Ci sono recensioni apparentemente minori che, invece, sono fondamentali e che, proprio per questo, vengono comunemente sbagliate, e in maniera grossolana. Del resto è facile cadere nel tranello, no? Un titolo vecchio di 30 anni, venduto per un periodo limitato a un prezzo irrisorio, solo in digitale e solo in inglese, privo di extra, di ammennicoli o di altri specchietti per le allodole… ma certo, è il profilo perfetto dell’opera che non sarà correttamente affrontata. Già. Peccato che questo semplice “giochino” sia il capostipite della saga di Fire Emblem, sviluppato da Intelligent Systems per Nintendo, diretto da Keisuke Terasaki e con un certo Gunpei Yokoi come producer, assolutamente inedito in Occidente, considerato il fatto che la riedizione per Nintendo DS (Fire Emblem Shadow Dragon, 2008) è un titolo molto diverso dall’originale. Non solo, quindi, dovremmo trattarlo tutti con il dovuto rispetto, ma abbiamo anche un’aggravante per chi non si dimostra in grado di comprenderlo e valutarlo correttamente: il fatto di conoscere il verdetto della Storia, che ha saputo rettificare sul campo di battaglia quelle originali recensioni che lo avevano snobbato.
Da parte di chi ha portato a termine non solo questo, ma ogni Fire Emblem mai uscito in Occidente, sappiate da subito che Shadow Dragon and the Blade of Light è un capolavoro, un’opera di inestimabile valore che – a patto di non considerare ancora il videogioco come un semplice giocattolo elettronico da comprare “tanto al chilo” – dovrebbe senza alcun dubbio essere presente nella vostra libreria digitale dello Switch. E ora, con l’aiuto di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, vi spiegherò il perché di questa affermazione.
Tesi
Trattandosi di un’opera archetipica, non è difficile illustrare cosa vi troverete di fronte. Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light è l’iniziatore della scuola nipponica dei tattici a turni story-driven con elementi da gioco di ruolo: stante un campo di battaglia, che rappresenta il livello che state affrontando (in totale sono 25, senza missioni opzionali o variazioni sul tema di sorta), voi dovrete muovere, una per una, le vostre unità, fino a raggiungere l’obiettivo finale, cioè conquistare una casella traguardo presidiata dal comandante delle armate nemiche (il boss del livello, se vogliamo ricondurre tale dinamica a un topos videoludico). A seguire, l’intelligenza artificiale (un tempo la CPU del vecchio NES) sposterà le sue milizie, cercando di avere la meglio sulle vostre. Le vostre unità appartengono a classi diverse, che spesso potranno evolvere in classi superiori (non vale per tutte), salgono di livello migliorando le loro caratteristiche e possono portare fino a quattro oggetti, che si deteriorano con l’utilizzo fino a rompersi. La mappa offre aree diverse, che influenzano spostamenti e attacchi, oltre a garantire opportunità speciali (nelle fortezze, ad esempio, si rigenerano alcuni punti vita, tra un turno e l’altro); inoltre, essa presenta negozi e armerie per gli approvvigionamenti, arene per fare esperienza, capanne e villaggi da visitare.
L’ambientazione è un fantasy molto classico, elegante, ispirato e di grande bellezza, dove la storia è motore trainante delle vicende di Marth, eroe di questo primo Fire Emblem, e dei suoi numerosi comprimari, e al termine del gioco saprete cosa ne sarà stato di loro dopo la vostra gloriosa riconquista di un regno perduto. Attenzione, però! Così non sarà per i personaggi che doveste perdere lungo la via, in una o in un’altra missione: essi infatti moriranno, definitivamente e irrimediabilmente, quindi starà a voi valutare se farvene una ragione e tirar dritto (badate: il gioco è impegnativo e punitivo, quindi avere un party di eroi di alto livello e bene addestrati risulterà cruciale, specie nella temibile “mappa 25”) oppure ricominciare da zero il livello in corso, considerato il fatto che non si può salvare nel mezzo di una battaglia se non a patto di uscire dal gioco (sì, il salvataggio serve solo per interrompere una partita e poterla poi riprendere, non si può ricaricare un punto precedente per cambiare strategia). In realtà, in questo port per Switch Nintendo è giunta in vostro soccorso, ma di questo parleremo più avanti. Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light non offre opportunità di gestione di alcun tipo tra una missione e l’altra, quindi tutto il gameplay è distribuito tra le 25 mappe da affrontare in sequenza, per un tempo di gioco complessivo che oscilla tra le 30 e le 50 ore, considerata anche la difficoltà del titolo in questione.
Antitesi
La prima sciocchezza è affrontare e giudicare quest’opera col senno di poi, venendo da Three Houses o comunque dai precedenti capitoli della saga già giocati, dal Game Boy Advance in avanti. Signori, Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light è un titolo del 1990, che ha 30 anni sulle spalle e che, pertanto, appartiene a un’epoca lontanissima. Non si sale a bordo di un’auto d’epoca con l’arrogante ignoranza dell’uomo del futuro, ma con la curiosità e l’amore del cultore dei videogiochi, che è conscio d’essere sul punto di scoprire perché Fire Emblem… è diventato Fire Emblem. Lamentarsi della mancanza di opzioni, opportunità e caratteristiche introdotte in 30 anni di storia della saga è un atto di totale demenza, poiché tutto nacque proprio nel 1990, e proprio da quest’opera: scoprirla nella sua semplicità, nella sua asciutta struttura vincente, è meraviglioso, poiché è un’ingegneria inversa che vi svelerà i perché e i per come di tutto ciò che avete imparato ad amare. Tanto più che tutto funziona alla perfezione, a patto di smettere di fare i bambini viziati e lasciarsi pervadere da Fire Emblem. Pensateci: sarebbe come criticare Grand Theft Auto III per il fatto di non trovare ciò che abbiamo in GTA V. Piuttosto assurdo, non credete?
Altri errori marchiani: far pesare in sede di recensioni considerazioni accessorie sospese tra il mero mercato (delle vacche) e il puro opinionismo (d’accatto). L’opera è uscita in Europa soltanto in digitale. E allora? Per quanto deve andare avanti il feticismo delle confezioni? Per quanto ancora dobbiamo trascinarci tra scatole standard sempre più vuote, uguali e brutte e (finte) “edizioni limitate” per giocatori/collezionisti tanto ricchi quanto gonzi? Basta col culto degli idoli: impariamo ad amare il videogioco per quello che è, non per la glassa dalla quale viene ricoperto! Il discorso vale anche per la mancanza di extra in digitale, quali artwork e altri materiali. D’accordo, possiamo capire che sarebbero stati piacevoli, ma resta qualcosa di totalmente irrilevante ai fini del valore dell’opera: una ricerca in Rete darà molta soddisfazione a chi davvero è bramoso di conoscenza. Gratis.
Ancora: il gioco è solo in inglese. Sì, è vero. Per 30 anni, però, è stato solo in giapponese, totalmente inaccessibile ai più; inoltre, la semplicità del comparto narrativo rende la fruizione di questo primo Fire Emblem assai agevole a tutti coloro che hanno un livello di conoscenza della lingua inglese anche solo sufficiente. Insomma, non trovare il gioco in italiano, per quanto possa infastidire alcuni utenti (lo capiamo e non li colpevolizziamo di certo), non costituisce una barriera per nessuno, credeteci. Infine, la questione della vendita a tempo. Sì, Nintendo a marzo ritirerà il prodotto dallo scaffale virtuale. Giusto? Sbagliato? Francamente me ne infischio, disse qualcuno in Via col vento. Si tratta di scelte di marketing di Nintendo per un prodotto comunque minore, a livello commerciale. Se proprio volete saperlo, a noi avrebbe fatto più piacere che fosse arrivato per restare, dato il suo inestimabile valore culturale e artistico, oltre che di pura piacevolezza, ma non ci sembra sensato che tale scelta del publisher debba entrare nei nostri parametri di valutazione, in sede di recensione.
Un ultimo punto, ma di fondamentale importanza, riguarda le critiche al sistema di “cheat” (perché di questo si tratta, non giriamoci intorno) che è stato inserito in questa versione per Switch del gioco. Premendo il tasto “X”, infatti, potrete in qualsiasi momento far comparire un menu che vi permetterà, oltre che di velocizzare il gioco per ridurre le attese (un po’ come vedere un film a doppia velocità perché è lento: ve lo sconsigliamo fortemente, è assurdo), di “barare” in due modi: primo, potendo creare un singolo salvataggio dal quale ricaricare ogni volta che vorrete; secondo, potendo riavvolgere il gioco e ripartire da uno qualsiasi dei turni precedenti. Inutile dire che tali sistemi sono un radicale hackeraggio del titolo originale: e se il sistema di rewind lo rende già molto meno punitivo, abbreviando di molto le vostre ore di gioco complessive, il salvataggio costituisce un grimaldello per forzare il sistema in modo estremo. Salvate e attaccate, per poi ricaricare all’infinito fino a quando, per caso, non effettuerete un colpo critico. Capite bene che potreste farlo sempre, paradossalmente. D’accordo. Detto questo, criticare l’introduzione di tale menù speciale è assurdo, per il semplice fatto che nessuno vi costringerà mai a utilizzarlo. Anzi, Nintendo è stata saggia, perché questi meccanismi rendono il titolo fruibile, a livelli diversi, a differenti tipologie di pubblico, un atto d’amore verso una serie che senza dubbio merita di essere divulgata e spiegata, specie ora che Fire Emblem Three Houses l’ha resa così popolare, quasi mainstream (senza offesa, s’intende).
Sintesi
Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light è un capolavoro e un pezzo immortale di storia dei videogiochi, senza tanti giri di parole. Quale che sia la ragione per farlo, attribuire a quest’opera una valutazione sufficiente o appena discreta è una castroneria senza appello e senza scusante alcuna. Esteticamente sublime (pensate allo stile degli artwork e all’influenza che avrebbe avuto nel tempo), il titolo di Intelligent Systems si mostra con la grafica del NES nel 1990, ma non temete: come l’americana Infocom (Zork) diceva a inizio anni ’80, il motore grafico più potente è il nostro cervello, sempre pronto a interpolare la grafica su schermo, catapultandoci in un regno fantasy strabiliante, popolato da eroine ed eroi splendidi nella loro grazia; dopo poche decine di minuti, non farete più caso alla grafica retrò di Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light, totalmente presi dalla sua magica atmosfera. Musicalmente, qui nasce il tema di Fire Emblem: davvero dobbiamo aggiungere altro? Realmente? Siamo di fronte a qualcosa che si colloca a fianco di temi quali The Legend of Zelda e Super Mario. Giù il cappello e applausi a scena aperta.
Parliamo poi di un gameplay stratosferico, ma del resto siamo di fronte a uno dei team di sviluppo di maggiore talento della storia dei videogiochi, inoltre con un producer come il mai troppo compianto Yokoi-san. Ricordate: giocando a fondo e procedendo nel gioco capirete come ogni singola scelta, anche quelle minori, sia perfettamente giustificata e sensata, presente per una precisa ragione. Certo, molte situazioni sono ostiche, ed è ovvio che inizialmente sentiremo la mancanza di opzioni che solo successivamente sarebbero state concepite e implementate dal team ma, ehi, quale folle paradosso sarebbe pretendere di trovare in questo gioco funzionalità che questo gioco ha permesso di ideare? Credeteci sulla parola: anche i disagi (pensiamo soprattutto ai negozi e alla gestione degli oggetti) fanno parte del bilanciamento del gameplay di quest’opera, una pietra angolare del game design universale.
Quanto alla storia e ai personaggi, come moltissimi titoli dell’epoca, anche Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light è piuttosto spartano (il termine non è casuale), ma ciò che interviene è la narrazione emergente, che riempie il vuoto presente, in diversa misura, in molti dei personaggi del titolo Nintendo. Le vostre scelte tattiche, i sacrifici e gli atti di eroismo renderanno l’esperienza di gioco unica, anche a livello emotivo. Per chi scrive questa recensione, la “mappa 25” è stata l’equivalente della missione finale di Mass Effect 2, con momenti di intensità che hanno ben pochi eguali. Non male, per un pugno di pixel classe 1990.
Fire Emblem Shadow Dragon and the Blade of Light è finalmente disponibile, dopo ben 30 lunghi anni, in Occidente, tradotto in lingua inglese e scaricabile in digitale su Nintendo Switch, peraltro a un prezzo ridicolo. Siamo al cospetto di un capolavoro assoluto che, nel 1990, ha scritto la storia del Videogioco, inventando un genere che, successivamente, avrebbe regalato opere come Final Fantasy Tactics, Tactics Ogre e mille altre, per non parlare dei successivi capitoli di Fire Emblem. L’opera eccelle in ogni aspetto e, a patto di seguirne il flow senza remare contro in modo anacronistico, è ancora godibilissima, molto più di tanti sopravvalutati titoli contemporanei. Ricordate: la perfezione spesso è più presente nella semplicità che nelle infinite e ridondanti sovrastrutture, sia di design che narrative. E poi, qui non c’è mezzo bug, neppure a cercarlo con il lanternino. Sarà l’aria di Kyoto…