Tutti gli uomini di Victoria – Recensione

Film d’apertura della Settimana della Critica del Festival di Cannes, Tutti gli uomini di Victoria è una commedia francese che non nasconde un’atmosfera un po’ americana.

Victoria (Virginie Efira) è un’avvocatessa penalista di grande spirito: è attenta, schietta, bella e dotata di un forte senso dell'(auto-)ironia. Insomma, è una di quelle donne che con la loro mera presenza riempiono tutto lo spazio circostante; invadono gli ego di quelli che gravitano intorno alle loro vite, ma lo fanno in modo così naturale e in fondo distaccato – dalla presenza altrui – da risultare, in ultima battuta snob o addirittura “fredde calcolatrici”.

Victoria è perfetta, proprio perché non tenta di esserlo, ma – per incoraggiare i più insicuri – non è sempre brava a tenere in piedi la sua vita, senza danni collaterali. Infatti, oltre a tentare di occuparsi delle due figlie a carico, la protagonista dovrà confrontarsi da un lato con chi la stima, ma in un modo contorto dalla propria insicurezza – come il suo ex marito e scrittore Vincent (Melvil Poupaud) – e dall’altro con chi, invece, ben più sicuro di sé ma senza alcuna empatia, le chiede di occuparsi del proprio caso giudiziario, a meno di prendersi  responsabilità per le possibili implicazioni nella sua carriera e nella sua vita. Inutile aggiungere che ha una vita sentimentale pressoché nulla e che i rapporti sessuali sono per lo più occasionali, squallidi o privi di qualsiasi colore emotivo.

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Perciò, se Tutti gli uomini di Victoria fosse stato un film americano la protagonista sarebbe stata una donna in carriera, fredda e, se non forte e atarassica, estremamente fragile e apatica. Ma il secondo lungometraggio della regista francese Justine Triet non cede a una caratterizzazione macchiettistica e stereotipata, sicché nonostante tutto, Victoria riesce ad essere verosimilmente fragile e vigorosa, egocentrica ed empatica, sensuale e sciatta (quale una donna con la storia di Victoria sarebbe nella vita reale).

Ma a questa approfondita costruzione della protagonista (una cura che si rivela anche nella più che adeguata scelta dell’attrice che la interpreta), si oppone una scarsa o comunque superficiale caratterizzazione del resto dei personaggi che, sebbene abbiano ruoli ben determinati, non tengono assolutamente il livello. Eccezion fatta per Sam (Vincent Lacoste), ex spacciatore assolto anni prima proprio grazie all’avvocatessa. Lui è l’unico fra Tutti gli uomini di Victoria a non limitarsi a “reagire” o ad ignorarla per confermare la propria identità. Sam è innamorato di Victoria (niente spoiler, è palese dall’inizio), la vede in tutto il suo splendore e questo non pare fargli paura. Ma chi è quest’uomo – non bello e apparentemente sfigato – che non si lascia inibire dal fascino di Victoria? E siamo certi che questo coraggio gli basti al riconoscimento interpersonale?

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Il film in fondo prova a confrontarsi con questa domanda e nonostante la ricerca sia a tratti superficiale o poco coraggiosa, il gioco delle parti è ben strutturato. Inoltre la vivacità della scena si affida qui all’espediente ritmico delle commedie americane. Infatti, tra scimpanzé e cani dalmata come testimoni e corse per la città fra psicoanalisti e sensitive, il film possiede una sorprendente comicità, una di quelle che non si avvolgono su se stesse e che ti invitano a ripensare al film nei giorni successivi con grande piacere.

Pigra isolana, amante della bella stagione e cinefila in pantofole nel resto dell'anno. Attualmente nella capitale si ritrova, come l'Andreuccio, a fare esperienza con una realtà nuova e sfaccettata. Se fra i morbidi pendii delle sue montagne sul mare osservava silenziosa il mondo che la circondava si riscopre adesso un fiume in piena di parole. A subirne le conseguenze è anzitutto il cinema.