Star Fox Zero – Recensione

Star Fox Zero

C’è un momento ben preciso in cui Star Fox Zero, ultimo capitolo di una saga storica indissolubilmente legata alla storia di Nintendo, smette di essere uno shooter ambiguo e semplicistico per diventare, invece, un action tecnico, appagante e pure bastardo. Quando, cioè, intorno a metà della campagna, viene chiesto al giocatore di impedire l’ingresso di alcun i missili all’interno del portale in un lasso di tempo determinato non da un timer a schermo, ma dallo scorrere degli eventi innescati dalle abilità del Fox McCloud di turno. Un momento ben preciso, quindi, che richiederà  al giocatore di smettere i panni del pilota occasionale per rivestire, invece, quelli più appaganti dell’eroe. Un momento ben preciso, già, vero crocevia tra lo scaffale impolverato e l’olimpo ludico delle produzioni più recenti. Nel mezzo, un a lunga serie di dubbi, bestemmie e santi tirati giù dal Paradiso. Il cui accesso, sia chiaro, non è mica per tutti.

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ODISSEA (DI UNA VOLPE) NELLO SPAZIO

Annunciato e più volte rimandato, Star Fox Zero è un gioco dal pedigree blasonato e dallo sviluppo travagliato. I primi filmati rilasciati incautamente da Nintendo rivelavano un motore grafico incapace di reggere il paragone con il mercato attuale. Sì, anche quello mobile. Le prime prove sul campo, analogamente, alimentarono i dubbi di chi, enorme pad in mano, giurava l’inadeguatezza di un sistema di controllo drammaticamente ancorato all’utilizzo del doppio schermo. Sul monitor principale, la visuale in terza persona lottava con la telecamera posta nell’abitacolo prima ancora che sul paddone, pronto a sviluppare una dicotomia nel gameplay mica da ridere. La stessa che poi, in un certo senso, ha resistito all’usura delle critiche. In sintesi, con gli stick analogici si muove il mezzo, con i dorsali si spara. Tutto regolare? Neanche per sogno, perché la mira, indipendente dal movimento della navicella, è legata all’utilizzo del giroscopio,  con tanto di inquadratura in prima persona  fissa sullo schermo del pad più facile da odiare che da domare. Ieri come oggi, perché se il concept è rimasto lo stesso elaborato, sembrerebbe, da Shigeru Miamoto in persona, quanto arrivato su store digitali e scaffali è frutto di una profonda revisione operata da PlatinumGames, chiamata in soccorso da Nintendo e per Nintendo. Ed è una fortuna perché la collaborazione, che cementifica quanto di buono fatto con il secondo ed esclusivo episodio di Bayonetta, ha portato i suoi frutti. A dispetto delle premesse, Star Fox Zero è un gioco piacevole da vedere e, a patto di superare lo scoglio iniziale dei controlli, incredibilmente divertente da giocare.

Un po’ remake, un po’ reboot. L’incipit narrativo di Starfox Zero non è esattamente originale, ripescando a pieni mani dall’universo sviluppato dalla saga nel corso di oltre 20 anni. Come dire che, dal 1993, non è poi cambiato molto. Il giocatore, così, vestirà ancora una volta i panni senza macchia di Fox McCloud, guida carismatica e leader del team Star Fox, una squadriglia di piloti indipendenti assoldata dal generale Pepper e a supporto dell’esercito del pianeta Cornelia, di nuovo alle prese con  il tentativo di conquista da parte delle forze del malvagio Andross disseminate lungo il Sistema Lylat. Fox, per altro, è mosso da una doppia motivazione. Da un lato, appunto, l’eroica difesa di Corneria e dell’intero sistema. Dall’altro, la  sete di vendetta per la morte del padre James, tradito dal malefico suino Pigma Dengar, ex componente del team, e ucciso dallo stesso Andross in uno scontro sul pianeta Venom, ultima tappa dell’odissea della volpe stellare. Al fianco del protagonista, vecchi amici e vecchi nemici. Detto di Pigma, transitato nella team rivale Star Wolf, Fox potrà contare sull’apporto di tre compagni d’avventura. Ovvero,  l’asso Falco Lombardi, pilota provetto di origini italiane;  il saggio Peppy Hare, lepre attempata e, allo stesso tempo, migliore amico di James  e mentore di Fox; il ranocchio Slippy Toad, meccanico del team già compagno di accademia di Fox.

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In un immaginario antropomorfo che, con fortune alterne, ha fatto la storia della serie, dispiace constatare come la caratterizzazione dei personaggi sia passata in secondo piano. La storia, infatti, si sviluppa attraverso brevissimi filmati che anticipano le varie missioni lungo il sistema Lylat. Come in passato, invece, Corneria funge da punto di partenza per un percorso variabile che, attraverso lo snodo di alcuni bivi attivabili tramite l’esplorazione di pianeti e settori, punta a Venom, base operativa di Andross e teatro dello scontro finale. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Anzi, lo Spazio. Star Fox Zero, in una sorta di omaggio, riprende quanto di buono fatto da Star Fox 64, ampliandone il gameplay e le situazioni, ma evitando al contempo estreme digressioni da FPS viste, e poco apprezzate, in Assault, lo sfortunato capitolo per Game Cube sviluppato da Namco. Le fasi a bordo del classico Airwing, pur predominanti, sono infatti alternate all’utilizzo di altri mezzi. In primis, il Walker, trasformazione bipede dell’Airwing da attivare, da un certo punto dell’avventura, con la semplice pressione del tasto A. Utile negli spazi stretti o, semplicemente, quando l’approccio “a terra” è preferibile al volo, il Walker rappresenta pienamente la filosofia alla base del gameplay di Zero che, di fatto, spinge il giocatore a sperimentare diversi approcci nell’ingaggio dei nemici e nell’esplorazione delle aree.

Il Girowing, una sorta di drone con cabina di pilotaggio, favorisce i movimenti in verticale all’interno di sezioni ben specifiche dove, anche, sarà richiesto l’utilizzo di un piccolo robot retrattile, utile per l’hackeraggio dei dispositivi di sicurezza nemici.  Il Girowing è una novità assoluta per la serie, aprendo il gameplay ad un timido approccio stealth. Chiude la carrellata il Landmaster, il cingolato già visto in Star Fox 64 ora capace, però, di trasformarsi in Gravmaster, una sorta di Jet potenziato tanto nella resistenza quanto nella forza esplosiva. Legato all’utilizzo degli amiibo, infine, l’utilizzo dell’originale Airwing in stile Super Nes  per quello di Fox e una navicella rossonera più veloce e meno resistente per quello di Falco. Diversi mezzi, quindi, per diversi sistemi di controllo al servizio di un gameplay legato a doppio filo all’utilizzo del giroscopio interno al Game Pad di Wii U e, soprattutto, del suo piccolo schermo, perennemente “bloccato” su una visuale in prima persona dall’interno del cockpit. Ed è proprio qui che si concretizza la strana dicotomia. Mentre sulla TV scorrono le immagini della battaglia, con una visuale in terza persona e,quindi, con la navicella o gli altri mezzi sempre ben visibili e da controllare mediante  gli stick, al piccolo  schermo del pad è deputato il controllo del mirino, Insomma, per farla breve, con gli analogici si comanda il mezzo, visibile sullo schermo principale, mentre col giroscopio si muove il mirino, visibile sullo schermo del controller.

Se durante lo sviluppo questa scelta aveva attirato le critiche dei primi tester, pronti a giurare sulla scomodità dei controlli, il lavoro di finitura svolto da Platinum Games non stravolge il concept originale, ma lo rende sicuramente più digeribile persino a chi, nell’ultimo decennio, ha evitato come la peste Wii Sports e simili. Senza dimenticare, per altro, l’amplio mercato del gioco mobile. Sotto certi aspetti, però, Star Fox Zero sdogana, proprio come Splatoon, la filosofia alla base di qualsiasi sistema di controllo basato sul girometro. Per centrare, letteralmente, l’obiettivo, i ragazzi di Platinum hanno lavorato  pesantemente sul level design alternando non solo i mezzi, ma anche diversi tipi di approccio. Che si tratti di volare sui classici “binari” che hanno fatto la fortuna della serie, piuttosto che imbastire frenetici duelli nello spazio o, magari, muoversi liberamente in piccole arene disegnate ad hoc attorno ad un boss, il gameplay funziona. E funziona davvero perché, nell’iniziale e apparente marasma di nemici ed esplosioni, il ritmo è scandito in maniera perfetta, ruotando attorno alle tante possibilità in dote ai mezzi. Tra giri della morte, inversioni, rotazioni e schivate, la sensazione è, appunto, quella di trovarsi di fronte ad un classico di Platinum Games. Una sensazione, però, che si concretizza solo dopo qualche ora di gioco. Il prezzo da pagare, infatti, è piuttosto alto. Tanto in termini di pazienza quanto di tempo. Tempo speso, per quasi metà campagna, nel tentativo di digerire, in primis, l’obbligo di tenere gli occhi, e quindi anche il cervello, bene aperti su due schermi contemporaneamente mentre, tutto intorno, si concretizza ludicamente il concetto di “caccia alla volpe”.  In quei momenti, bisogna davvero fare affidamento  su dosi massicce di pazienza.  Piuttosto che lanciare in aria il game pad, per altro ben pesante e di difficile reperibilità sul mercato, meglio tirare un bel respiro e capire dove e come si sbaglia, memorizzando i pattern d’attacco e di movimento del nemico o, magari, facendo una capatina nella pratica sezione “addestramento” raggiungibile dal menu principale. Di certo, Zero non è un gioco indulgente. L’assenza di veri e propri checkpoint e il numero di “continue” legato alla raccolta di anelli e medaglie d’oro, può rendere l’inizio della campagna un vero e proprio inferno. Insomma, prima di partire a razzo, meglio concentrarsi sulla pratica, mettendo in conto un numero di bestemmie mica da ridere. Proprio come i numeri che, una volta metabolizzata la filosofia alla base del titolo, potranno essere messi in campo, meglio: in spazio, con assoluto maestria.

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FIREFOX EXPLORER

Insomma, meglio imparare a mirare prima di sparare, magari abusando della pressione sull’analogico sinistro al fine di ricalibrare immediatamente il mirino. Meglio, anche, imparare a muoversi, ché il movimento, al netto dell’onnipresente “looping”, gioca un ruolo importante proprio come la mira. Non potrebbe essere altrimenti in un universo dove l’esplorazione gioca un ruolo fondamentale. Pur limitato dai binari o dallo scrolling incedente, prima ancora che dalla timida libertà di movimento propria di zone comunque recintate, Zero regala ai piloti più intrepidi  una dozzina di aree nascoste il cui raggiungimento è legato alla scoperta di bivi e,quindi, di portali. Si tratta, solitamente, di zone poco cordiali, popolate di nemici ancora più forti e boss ancora più infimi. Si tratta, anche, di elementi importanti nell’economia del gioco. Tirare dritti verso Venom richiederà, infatti, circa 6 – 7 ore di gioco. Scoprire, invece, tutti i segreti e tutti i portali farà incrementare esponenzialmente il timer, raddoppiandolo o, addirittura, triplicandolo. Al contrario, appare utopistico immaginare che la modalità multiplayer possa davvero occupare più di qualche pomeriggio in compagnia di un amico. L’aspetto cooperativo è infatti limitato ad una poco convincente suddivisione di compiti tra chi, armato di nunchuck e telecomando, è chiamato alla guida di Airwing e compagnia bella, mentre il gamepad, impugnato da un amico, si occupa di mirare e fare fuoco. Un’apertura che, proprio come il sistema alternativo di mira, svilisce un po’ le dinamiche e la frenesia del titolo pur permettendo, in teoria, di apprezzare meglio il valido lavoro operato dagli artisti. Tecnicamente, Star Fox Zero non fa gridare al miracolo. Nel 2016, l’assenza di un filtro antialiasing pesa come un macigno, sminuendo il particolare stile grafico utilizzato nella modellazione un po’ retrò dei mezzi. Eppure, la direzione artistica è di primo livello. Che si tratti di planare a pochi centimetri dal mare di Corneria piuttosto che incedere nello spazio prima di atterrare sull’ostile deserto di Titania, il lavoro svolto dai programmatori è, generalmente, encomiabile. L’utilizzo di una palette di colori accesa ha impreziosito le routine di illuminazione, sorprendentemente migliorate durante lo sviluppo del gioco. L’ampio utilizzo di shader ed effetti ha comunque scalfito, se pur in minima parte, un frame rate granitico nelle promesse, ma in realtà soggetto a sporadici e comunque sopportabili cali di frame rate, mai drastici e solitamente relegati ad alcune brevi cut scenes. Ottima, come da tradizione, la colonna sonora composta da brani capaci di sottolineare l’epicità di alcuni memorabili momenti. Discreto, invece, il doppiaggio in italiano, che contribuisce a caratterizzare il look cartoonesco dei vari personaggi.