Ghostbusters: The Video Game

Flussi cinematografici e videoludici s’incrociano pericolosamente, catturando lo spirito dei film in un gameplay tutt’altro che fantasma.

Diciamo subito la verità: Terminal Reality ha guardato in faccia la realtà, portando a termine un progetto pieno di insidie nel migliore dei modi, o quasi. Insidie esterne, quali gli innumerevoli passaggi di publisher e distributori subiti da Ghostbusters: The Video Game prima della sua pubblicazione in versione PS3 (esclusiva temporanea, almeno qui in Europa). Insidie interne, come l’obbligata ritrattazione parziale di azzardate dichiarazioni precedenti da parte degli stessi sviluppatori sulla supposta superiorità di una versione PS3 poi rivelatasi limitata in termini di risoluzione grafica rispetto a quella Xbox. Ma soprattutto insidie storicamente insite in una trasposizione videoludica di un’opera cinematografica dal carisma immenso quale quella rappresentata dalle avventure sul grande schermo dei mitici Acchiappafantasmi.

Merito innanzitutto degli stessi Acchiappafantasmi originali, ai quali il giocatore si affianca nei panni di un non altrettanto logorroico e carismatico quinto Ghostbuster. Presenti al gran completo in versione digitale e vocale – sia in lingua originale sia, con qualche giustificata eccezione, nel doppiaggio italiano – Hudson, Murray e (in prima persona) Aykroyd e Ramis hanno acchiappato da subito il toro per le corna, stendendo un sceneggiatura degna di un film vero e proprio, soprattutto a livello di dialoghi d’intermezzo e siparietti comici più che in termini di coerenza narrativa. Anzi, il sacrificio parziale di quest’ultima a favore di una serie di situazioni “fantasmatiche” e manifestazioni ectoplasmatiche spiritualmente (e spesso materialmente) legate a quelle del primo, indimenticabile lungometraggio non fa altro che donare insperata varietà a Ghostbusters: The Video Game. Una varietà narrativa e scenografica perfettamente supportata da un gameplay videoludico intelligentemente progressivo e fantasioso nell’utilizzo dell’arsenale a disposizione dei giocatori. Avanzando nel gioco, l’impostazione da classico sparatutto in terza persona lascia infatti ampio spazio a soluzioni balistiche e fisiche di intense “cacce al fantasma” e di elementari enigmi ectoplasmatici molto meno scontate di quanto ci si poteva aspettare.

Roba di questo tipo, per intenderci: classici flussi energetici, con cui catturare i fantasmi, indebolirli sbatacchiandoli contro gli elementi dello scenario (spesso distruttibili) e infine convogliarli a forza nelle storiche trappole a scatto; vischiosi lacci melmosi, da sparare collegando i due capi dell’elastico così formato agli oggetti che si vogliono avvicinare o fare sbattere (nemici compresi); rivelatori di presenze spiritiche, da utilizzare in prima persona per scovare tracce e presenze ectoplasmatiche senza troppa fatica (anche per “colpa” di livelli piuttosto lineari nella loro esplorazione); e, in generale, accrocchiati zaini protonici, capaci non solo di caricare l’arsenale (comprendente anche varianti delle classiche sputafuoco), ma anche di ospitare a mo’ d’interfaccia grafica gli indicatori essenziali per il gameplay, come quello relativo alla carica delle armi e alla salute del giocatore. Peccato solo per una Ecto-1, l’iconica ambulanza degli Acchiappafantasmi, che non può essere pilotata personalmente, ma solo sfruttata come mega-trappola ambulante (anzi, ambulanza!) per far canestro coi fantasmi più ostici, da soli o in compagnia. Se la cooperazione nella cattura rappresenta a tutti gli effetti il motto dei Ghostbusters anche nel gioco, a maggior ragione lo è quando la si affronta insieme ad altri tre giocatori umani nella mezza dozzina di modalità multigiocatore previste in alternativa alla campagna principale (non solo cooperative, in realtà, ma pure competitive).

Se abbiamo già accennato alla in fondo comprensibile linearità dei livelli, alla perdonabile assenza di fasi di guida e all’impalpabile carisma dell’alter-ego del giocatore, c’è solo un vero fantasma in grado potenzialmente di spaventare i potenziali giocatori della versione PS3 di Ghostbusters: The Video Game. Un fantasmino cocciuto che, come già accaduto in passato in altre manifestazioni videoludiche, stende il suo slavato telo sulla risoluzione nativa delle texture del gioco, rendendole meno definite di quelle che vedremo offerte dalla concorrenza. Questioni di memoria, parrebbe, anche se noi abbiamo memoria di ormai un’infinità di altri giochi multipiattaforma lasciati finalmente in pace da tale ectoplasmatico fastidio. Solo un fastidio, in effetti, considerato che per il resto l’impianto tecnico di Ghostbusters non presta il fianco a critiche particolari, offrendo un’ottima integrazione grafico-fisica tra scenari poligonalmente complessi, ambienti e arredamenti distruttibili, personaggi ed entità ben caratterizzati e coloratissimi effetti speciali. E comunque sia, per chi non si fa spaventare dal fantasma “texturino” di fronte a una licenza così golosamente sfruttata, per chi è fieramente in grado di affermare senza aspettare (o importare…) “I ain’t afraid of no ghosts”, in questo momento c’è solo una risposta possibile alla domanda videoludica “Who ya gonna call?”. Rispondete, e non ve ne pentirete.