Il lato costosamente gratuito del videogioco

Valorant

Articolo a cura di Domenico Lo Giudice

Come sappiamo l’industria videoludica ha ormai, da tempo, superato cinema e musica raggiungendo numeri da capogiro.

In questi dati troviamo più del 50% del mercato predominato dalla presenza dei dispositivi mobile, i cui contenuti principali si basano su un modello chiamato “Free-to-Play”. Questo modello consiste, fondamentalmente, nel poter scaricare gratuitamente un videogioco, rendendolo alla portata di tutti e giocabile ovunque si voglia. Ovviamente all’interno di questi titoli è presente la possibilità di effettuare acquisti con valuta reale, pagando quindi per aumentare il proprio progresso all’interno del videogioco, ottenere risorse, modificare l’aspetto del proprio personaggio o anche solo per rimuovere le varie pubblicità presenti. Titoli come Pokémon GO, Fortnite, Apex Legends sono stati i successi degli ultimi anni grazie a questo modello, monetizzando su un’enorme scala di giocatori.

Il processo dietro la creazione dei F2P

Dove molti hanno successo, però, altri scompaiono senza lasciare traccia. I giocatori passano molto rapidamente da un videogioco ad un altro, annoiandosi molto velocemente alla ricerca del gioco che gli possa offrire più contenuti. Questi videogiochi, infatti, hanno la necessità di fare soldi molto velocemente, già dai primi 3 giorni. Il rischio quindi di non potercela fare è alto e lo studio dietro dev’essere realizzato in un modo ben specifico, combinando game design e marketing. Infatti i Game Designer progettano questi videogiochi con l’obiettivo di mantenere il giocatore sul videogioco il più a lungo possibile, massimizzando i propri numeri. Non sono quindi tanto importanti quanti download quel titolo raggiunge in quel determinato momento, ma quanti giocatori rimangono a giocare quel titolo. Per questi motivi, spesso e volentieri, queste tipologie di videogiochi non sono ben viste proprio perché il loro unico obiettivo è quello di risucchiare quanti più soldi possibili dagli utenti, senza offrire reali contenuti validi e di spessore. Si ha, quindi, un impianto commerciale molto forte a discapito di quello artistico. Con un’esperienza che ci spinge ad effettuare continue microtransazioni. Con un game design molto ragionato, all’inizio si guadagna tanto reward, tutto è molto facile da ottenere e soltanto dopo tutto si complica, rendendo difficile andare avanti e addirittura divertirsi. Si è costretti perciò a fare acquisti per andare avanti, sono dei veri e propri cavalli di troia. Da questo capiamo che non si possono catalogare in un videogioco fondato su arte e cultura in quanto tutto è messo in ombra da questa macchina commerciale che costringe a spendere soldi.

Non condanniamo tutto a prescindere…

Ovviamente non dobbiamo dimenticare che esistono comunque titoli Free to Play che offrono un contenuto valido e lodevole… come ad esempio Warframe, Valorant, Counter-Strike: Glocal Offensive, Pokemon Unite, in cui il giocatore può tranquillamente videogiocatore anche senza dover spender un singolo centesimo. Tutto, quindi, dipende dalle intenzioni iniziali degli sviluppatori e dal tipo di videogioco che si vuole andare a realizzare. Possiamo quindi individuare due specifiche categorie: “pay-to-entertainment”, il cui contenuto è puramente decorativo, estetico e serve come un modo per i consumatori di personalizzare il gioco in base alle proprie preferenze; e “pay-to-progress” o “pay-to-win”, i contenuti aggiuntivi sono funzionali al gameplay e consentono ai consumatori premium di progredire più velocemente nel gioco, ad esempio migliorando le caratteristiche del loro personaggio in gioco. Il problema sta quindi nel modo e nella forma in cui vengono introdotti i contenuti all’interno dei suddetti titoli. Per comprendere meglio questo concetto dividerò i free-to-play ulteriormente in:

  • Free-to-Play del Lato chiaro
  • Free-to-Play del Lato oscuro

Sicuramente un free-to-play che offre al giocatore un’esperienza godibile senza essere obbligato a spendere soldi, rientra nei free-to-play del lato chiaro. I videogiochi in questione sono titoli come Apex Legends, Lost Ark, Warframe, Counter Strike, Valorant; tutti titoli che mettono ad armi pari chiunque voglia giocare e che offrono contenuti a pagamento puramente estetici, che non fanno la differenza a livello di prestazioni in gioco. Anzi offrono un Level design e una componente artistica notevole e facilmente identificabile.

Al contrario i Free-to-Play del lato oscuro, sono tutti quei titoli, soprattutto facente parti della categoria mobile, che quasi costringono il giocatore ad acquistare valuta di gioco con soldi reali per poter andare avanti. O che addirittura anche in titoli tripla A danno dei vantaggi in-game ai giocatori, permettendo di vincere e ottenere statistiche in più rispetto ad un giocatore che invece decide di non spendere un centesimo. Un esempio potrebbe essere Dungeon Keeper, in cui bisogna scavare per ottenere risorse e in cui il giocatore dovrà attente ore e ore (anche 24 e più) per progredire a meno che non si spenda soldi, oppure Marvel Avengers Alliance dove per sbloccare gli eroi del mondo Marvel i giocatori dovranno per forza di cose pagare, avendo contenuti esclusivamente per chi utilizza valuta reale. Sono, quindi, presenti giochi nel panorama mobile che potrebbero essere paragonati a dei veri e propri “giochi succhia soldi”, che ingannano l’utente nelle parti iniziali offrendogli molte ricompense e un apparente progresso rapido, per poi piazzare davanti un muro talmente alto, da poter essere sorpassato soltanto se abbattuto attraverso micro transazioni con soldi reali.

L’importante è saper distinguere

Se è vero quindi che il videogioco come opera interattiva è un concetto ed una battaglia che stiamo portando avanti da anni, di cui dobbiamo difendere la sua componente culturale e storica, dobbiamo a maggior ragione combattere e condannare queste tipologie di giochi. In quanto non fanno altro che infangare il concetto stesso di opera, incarnando in tutto e per tutto un cavallo di Troia, dove al suo interno è contenuta soltanto la voglia di fare e succhiare soldi a discapito della creatività e della cultura. Un lato che mette in ombra il nome stesso di opera interattiva e su cui si fa leva per smuovere attacchi, anche violenti, contro il videogioco stesso. Accusandolo di violenza, ossessione, o addirittura paragonarlo alla droga. Dobbiamo quindi combattere e saper distinguere quei prodotti creati unicamente con scopo di lucro, identificandoli e allontanandoli dal concetto stesso di videogioco, in quanto portatori di negatività e diffamazione.

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