Pole Position: una monposto a gettoni per Toru Iwatani!

1982 – La storia dei Coin-op è zeppa di titoli ammazza paghetta, ma occorrerebbe distinguere con attenzione la hit di una stagione da un classico in grado di monopolizzare la scena per anni, fino a scavare un solco profondo nella memoria degli appassionati. Chiunque abbia vissuto in prima linea gli albori della Coin-Op Era potrà senz’altro confermare che uno degli esponenti più rappresentativi di questa etnia di classici fu il grande Pole Position.

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Il cuore di Pole Position consisteva di una Main CPU Z80 cui andava ad integrarsi chip sonori come il Namco WSG stereo a 6-Canali.

In qualità di primo racing game della storia a girare su un case dedicato, con tanto di volante, cambio e pedaliera integrati, il titolo firmato dal maestro Toru Iwatani riscosse difatti un tale successo da restare per quasi un biennio in cima alle chart mondiali, senza che le file di gamer incanalate al suo cospetto diminuissero di un solo centimetro. Ma a cosa si deve un hype del genere? Possibile che il solo fascino di un cabinato possa aver avuto la forza di trascinare un gioco comune nell’Olimpo dei record breaker? Neanche a parlarne. Per quanto la tentazione di rispondere positivamente al quesito sia forte, sarebbe senz’altro ingiusto limitare al solo supporto del “simulacro” tutti i meriti della produzione.

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Forte di una risoluzione video pari a 256 x 224 pixel e al contingente ausilio di una palette di 128 colori, il gioco sfoggiava un look grafico alquanto avveniristico per l’epoca, cui avrebbe fatto peraltro da eco un aggiornamento di schermo orbitante intorno ai 60.61 Hz.

Al di là della struttura in metallo, legno e plastica che circondava lo schermo, vi era davvero un titolo in grado di settare nuovi standard qualitativi per il genere, e questo a prescindere dal pur notevole impianto visivo che lo caratterizzava. Coadiuvato da un modello di guida sì elementare, ma altrettanto reattivo e impreziosito dall’apporto di uno scrolling assai fluido, il gameplay da esso proposto garantiva in effetti un’ esperienza ludica tanto immediata da coinvolgere all’istante ogni tipologia di giocatore, e c’è da giurare che l’obbligo di registrare un tempo di qualifica adeguato per poter accedere alla gara, conferisse al tutto uno spessore supplementare.

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Conscia di avere tra le mani un titolo di incredibile spessore, Namco supportò il lancio di Pole Position con una massiccia campagna promozionale.

Giusto in proposito, andrebbe a questo punto sottolineato lo sforzo di rendere la stessa competizione ben più articolata di un usuale GP sportivo. Ben lungi dal risolversi in una mera sequenza di curve a gomito e sorpassi di sorta, la corsa si sarebbe difatti disputata su una pista alterata dalla presenza pozzanghere, cartelli stradali ed altri curiosi ostacoli, molti dei quali finivano spesso per determinare il verificarsi di pirotecnici incidenti.

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Il record più alto mai fissato da un utente durante una partita a Pole Position è detenuto dall’americano Les Leiger con 67.310 punti.

Come prevedibile, l’elaborazione di un concept tanto elaborato, non poté che implicare anche delle limitazioni più o meno evidenti, non l’ultima la possibilità di gareggiare soltanto sulla la Fuji Speedway Giapponese. Presi com’erano dalla spettacolarità dell’evento e dalla parallela voglia di realizzare un punteggio degno di entrare in classifica, i più non si sarebbero tuttavia neanche accorti di questo vincolo. Forte del boom registrato da Pole Position, Namco non si sarebbe ovviamente lasciata sfuggire l’occasione di specularci un po’ su: da qui, la nascita di un repentino sequel, distribuito worldwide a pochi mesi di distanza dal rilascio dell’originale.

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Come ogni Arcade Classic che si rispetti, Pole Position venne convertito anche in ambito home, registrando anche in questo caso introiti da capogiro. A conti fatti, la console che seppe rendergli maggiore giustizia fu probabilmente l’Atari 8 Bit, seguito a breve distanza dai cuginetti 2600 e 5200. Bene anche il C64 tra i Personal Computer.

Successivamente, la major nipponica sarebbe peraltro tornata altre volte a cimentarsi con asfalto, prototipi e alta velocità, ma per i cultori del gettone la prima versione del gioco ha sempre conservato quel prezioso fascino pionieristico che ci spinge a celebrarla ancora oggi, a ben trentaquattro anni dal suo debutto.


MONOPOSTO A GETTONI

La Namco distribuì sul mercato due differenti case di Pole Position. La versione più celebre resta ovviamente quella Deluxe che abbinava alla strumentazione completa, un avvolgente abitacolo con tettoia.

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Nel Coin-Op verticale standard una partita a Pole Position sarebbe venuta a costare soltanto un gettone, in versione super accessoriata era invece necessario sborsare almeno il doppio… Con buona pace dei gestori di sala.

Pur ospitando comunque volante, pedale d’acceleratore e leva del cambio, i Coin-Operator destinati ai bar  e ai più piccoli vantavano invece un ingombro standard. Logicamente, le differenze vigenti tra i due cabinati avrebbero influenzato il prezzo della partita.


IL “GIALLO” ATARI

Vagando per Rete e dintorni potreste facilmente imbattervi in siti anche eminenti che attribuiscono la paternità di Pole Position ad Atari, piuttosto che a Namco. Piuttosto che incarnare un clamoroso errore anagrafico, quest’anomalia è in realtà la semplice conseguenza di un accordo stretto tra le due compagnie circa la distribuzione del gioco negli Arcade statunitensi.

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Mentre la Major nipponica si sarebbe, in pratica, sobbarcata l’onere di piazzare Coin-Operator a tema lungo Asia ed Europa, la multinazionale americana ne avrebbe curato la diffusione in madrepatria. Tutt’altro che insolita, per i tempi, quest’operazione venne ripetuta anche in occasione del lancio di Pole Position II.


IN VIDEO

E ora, godiamoci finalmente Pole Postion in azione!

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