Se avessimo la possibilità di poter usufruire della splendida DeLorean, del professor Emmett Brown del celeberrimo film Ritorno al Futuro, sceglierei come data approssimativamente un freddo mese di febbraio del 1982, dove un uomo dalle grandi virtù, stava per materializzare la sua eterna profezia sul settore videoludico, “il futuro del videogioco è nel computer”; una citazione davvero azzardata vista la prima grande crisi che questo settore dovette affrontare a fine anni ’70. Un grande progetto stava nascendo nella mente di Jack Tramiel, quello di realizzare un hardware dai costi accessibili e con possibilità di utilizzo sia come videogioco che come computer vero e proprio. Un primo grande passo venne fatto con la progettazione e pubblicazione del Commodore Vic20, ma conosciuto nella sua terra natia come Vic1001, ovvero in Giappone, dalla Commodore International, dove la progettazione e sviluppo di un chip destinato al settore videogame, non ebbe molto successo sul mercato hardware, il VIC-I 6560/61 della MOS, venendo così riciclato all’interno di un vero e proprio computer.
Il papà di tutto questo contrariamente a quanto molti amatori pensano e a quanti storcano il naso, è stato proprio un ingegnere giapponese Yashi Terakura, realizzando una prima forma di quello che è stato il sogno di Jack Tramiel, dove le funzioni di un home computer completo si fondono con capacità videoludiche decisamente avanzate ed adeguate alle esigenze i quel periodo. Il passaggio dal Sol Levante all’occidente fu facile, il Commodore Vic20, con un prezzo sotto i trecento Dollari di lancio, dimostrò con un buon margine quanto la profezia di Tramiel fosse giusta, ma non era ancora abbastanza, tenendo testa a leggende di quel periodo come Atari 2600 e Intellivision, proponendo grafica e sonoro avanzate e la possibilità di interagire con esse. Ma il Vic20 necessitava di hardware aggiuntivo per dare il meglio di se, anche sotto il profilo videoludico, dove i titoli migliori erano purtroppo su cartuccia, oppure richiedevano costosissime espansioni RAM, un quadro che non portava poi molto lontano dalla realtà di quel periodo, ancora predominato dalle console. La Commodore ci riprova, seguendo la scia del Vic20, mantenendo due elementi fondamentali, il costo e l’unitarietà della macchina, ma dalle prestazioni superiori a quelle viste finora.
Tutto viene passato nuovamente al “Sensei” Yashi Terakura, il quale era in realtà già a lavoro sul potenziale successore del Vic1001, ovvero il Vic-10, conosciuto tra gli sconosciuti (scusate il gioco di parole) come Commodore MAX. “Sensei” Terakura, aveva basato il suo progetto su tre principali chip che dietro sue indicazioni vennero sviluppate dalla MOS Technology, all’epoca acquisita dalla stessa Commodore, per la realizzazione di una console dalle prestazioni grafiche e sonore avanzate, dove altra risoluzione a colori, sprite hardware e sintesi sonora di alto livello, sarebbero bastati a concepire la chiave del successo del nuovo sistema: CPU 6510 (evoluzione del 6502), VIC-II (MOS 6567/69) per la grafica e il MOS 6581, denominato Sound Interface Device (SID) per la sintesi sonora. Nasce a questo punto un inevitabile conflitto con quella che era la realtà giapponese di quegli anni, dove progetti avanzati, portati avanti da Nintendo e SEGA, avrebbero potuto sotterrare quella che avrebbe potuto essere una console di riferimento che integrava anche utilizzi da home computer. Il nuovo sistema ludico, Commodore MAX, presentava pero’ alcune pecche come la scarsa memoria utente a disposizione, prima 8kbyte per poi scendere a 4Kbyte, dovendo limitare di molto le capacità grafiche della macchina, tra cui la realizzazione di immagini bitmap. Le uniche porte disponibili erano quelle per cartucce e registratore a nastri.
[quotedx]Realizzare un hardware dai costi accessibili e con possibilità di utilizzo sia come videogioco che come computer. [/quotedx]
Lo sviluppo dei giochi era obbligatoriamente direzionato verso il supporto hardware della cartucce, avvalendosi nel caso anche di RAM aggiuntiva, ma lasciando a desiderare comunque sull’utilizzo come macchina informatica didattica, dove a questo insuccesso contribuiva anche la delicata tastiera a membrana, che si dimostrava spesso anche delicata. Una macchina che può contare il primato dei computer meno venduti al mondo, la cui vera natura doveva ancora venir fuori. Tramiel comprendeva bene i motivi di insuccesso del Commodore MAX, ma voleva vincere assolutamente una scommessa annunciata al mercato informatico occidentale, dove gli elevati costi erano dovuti soprattutto ai prezzi proibitivi delle memorie: un comunicato stampa della Commodore Business Machine all’amministrazione del Consumer Electronics Show (CES), annunciava la presentazione di un sistema informatico da 64kbyte di RAM a meno di 600$, 595 per l’esattezza. La sorpresa per il pubblico del CES fu grandiosa, venne finalmente presentato nella primavera del 1982, quello che sarebbe diventato il computer più venduto al mondo, il prototipo del Commodore 64, discendente del suo parente orientale Commodore MAX. I costruttori di tutto il mondo non riuscivano a concepire come la Commodore avesse potuto abbattere vertiginosamente i costi di un home computer da 64Kbyte, ma la risposta era semplice. L’idea passata di acquisire la stessa MOS Technology, per la produzione dei chip custom, nonché lo sfruttamento della stessa catena di montaggio del Commodore Vic 20 per il case, aveva portato ad un costo di produzione unitario di 135$ circa. Ma le sorprese non erano finite. Infatti il Commodore 64 si differenziava dal MAX non solo per l’aspetto, decisamente più professionale, come ad esempio una vera tastiera, ma dalla grande quantità di porte di espansione e comunicazione, la possibilità di usare periferiche avanzate come lettori floppy, stampanti, plotter, supporti telematici di ogni tipo, che permisero al pupillo di casa Commodore di essere la macchina più versatile del momento.
Il suo lancio commerciale avvenne nell’Agosto del 1982, dove la discreta quantità di titoli ludici, sviluppati inizialmente per Commodore MAX, perfettamente compatibili con il Commodore 64, garantirono uno dei migliori palinsesti per software di lancio. Inoltre il Basic Commodore V2 integrato, sviluppato inizialmente da Microsoft, ma dalle caratteristiche incomplete a causa di diverbi commerciali con Bill Gates, garantiva comunque un’interazione completa con tutto il sistema, potendo in qualsiasi momento richiamare ogni registro della macchina. Purtroppo mancano istruzioni dedicate alla grafica e al sonoro, presenti invece nell’originale Microsoft Basic. Questa limitazione spinse però programmatori più coraggiosi ad affrontare la macchina nel suo intimo e tirare fuori quello che forse è ancora oggi il più vasto palinsesto videoludico del mondo. La vita del Commodore 64 è stata tra le più longeva, dove molte revisioni della macchina ne hanno testimoniato il suo grande successo in America e molti paesi europei. Tra le principali revisioni, oltre a quella classica, ricordiamo il Commodore 64C, modello disegnato per rientrare in linea con quella del Commodore 128, macchina successiva al C64, ma che ne integrava completamente le funzioni. In Germania venne sviluppato poi successivamente il C64G, completamente bianco ma dalle fattezze del primo modello, questo per adattare alcuni vecchi supporti di protezione della tastiera concepiti per i modelli classici. Anche una linea di supermercati tedesca chiamata ALDI aveva un suo Commodore 64, costruito però unicamente negli USA, caratterizzato dal case del modello classico ma dalla tastiera bianca del Commodore 64C. Dall’aspetto decisamente più professionale era la versione “portatile” del Commodore 64, chiama SX, che integrava in un unico modulo, un monitor a colori da 2.5” e un lettore floppy a singola faccia, mentre dal lato opposto venne riproposta l’idea del Commodore MAX, ma privo della tastiera, utilizzabile unicamente come console da gioco, chiamata Commodore 64 GS (Game System), dallo scarsissimo successo, in quanto il 95% del software ludico per questo sistema era prodotto su cassetta e floppy.
[quotedx]La vita del Commodore 64 è stata tra le più longeva, dove molte revisioni della macchina ne hanno testimoniato il suo grande successo.[/quotedx]
Degli usi professionali del Commodore 64, contrariamente alla sua reale vita passata, non se ne è mai discusso, dove applicativi office e di archiviazione dati, non mancavano di certo, persino linguaggi integrativi che sopperissero allo scarso repertorio del Basic V2, come il Simon Basic e la Super Expander. Ma il mondo intero ricorda questo fantastico gioiello anche per i capolavori videoludici che lo hanno caratterizzato nella storia sia graficamente che musicalmente, come la saga di The Last Ninja, le avventure grafiche della Lucasart come Manic Mansion e Zak McKracken and the Alien Mindbenders, sparatutto come Katakis, giochi d’azione come Mission Impossible o la saga di Turrican, titoli dall’impressionante valore, ma che devono il loro successo anche alle magnifiche colonne sonore composte appositamente per il SID, dove autori come Rob Hubbard, Tim Follin, Chris Hülsbeck, Matt Gray, Martin Walker e molti altri, ne hanno fatto del Commodore 64, il loro trampolino di lancio per la musica digitale. Ciò che rimane ora di questo pilastro immortale della storia informatica, sono i ricordi dei suoi non più giovanissimi utenti, i quali con grande passione cercano di ricostruire e di mantenere vivo il ricordo di quello che è stato sicuramente il sistema informatico da gioco di riferimento per almeno due generazioni. Il quadro che il settore vintage informatico offre oggi per il Commodore 64, dimostra quanto questo sistema sia tutt’altro che superato. Nuove tecnologie hardware consentono una rapida compilazione e debug di nuovi titoli dai concetti innovativi, spingendo la realizzazione di veri e proprio contest, come il RGCD.Dev, evento a cadenza annuale dove i programmatori sfruttando il supporto delle cartucce, vengono impegnati a sviluppare giochi che sfruttino al meglio le caratteristiche della macchina ma senza espanderne la capacità di memoria. Sull’altro fronte poi, esistono società come la Protovision e la Psytronik, dove vengono propriamente commercializzati i nuovi prodotti, al fine di rendere realizzabile una filiera di vendita del nuovo software come incentivo per il mantenimento dello sviluppo software per il Commodore 64 ed altri sistemi vintage. Tuttavia il Commodore 64, oggi rappresenta in icona intramontabile, che farà ancora parlare di se per molto tempo e forse in eterno, mantenendo una connessione viva tra l’informatica del passato e quella futura.