Ci sono giochi che metti via una volta raggiunti i titoli di coda. Altri, invece, li tiri fuori di tanto in tanto per farli vedere agli amici, o per giocare online, mirando a quell’ultimo trofeo. Poi c’è Out Run. Lì, nell’Olimpo, specchio binario di quell’estate del 1986, del cabinato gigantesco, di un modo di fare videogiochi che non esiste più, di Yu Suzuki allo zenith del suo talento creativo. Giocabilità ammaliante e veloce da vivere al ritmo di cinquecento lire alla volta, prima che US Gold traghettasse l’esperienza sui sistemi casalinghi fraintendendo il messaggio di fondo, trasformando una Testarossa in una Duna come se niente fosse. Perché Out Run va amato, prima ancora di essere convertito: non è solo questione di tecnica, di muscoli silicei tesi al limite in quella coppia di MC68000 a 12.5 Mhz; è questione di stile, di accostamenti cromatici e sensoriali, dell’amalgamarsi di musica, sensazioni e grafica, in una formula tale da sfondare prepotentemente la quarta parete e sbattere al volante a fianco di quella petulante bionda chiunque fosse entrato in sintonia con la visione di Suzuki.
In questo modo è l’atmosfera a farla da padrona: dalla partenza sull’asfalto rovente della soleggiata Coconut Beach fino alla schermata degli high score, cullati dalla rilassante Last Wave, il gioco ha saputo ispirare un feeling estivo e spensierato, entrando senza fatica nella cultura popolare di quegli anni. Molti dei cabinati originali giapponesi avevano la leva del cambio rotta a causa del famigerato gear gacha, trucco documentato all’epoca sulla rivista Gamest (un rapido alternare delle due marce del cambio per ottenere un’accelerazione efficace anche fuori dalla pista), simbolo dell’incredibile dedizione dei fan. E quello che oggi abbiamo tra le mani sul 3DS ha del miracoloso e commovente, in egual misura.
GENTLEMEN, START YOUR ENGINES
Mai avrei creduto di poter godere di una replica (quasi) perfetta di uno dei coin-op simbolo dell’epoca d’oro su una console portatile, da giocare in qualsiasi momento e ovunque. Quasi, perché lo sprite principale è cambiato, cosa che magari avrete notato già nel 2001, giocando a Shenmue. Niente cavallino rampante quindi, sostituito da un’aquila, ma il resto del gioco è al suo posto, assieme a una ricchissima dose di extra. A partire ovviamente dall’effetto 3D, particolarmente riuscito e efficace, specialmente nei paesaggi più “affollati” come Gateway o Cloudy Mountain, con elementi paesaggistici e atmosferici che bucano lo schermo a tutta velocità. Riesce davvero a donare quel qualcosa in più senza scendere a compromessi per quanto riguarda la fluidità e, una volta provato, è davvero difficile tornare indietro.
Poi c’è tutto il corredo che magari avete già apprezzato nelle precedenti riedizioni tridimensionali dei classici SEGA, come le diverse modalità di visualizzazione tra cui spicca lo pseudo-inutile (ma ugualmente carismatico) punto di vista dal seggiolino del coin op originale, con tanto di schermo oscillante e finti rumori idraulici in sottofondo. La finestra di gioco è ridotta e passerete presto a visuali ben più godibili, ma è il mezzo ideale per rivivere l’atmosfere delle sale giochi, senza i gufi che ti spiegano come battere il primo boss di Shinobi o i tamarri che chiedono se “c’hai cento lire”. È possibile scegliere il livello di difficoltà, il limite di tempo, il layout delle tappe (differente tra la versione giapponese e occidentale del coin-op), salvare e rivedere i replay nonché personalizzare l’aspetto del bolide, questo grazie a opzioni di customizzazione sbloccabili dopo ogni vittoria, che permetteranno di variare il colore e la carrozzeria dello sprite principale.
DOVE STIAMO ANDANDO NON C’È BISOGNO DI STRADE
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Retrotrivia
Per creare Out Run, il suo titolo più famoso, Suzuki e il suo team effettuarono un viaggio sulle strade dell’Europa, partendo da Francoforte. Sebbene la fonte d’ispirazione fosse il film The Cannonball Run con Burt Reynolds, Suzuki scelse i mutevoli scenari europei al posto di quelli americani, da lui ritenuti eccessivamente monotoni. Durante una sosta a Montecarlo venne fulminato dalla visione di una Ferrari Testarossa e decise che quella sarebbe dovuta essere a tutti i costi la protagonista del gioco. Tuttavia, in otto mesi di lavoro Suzuki-San e il suo team non riuscirono neppure a inserire in Out Run tutto quello che avevano immaginato, nella fattispecie scene di intermezzo e potenziamenti da acquisire tra un livello e l’altro, il tutto scegliendo tra vari bolidi: questi obiettivi vennero successivamente raggiunti da alcuni seguiti del gioco, ovvero Turbo Out Run (1989) e Outrunners (1992).[/box_articoli]È facile: giocando si conquistano quattro parti che modificano anche il comportamento del veicolo, oltre all’aspetto: i pneumatici aumentano l’aderenza, i paraurti diminuiscono la perdita di velocità in seguito a un tamponamento, il motore spinge l’auto oltre i 350 chilomentri all’ora mentre lo sterzo migliora la tenuta in curva. Queste possono essere attivate tutte assieme o una alla volta. Anche sotto il fronte audio le opzioni abbondano, dall’equalizzatore con cui elaborare i brani all’intensità del suono del motore; sono inoltre presenti due nuove tracce, Cruising Line e Camino a mi Amor, rispettivamente scritte da di Manabu Namkiki e Jane Evelyn Nisperos. Sì, la mancanza del logo Ferrari è un colpo da incassare per chi è cresciuto con il coin-op, specie dopo l’overdose di bolidi targati Maranello visti in Out Run 2, ma il gioco è lì, tra le vostre mani, più bello che mai, e difficilmente ne giocherete una versione migliore, così ricca di contenuti e extra.
Perché, riallacciandoci al discorso iniziale, Out Run è eterno, lo si rigioca sempre volentieri e viene definitivamente consacrato sul 3DS grazie a sessanta granitici fotogrammi al secondo, che fissano severamente la (bellissima) versione Saturn, facendole capire che è ora di passare il testimone. Se poi in futuro lo giocherete con i vostri figli e nipoti, allora tanto meglio. Non vi prenderanno in giro perché il parafango dell’auto non è composto da diecimila poligoni, almeno non credo. Sono piuttosto convinto che invece si godranno la sensazione di velocità e spensieratezza, così come noi ce la siamo goduta nel 1986, in quella sala giochi che non esiste più. Sì, 3D Out Run su 3DS è una macchina del tempo portatile: la migliore, se avete vissuto quegli anni. Del resto una Testarossa batte una DeLorean quando vuole. Da ferma, senza neppure inserire le chiavi nel cruscotto.