Ho creduto fino alla fine alla possibilità che NERO riuscisse a ritagliarsi una fetta importante di interesse nel panorama dei videogiochi indie su Xbox One, e non solo per il fatto di conoscere personalmente qualcuno all’interno del team di Storm in a Teacup, lo sviluppatore tutto italiano fondato un paio di anni fa e di cui NERO rappresenta il vero e proprio apripista. Purtroppo, alla prova dei fatti quello che abbiamo tra le mani oggi è un titolo ben lontano da quello che speravamo di giocare, e probabilmente perfino assai diverso da quanto avevano in mente all’inizio della loro avventura i ragazzi del team di sviluppo, anche se non lo ammetteranno mai per ovvie ragioni di opportunità. Ma cosa c’è che non va in NERO? Un po’ tutto, come sto per andarvi a raccontare nelle prossime righe di questa amara recensione.
IL BUIO OLTRE LA SIEPE
NERO è a tutti gli effetti una graphic novel interattiva con visuale in prima persona. Il primo titolo che salta alla mente è Dear Esther di The Chinese Room, ma per certi versi il prodotto di Storm in a Teacup si rifà anche a Journey e a Myst, un po’ per l’atmosfera onirica che lo permea, un po’ per la presenza di alcuni puzzle che intervengono di tanto in tanto a spezzare la monotonia delle fasi di esplorazione e un po’ per quel puntare sistematicamente sulla calma, sull’esplorazione e sullo scoprire poco per volta le carte della narrazione. Il gioco è diviso in quattro capitoli abbastanza brevi, tanto che sono arrivato a leggere i titoli di coda nel giro di un paio d’ore o poco più. Va detto che il level design prevede alcuni bivi, il che permette di raddoppiare la longevità qualora si volesse percorrere una seconda run per ammirare le loacazioni non visitate nella prima e raccogliere i collezionabili sparsi in giro, incarnati in pezzi di fotografie da raccogliere.
[quotedx]quello che abbiamo tra le mani oggi è un titolo ben lontano da quello che speravamo di giocare[/quotedx]La prima cosa che non funziona in NERO è il sistema di controllo. Con la levetta analogica sinistra ci si muove, mentre con la destra si gestisce la visuale. A prescindere dall’approccio à la Dear Esther, il passo del nostro personaggio è talmente lento da far venire l’angoscia nel giro di cinque minuti, tanto da costringerci a tenere costantemente premuto il tasto della corsa, che comunque corsa non è, visto che si tratta solo di camminare un po’ più speditamente. Il pulsante preposto all’operazione è RB, il che significa farsi venire i crampi all’indice destro nel giro di un quarto d’ora; per non ritrovarmi con un’infiammazione alle articolazioni, quindi, ho personalmente optato per un artigianale pezzo di scotch che mantenesse sempre premuto il tasto interessato, ma sono sicuro che con un po’ più di fantasia ognuno di voi troverà la soluzione che più si adatta alla causa. Certo, si può sempre decidere di non correre, il che dovrebbe aiutare ad assaporare al meglio gli scenari di gioco, conditi da scritte che, in modo assai confuso, narrano le vicende che sottendono al plot narrativo. Di per sé questo tipo di impostazione non sarebbe nemmeno tanto sbagliata, non fosse che per buona parte del tempo si cammina in mezzo ad ambienti poco fascinosi e mal realizzati, nonostante si percepisca – solo a tratti – la volontà di proporre una direzione artistica meno banale del solito.
CUBI, LUCI E MAGIE
Anche per quanto riguarda i puzzle NERO è un mezzo disastro. Buona parte degli enigmi si risolve attivando nella giusta sequenza alcune piattaforme (magari con l’aiuto di un secondo personaggio, che ci segue per buona parte dell’avventura e cui possiamo dare un ordine di movimento alla bisogna) oppure lanciando una sfera magica contro alcune parti attive dello scenario; sfera magica che, peraltro, è soggetta alla gravità, manco ci trovassimo di fronte a un simulatore di cecchino, il che costringe a ritentare più volte un lancio quando l’obiettivo si trova oltre una certa distanza, manco stessimo giocando a Sniper Elite. Di base, tutti gli enigmi sono abbastanza semplici, facilmente intellegibili e per la maggior parte accessori, tranne alcuni che vincolano il proseguimento verso i titoli di coda. Solo verso la fine del gioco mi sono incastrato in un enigma particolarmente ostico, non perché fosse complicato da risolvere, ma perché non era in alcun modo possibile comprendere quale fosse il meccanismo logico su cui si basava. Personalmente l’ho decifrato per puro caso, ma anche con in mano il documento di design e la soluzione relativa (passata da uno di Storm in a Teacup a un mio amico e collega di un sito concorrente, anch’egli rimasto bloccato nello stesso punto) non sono riuscito a comprendere del tutto quale dovesse essere il ragionamento da fare.
Anche da punto di vista tecnico NERO mostra limiti onestamente inaccettabili nel 2015, anche concedendogli tutte le attenuanti del suo appartenere alla categoria indie. Visivamente ha anche qualche bel momento, ma per lo più sembra di stare di fronte a un prodotto con cinque anni sulle spalle, nonostante i grafici abbiano tentato di tutto per nasconderne la pochezza, gettando negli occhi del giocatore tanto di quel blur da far venire il mal di testa. Fosse almeno fluido, qualcosa gli si perdonerebbe: e invece, nella stragrande maggioranza del tempo siamo davvero sotto il minimo sindacale in quanto a frame rate, che in certi momenti scende anche sotto la soglia dei 10 fps. Fosse venduto a quattro o cinque euro potrei quasi consigliarvi la spesa, più per l’idea di base che gli sviluppatori italiani dovrebbero essere sostenuti sempre e comunque, che per altro; tuttavia, 19,99 euro rappresentano un prezzo davvero oltre il limite dell’accettabile per un videogioco che ha mostrato limiti tecnici e di concept troppo gravi per passarci sopra con serenità, anche mettendo sul piatto tutto il campanilismo tricolore di questo mondo.