K – L’ex caporedattore Luca Monticelli racconta una rivista leggendaria

L’editoria italiana specializzata nel campo videoludico vanta una storia lunga oltre tre decenni nell’arco dei quali le nostre edicole hanno visto avvicendarsi numerose riviste di assoluta qualità. Contribuendo a creare sostanzialmente da zero i presupposti utili a fare della valutazione dei videogame una vera professione, i magazine che ebbero l’onore di varare quel processo evolutivo germogliato oggi in una realtà web così nutrita giocarono un ruolo cruciale nella stessa affermazione del medium entro i confini del Bel Paese. Intercettando il linguaggio dei giovani dell’epoca e battezzandone col tempo uno nuovo di zecca, firme entrate spesso nella leggenda avrebbero infatti alimentato l’interesse del pubblico con impagabile dedizione, fino a forgiare nuove generazioni di gamer sempre più esperti, esigenti e consapevoli delle potenzialità di quest’industria.

Nel tentativo di ricostruire le tappe fondamentali di questo straordinario percorso, RetroVillage inaugura oggi una serie di appuntamenti speciali con i protagonisti della cosiddetta “Vecchia Scuola” del giornalismo di settore, lasciando ad essi l’opportunità di raccontarci di quei giorni di gloriose conquiste. Il primo ospite di questa rassegna è il caro Luca Monticelli, Ex Caporedattore di K, una delle riviste specializzate più amate dai cultori dei Personal Computer balzati ai vertici del business a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90.


K non fu la prima testata specializzata ad essere apparsa nelle edicole italiane, ma all’epoca si tendeva senz’altro ad inquadrarla come la prima realtà editoriale che puntasse ad un bacino d’utenza più adulto. Potresti raccontarci la genesi del progetto e le considerazioni che vi portarono ad adottare quella particolare linea editoriale?
Ci tengo a precisare che il mio contributo a K iniziò intorno al 1994 come collaboratore esterno, e poi come Caporedattore. Da sempre leggevo K e per me era un fermo punto di riferimento. Piaceva quel suo modo di porsi, meno “nerd” e che diceva ciò che i giocatori volevano sentirsi dire. In fondo ritengo di essere riuscito a mantenere questa tendenza, chiedendo ai miei collaboratori di raccontare ciò che li aveva entusiasmati di più in ogni recensione od articolo. Non a caso avevo scelto dei collaboratori specializzati in varie tipologie di gioco. Chi era appassionato di RPG, chi di sparatutto, chi di simulatori di volo o di auto, chi di avventure, chi di platform, chi era bravo a terminare velocemente i giochi e farne i famosi “TNT” (ovvero le soluzioni). Ciascuno aveva quindi dei parametri di giudizio univoci, ambientati in un unico genere di gioco, e così facendo poteva essere obiettivo nell’assegnare un voto piuttosto che un altro, perché aveva alle spalle uno storico con cui poteva confrontarsi. Questo ha portato una certa serietà nelle recensioni, perché ciascun lettore appassionato di un genere trovava sempre un valido giornalista che conosceva e raccontava con cognizione di causa quello specifico argomento. Il nostro Direttore ci diceva sempre “meno cazzeggio, più notizie gustose”. E questo ci ha portato ad avere quindi un pubblico sicuramente più maturo.

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Creata da Studio Vit ed edita da Glénat, K utilizzò in principio testi e immagini del magazine inglese ACE (EMAP IMAGES). Dal Numero 65 (ottobre 1994), la rivista passò al gruppo RCS. Nel gennaio del 2000 (N°128), il cambio di nome in K PC Games; quindi la chiusura nel settembre 2003 col N°169.

Tra le altre caratteristiche di K, vi era anche la proverbiale severità delle valutazioni: a quei tempi, si usava ad esempio dire che se K si rivelava entusiasta di un titolo, quest’ultimo doveva essere davvero un capolavoro. Alcuni, tuttavia, non esitavano a darvi un po’ degli snob…
Come ho detto nella risposta precedente, ciascuna valutazione era fatta da giornalisti esperti di ciascun settore. Avendo alle spalle uno storico, era facile fare dei confronti, che spesso si rivelavano azzeccati, soprattutto con delle tiratine d’orecchie a nuovi titoli che di nuovo portavano ben poco.

Come alcuni non mancheranno di ricordare, al contrario delle più note riviste dell’epoca, K non esprimeva i propri giudizi in centesimi, bensì in millesimi: capitava pertanto che un titolo come The Secret of Monkey Island poteva beccarsi un sonoro 900 piuttosto che un 90% qualsiasi. Questo singolare criterio di valutazione generò diverse polemiche: una fetta del pubblico si dichiarò ad esempio spaesata, altri la ritenevano uno strumento per giungere ad un verdetto ancor più chirurgico. Chi ebbe quest’intuizione e, col senno di poi, ritieni sia stata un’idea efficace?
Ci è sempre sembrato un modo di essere ancora più accurati e precisi nella valutazione. Tra le altre avevamo il grafico del rapporto qualità/prezzo, il “K Voto” suddiviso nelle varie voci “Grafica”, “Audio”, “QI” e “Fattore K” (un giudizio personale sul gioco valutato), oltre alla curva di interesse (ovvero la “longevità” del gioco secondo il nostro parere). Sinceramente ritengo che la nostra scheda valutazione fosse (e probabilmente è ancora ad oggi) la migliore in assoluto mai realizzata… ma sono di parte.

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Il celeberrimo manifesto di K apriva la sezione Recensioni con i criteri di valutazione della redazione.

Restando in ambito “valutazioni”, una fetta di pubblico e diversi colleghi si battono da tempo per l’eliminazione del voto dalle recensioni. Vi sono poi coloro che lo ritengono un male necessario ed altri che non riescono proprio a immaginarsi una review che non termini con un numero. Quale di queste tesi ti sentiresti di sposare?

Il voto è comunque un giudizio indicativo, e dovrebbe basarsi sull’esperienza di gioco del giornalista. Ovvio che ad ogni miglioria grafica un gioco o un sequel possa prendere di più… ma bisogna anche valutare tanti altri parametri… Se si va a guardare abbiamo dato voti alti ai vari Monkey Island, e tutti piuttosto ravvicinati. Questo per dire che si seguiva nella valutazione anche la realtà del momento. Con nuovi processori grafici e CPU sempre più potenti era logico aspettarsi una miglioria, ma il tutto non doveva trarre in inganno. Un gioco lo si interagisce non solo con gli occhi, che comunque hanno il loro peso specifico. Penso quindi che il voto ci debba sempre essere, anche per dare a chi legge un giudizio anticipato. Più che altro metto in discussione metodi coercitivi come quelli di Metacritic, semmai. Basare il successo di un titolo da un voto dato dai vari media sia quanto mai discutibile, secondo il mio personale punto di vista.  Il successo di un gioco lo dà il mercato, non il voto in sé. Il voto è semplicemente un giudizio, spesso personale del giornalista che lo assegna, che può trovare d’accordo o meno il lettore. Mettendo per esempio a confronto un titolo come Farmville e Call of Duty, secondo te chi ha avuto più successo? Chi ha preso 9 o più nella recensione per “grafica e giocabilità” o chi ancora ad oggi porta milioni di euro nelle tasche degli sviluppatori?

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Maggio 1991, il Numero 28 di K ospita la storica recensione di The Secret of Monkey Island che, per inciso, si cuccò un sonoro 900!

Com’è cambiato, a tuo avviso, il modo di fare giornalismo videoludico? Quali sono, ovvero, le principali differenze che individui tra l’approccio tenuto da voi, pionieri della old school cartacea italiana e quello delle nuove leve al servizio dei portali web?
Ti ringrazio per avermi ricordato che sono “vecchio”. Diciamo che è cambiato profondamente il giornalismo videoludico. Più frenetico, tutto in tempo reale, e la tecnologia ha aiutato molte redazioni a spostarsi su Internet, non solo per contenere i costi di produzione di una rivista, ma per offrire scoop e reportage in real time grazie alle trasmissioni in streaming. Non si ha più bisogno di aspettare un mese per sapere che un titolo è stato annunciato (e non “lanciato” come si dice spesso… il mio Direttore diceva sempre che si lancia una lavatrice da una finestra…). Quindi si esige ancora più professionalità, perché un articolo dev’essere prodotto in pochissimo tempo, e dev’essere perfetto perché sarà immediatamente pubblicato. I miei amici giornalisti sono tutti estremamente e profondamente preparati in questo senso, e parlare con loro di videogiochi è davvero un grande piacere. Ai miei tempi c’erano più che altro gossip, spesso catturati durante le fiere come l’ECTS di Londra o l’E3 americano. Internet non era ancora una realtà così diffusa. Ma devo dire che mi manca davvero tanto il lavoro di redazione… creare il menabò, gestire gli articoli e rubriche, incazzarmi con i collaboratori, l’odore delle ciano prima della stampa, e rincorrere il direttore in ogni dove per farsi dare l’editoriale, che era sempre l’ultimo ad essere inserito. Bei tempi!

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Dicembre 1988: la copertina del leggendario Numero 1 di K.

Stando agli immancabili profeti di sventura, la stampa tradizionale sarebbe dovuta morire almeno un migliaio di volte fino ad ora, uccisa prima dalla radio, poi dalla TV, poi da Internet. Negli ultimi tempi il medium ha senz’altro accusato una delle peggiori flessioni della sua storia e c’è chi è già pronto a innalzare i de profundiis: è davvero finita per la carta stampata?
Al momento, sinceramente, non vedo le condizioni per poter rilanciare riviste su carta stampata. I costi sono davvero proibitivi, ed ogni iniziativa che nasce purtroppo decade quasi subito. Mi piacerebbe si organizzasse una bella tavola rotonda con tutti gli operatori del settore e parlare di come poter affrontare questo momento, quali soluzioni si possono mettere in campo… Questa crisi ha colpito un po’ tutti i paesi nel mondo, ma in particolare l’Italia.

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Giornalista specializzato in videogame ed elettronica, gamer incallito e pilota provetto, Luca Monticelli è attualmente CEO di Star2Com, Agenzia di Pubbliche Relazioni specializzata nel ramo dell’intrattenimento digitale.