Alien Isolation – Recensione

Alien Isolation

Il titolo di Creative Assembly ha già un paio di primati, ancor prima della sua uscita: Alien Isolation è il primo videogame moderno a ispirarsi direttamente al film di Scott, dopo decenni di supremazia action a base di Pulse Rifle e Marine Coloniali, ed è anche il primo vero blockbusters a sposare la causa dei survival horror più estremi, dove ci si muove praticamente inermi, nel territorio di incubi come Penumbra, Amnesia: The Dark Descent e Outlast. La lezione di altri videogame – c’è anche quella di Dead Space, ben in evidenza – è stata profondamente rielaborata fino a diventare un organismo autonomo, più vario di alcuni dei suoi modelli e scrupolosissimo sul piano dell’ispirazione: Alien Isolation è costruito passo dopo passo sui canoni del film del 1978, e ciò riguarda anche l’uso selettivo delle caratteristiche di gameplay, dosate e riprogettate per restituire precisissime sensazioni.
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LA MIGLIOR DIFESA È LA FUGA

Per andare relativamente vicini all’idea di Alien Isolation, immaginate una sorta di Dead Space in una rigorosa visuale in soggettiva, con i dispositivi che fanno da save-point posti a una certa distanza l’uno dall’altro, e le aree più grandi della Sevastopoli, l’enorme spazioporto che fa da sfondo al gioco, connesse tra loro da una serie di ascensori e navette automatizzate; come nei giochi di Visceral Games, inoltre, armi e strumenti vengono resi disponibili in snodi specifici della trama, per confrontarsi con minacce sempre più pericolose, accedere ad aree precedentemente bloccate e rinvenire importantissime scorciatoie, all’interno di un enorme complesso spaziale.

Quando si tratta di combattere, però, l’Amanda Ripley di Alien Isolation è ancora più vulnerabile di Isaac: per prendere la mira con pistola, shotgun o lanciafiamme è necessario tenere premuto un tasto, e comunque avrete speranze di uccidere solo i nemici umani e i “sintetici”, mentre l’alieno sarà ben lieto di masticare i vostri proiettili; la stessa pistola va ricaricata un colpo per volta, con conseguente necessità di tenere sempre sott’occhio il tamburo dell’arma, per evitare brutte sorprese nei momenti meno opportuni.

Alien IsolationAssai convincente è la caratterizzazione degli Androidi Zeta, fondamentali per la porzione centrale della campagna: nel preciso universo della saga, non tutti i robot antropomorfi hanno la necessità di mimetizzarsi fra gli uomini, come Ash sulla Nostromo, e i sintetici della Sevastopoli sono progettati in un’ottica di massa, con funzioni di supporto, movimenti meno umani e un economico rivestimento in gomma, che gli dona un’inquietante aura di impassibilità (come quella di Michael Myers di Halloween, per intendersi, o come i poliziotti di THX 1138).

[quotesx]Il livello di difficoltà di Alien Isolation è più che elevato[/quotesx]Non mancano particolari meno verosimili, peraltro giustificati da esigenze di gameplay: l’alieno si muove in condotti differenti, rispetto ai tubi di servizio sfruttati dalla protagonista, ed è sostanzialmente invulnerabile alle armi da fuoco, compresi shotgun e lanciafiamme. Anche il robusto meccanismo di crafting è costruito su ragioni sostanzialmente ludiche, per rendere più varia l’esperienza, ma risulta molto ben diversificato negli effetti di proiettili, fuoco ed elettricità sui nemici, e così nell’efficacia degli ordigni su umani o androidi. Persino l’uso dei Quick Time Event trova una collocazione inusitatamente precisa nel gameplay di Alien Isolation: per usare futuribili fiamme ossidriche, oppure per attivare determinati meccanismi, è necessario eseguire una sequenza di comandi “contestuali” (freccia o stick analogico verso il basso, per tirare una leva nella stessa direzione) con il mouse o il pad, perdendo secondi preziosi che ci potrebbero costare, nel caso più estremo, una coda chitinosa infilzata nella schiena. Tutti questi elementi vanno a delineare un livello di difficoltà già piuttosto elevato, complici la notevole distanza tra alcuni savepoint, la precisione di tiro degli umani e la grande resistenza degli androidi. Ma il bello, ovviamente, deve ancora arrivare.

IL CERVELLO DI UNO XENOMORFO

Se gli umani e gli androidi si affidano a IA relativamente semplici, comunque implacabili nella velocità di reazione e nella distanza di rilevamento, l’alieno di Alien Isolation può contare su soluzioni davvero sfaccettate: lo xenomorfo sente la nostra presenza se ci fermiamo troppo in un punto – simulando un olfatto da animale feroce (non chiedetemi dove sono le narici) – ed esplora le ambientazioni in modo insidiosamente libero, senza script, cosa che porta il giocatore a spostarsi spesso e a non abusare dei nascondigli; purtroppo per noi, l’alieno ha anche la capacità di scorgerci con la coda dell’occhio (stesso discorso delle narici) se ci sporgiamo da un angolo, voltandosi immediatamente per indagare e, eventualmente, per partire alla carica. La presenza “fisica” dell’alieno emerge anche dai suoi movimenti, in un puntino verde sul celebre sonar, mentre sfrutta la rete di cunicoli sopra la nostra testa e produce rumori che è bene imparare subito a riconoscere.

Alien Isolation[quotedx]L’alieno può contare su soluzioni davvero sfaccettate[/quotedx]Il fuoco è in grado di allontanarlo, ma non in tutti i casi: l’alieno può “decidere” di scappare in un pertugio, ma anche di attaccare senza pietà nel caso si trovi chiuso in un angolo, con conseguenze quasi sempre fatali. A differenza di quanto può accadere in Outlast, oppure in Amnesia, la velocità del mostro di Alien Isolation è assolutamente fulminea e concede qualche minima possibilità di scampo solo a grande distanza, dalla quale la creatura può comunque riuscire a scorgerci. E la tensione può diventare vero terrore in qualsiasi momento, per la violenza degli agguati e per ragioni squisitamente ludiche: la vita diventa molto preziosa, quando il checkpoint è dall’altra parte dell’astronave.

IN RICORDO DELLA NOSTROMO

Tra i difetti di Alien Isolation, la legnosità delle animazioni scriptate è uno dei più evidenti e riconoscibili, tra i pochi nei di una realizzazione grafica peraltro curatissima; la godibilità della parte conclusiva, invece, è intimamente connessa al vostro amore per il film, quando la posizione degli obiettivi vi costringerà a un eccesso di backtracking e la mappa diventerà fin troppo labirintica e ripetitiva (a lato dell’indicatore d’obiettivo apposto sul sonar, per lenire un level design piuttosto intricato), con uno spettacolo magnifico ma anche con diverse ridondanze a livello di gameplay. Anche la trama, con Amanda Ripley che cerca di scoprire la verità sulla sorte della madre, è sostanzialmente riuscita ma risente dell’innaturale dilatazione del finale, in quasi quindici ore di gameplay che avrebbero potuto diventare dieci, magari con personaggi di contorno meno numerosi ma più incisivi.

Alien IsolationD’altra parte, gli scenari di Alien Isolation offrono la migliore rappresentazione dell’universo di Alien che si sia mai vista in un videogioco: la vicinanza al film del 1978 è impressionante e pervade ogni dettaglio, dai minigiochi per l’hacking fino alle tastiere e alle levette sulle consolle di comando, passando dalle celebri tute spaziali create da Moebius e dalle vertiginose invenzioni visive di Hans Ruedi Giger. E le notizie buone non finiscono qui, perché Alien Isolation presenta una qualità grafica molto elevata e la fa pesare pochissimo sul frame rate (100/120 FpS di media, quasi 60 fps in stereoscopia, con una 780 GTX), sfruttando la ridotta dimensione degli scenari per arrivare prossimo alla resa estetica di una tech demo. L’audio non è da meno, con ottime musiche dinamiche, a sottolineare lo stato di allerta dei nemici, uno strepitoso campionamento dei rumori e stralci della colonna sonora originale, per contornare ambientazioni dal valore addirittura mitologico. Per quel che mi riguarda, il gioco definitivo su Alien.