo di gioco e dei personaggi, quanto questa saga abbia mantenuto invariate alcune caratteristiche sin dal primo episodio. Pensate che in Giappone è uscita anche una versione su Nintendo 3DS (che, stando alle ultime notizie, purtroppo da noi non vedremo mai) uguale a quella dedicata alla PlayStation 4 nei contenuti, ma con la possibilità aggiunta di giocare in 3D sullo schermo superiore e una versione che sembra uscita dall’era dei 16 bit sullo schermo inferiore; questo per farvi capire quanto i giapponesi amino l’aspetto tradizionale del titolo.

Insomma, Dragon Quest è sostanzialmente cambiato nel corso degli anni, ma soltanto nello stretto necessario, mantenendo (quasi) invariati molti aspetti rispetto agli inizi. Per fare un esempio, il protagonista di ogni capitolo è sempre stato muto e privo di un nome ufficiale, in modo tale da far immedesimare il giocatore nell’eroe di turno. I mostri, tutti disegnati da Toriyama con il suo inimitabile stile, sono ormai entrati nell’immaginario comune giapponese, a cominciare dagli Slime: mostriciattoli blu simili a una gelatina che rappresentano da sempre il primo nemico incontrato nell’avventura e che, con il tempo, sono diventati una sorta di mascotte ufficiale del gioco. Anche il gameplay, negli anni, non ha mai subito grossi sconvolgimenti. La base è quella di un RPG classico, con una vasta mappa liberamente esplorabile ed un sistema di combattimento a turni. Più classico di così non si può, si potrebbe pensare, ma i primi capitoli posero le basi per molti altri JRPG, fra cui lo stesso Final Fantasy, che fu influenzato dall’originale Dragon Quest, uscito con un anno di anticipo. Il combat system è ispirato a quello di Wizardry, storica serie di RPG legata da un’allora bizzarra visuale in prima persona.

Questo sistema è rimasto inalterato fino al settimo capitolo, quando cominciamo a vedere per la prima volta i nostri personaggi in azione. Pensate che fino al quinto capitolo non era neppure possibile controllare direttamente, in battaglia, tutti i propri personaggi, dovendoli lasciare all’IA (l’opzione di controllo manuale è stata inserita solo nei remake per smartphone e Nintendo DS). Altra scelta curiosa e molto anacronistica è la possibilità di non poter selezionare il nemico da attaccare direttamente in ogni situazione: se in battaglia dovessero comparire, ad esempio, tre Slime e un altro mostro, potreste decidere di attaccare o il mostro singolo o i tre Slime, considerati come un unico bersaglio; in questo secondo caso, l’attacco sarà indirizzato verso uno dei tre Slime in maniera casuale, senza la possibilità di prenderne di mira uno in particolare.

Hardcore RPG

Dragon Quest è anche considerato uno degli RPG più difficili da giocare, soprattutto nelle versioni originali dei primi capitoli, tant’è che i remake sono stati semplificati sotto molti aspetti. Per fare qualche esempio: in origine, gli unici punti in cui era possibile salvare erano chiese e castelli, e ogni nuovo dungeon rappresentava un enorme rischio per il party, considerando anche l’alto tasso di incontri casuali presenti, per non parlare delle impegnative boss battle, che spesso costringevano il giocatore al grinding selvaggio. L’opzione di fuga da uno scontro raramente funzionava con mostri di pari o maggior livello e, se questa non andava in porto, si subiva un turno extra di attacchi nemici.

Alla morte di un personaggio, questo diventava una bara e bisognava portarlo in una chiesa per farlo resuscitare, spendendo anche una vasta somma di denari. Gli oggetti curativi più potenti scarseggiavano, tanto che in alcuni titoli quelli di resurrezione non si potevano nemmeno comprare, rendendo i pochi trovati preziosissimi. In caso di morte di tutto il party, perlomeno, non c’era il game over, ma si veniva resuscitati nella chiesa più vicina con metà dei soldi accumulati fino ad allora; per questo nel gioco esistevano le banche, così che il giocatore potesse avere sempre qualche soldo da parte in casi particolarmente disperati. Dragon Quest non faceva sconti a nessuno e questo lato hardcore contribuì a donargli un fascino particolare che in Giappone piacque in lungo e in largo.

Una storia sulla fantasia

Ovviamente, uno dei punti più importanti in un RPG è anche la storia, e Dragon Quest ha saputo donarci vicende e personaggi citati ancora oggi nel mondo dei videogiochi. Dal punto di vista dello storytelling, Dragon Quest è probabilmente inferiore a quanto visto in Final Fantasy e in altri JRPG, forti di una narrativa complessa, profonda e ricca di colpi di scena. Il gioco di Yūji Horii, invece, con le sue storie è sempre rimasto nei canoni del fantasy classico, come, ad esempio, con la storia del primissimo titolo, dove troviamo l’eroe che deve salvare la principessa da un drago. Nei capitoli successivi, il canovaccio dell’eroe prescelto che deve lottare per sottrarre il mondo a una minaccia demoniaca si è spesso ripetuto, ma, nonostante ciò possa sembrare banale, va detto che Dragon Quest ha comunque avuto diversi meriti dal punto di vista della trama, anticipando (anche di anni) alcune scelte narrative ritrovate di seguito in altri giochi.

Nel terzo capitolo, ad esempio, il prologo cambiava a seconda di alcune risposte date all’inizio, e che servivano a conferire al nostro eroe statistiche diverse. Inoltre, una volta raggiunto il livello 20, era possibile cambiare classi ai personaggi; questa caratteristica sarebbe tornata anche in Dragon Quest VI, VII e IX. Il quarto capitolo, invece, era diviso in capitoli. In ogni frammento della narrazione avremmo controllato un personaggio diverso, ognuno dei quali controllava un personaggio specifico del nostro futuro party. Uno di questi personaggi, Torneko, era un mercante, dandoci quindi la possibilità di vivere proprio come fossimo uno dei negozianti statici che vediamo sempre in ogni RPG; una scelta originalissima per i tempi. Ancora, nel quinto episodio della saga seguiamo tutta la vita del nostro eroe, potendo scegliere la nostra sposa fra diverse fanciulle e successivamente utilizzare la nostra prole nella storia. Altra interessante aggiunta di Dragon Quest V era la possibilità di usare i mostri nel nostro party, in una sorta di sistema antenato dei Pokémon; questa possibilità divenne popolare e fu riproposta in altri capitoli, tanto da dar vita anche a uno spin-off chiamato Dragon Quest Monsters, anch’esso composto di diversi capitoli.

Al contrario di Final Fantasy, alcuni episodi della saga di Dragon Quest sono legati fra loro; soprattutto i primi tre, conosciuti dai fan come la trilogia di Roto (Erdrik nella versione occidentale), dove il secondo capitolo era un sequel del primo e il terzo, invece, un prequel. Il IV, il V e il VI capitolo sono invece conosciuti come la trilogia di Zenithia, un castello nel cielo presente in tutti e tre questi episodi. In realtà, per stessa ammissione di Horii, narrativamente questi tre capitoli non hanno nessuna connessione, ma i fan hanno voluto comunque creare una sorta di legame sostenuto dal castello presente in tutti e tre.

L’elemento che probabilmente ha reso Dragon Quest la serie di JRPG più amata in Giappone è, però, la fantasia; un elemento non presente fisicamente nel codice del gioco, ma inserito dal giocatore fra un pixel e l’altro. In un tempo in cui l’aspetto grafico era ancora estremamente limitato dalla tecnologia, i giocatori dovevano compensare quanto non vedevano sullo schermo con la loro immaginazione, trovandosi a vivere epiche avventure in un mondo fantasy ampio e ben realizzato, dove non giocavano per conoscere la storia, ma la vivevano in maniera immersiva. Questo connubio fra il titolo e la fantasia del giocatore, stimolata da tanti espedienti, fra cui i meravigliosi disegni di Toriyama presenti nei manuali, hanno fatto innamorare milioni di giocatori in Giappone, rendendo Dragon Quest il JRPG più venduto di tutti i tempi nel Sol levante. In Occidente, data la differenza culturale, abbiamo forse faticato, nei primi tempi, a capire la bellezza di questa saga, ma fortunatamente abbiamo recuperato negli ultimi anni, e ben presto approderà da noi anche l’atteso Dragon Quest XI, che speriamo possa diventare il capitolo che consacrerà Dragon Quest anche in questa parte del mondo.

Di stirpe vichinga, sono conosciuto soprattutto con il soprannome “Shiruz”, tanto che quasi dimentico il mio vero nome. Videogiocatore incallito sin dall’alba dei tempi, adoro il mondo videoludico perché dopo tanto tempo riesce sempre a sorprendermi come la prima volta. Scrivo ormai da diversi anni di questa mia passione per poterla condividere con tutti. Sono uno dei fondatori di Orgoglio Nerd e sono anche appassionato di tutto ciò che riguarda la cultura giapponese e la mitologia (in particolare quella nordica).