“Voglio fare il gioco sul Gay Pride. Voglio fare Pride Run“, questa la scintilla scattata nella mente di Ivan Venturi, uno degli sviluppatori più attivi su territorio italiano. Creare un gioco che rappresenti la comunità LGBTQI non è facile, eppure Ivan ha le idee molto chiare, come ha raccontato in una storia avvincente, e non priva di una certa capacità di vedere oltre. Perché in un mondo dove Trump può essere presidente, c’è bisogno anche di questo. “Tutto inizia l’11 ottobre del 2016” – ci racconta Ivan – “Sono in auto, una delle rare volte in cui mi ci trovo, imbottigliato nel traffico della tangenziale di Bologna. Guidando poco, per me l’essere fermo nel traffico diventa quasi una condizione iniziatica, in cui mi trovo inscatolato con me stesso e propenso alla creatività e alle idee folli. Sto ascoltando la radio.”
L’idea di Venturi nasce non a caso l’11 ottobre, in cui ricorre il Coming Out Day, una giornata dedicata appunto al coming out, la liberatoria dichiarazione in cui finalmente si “esce dall’armadio” svelando il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere. “Sento parlare il presidente del Cassero di Bologna, Vincenzo Branà, che introduce queste interviste fatte a ragazzi e ragazze LGBTQI che raccontano il loro coming out. Rimango colpito da queste voci serene che raccontano quanto sia stato per loro inaspettatamente facile condividere con i genitori e gli amici, una parte importante della loro identità.”
Venturi è molto vicino alla comunità LGBTQI, di cui è un aperto sostenitore, e non ha certo paura del possibile backlash che potrebbe originarsi, proprio perché ha abbracciato appieno la serenità e persino la gioia che si respira in questi ambienti. “Quando ho partecipato al Pride con la mia famiglia, coi miei figli, e mi sono divertito, ho ballato di brutto in quella che è una delle parade più cool in assoluto.” La stessa coolness che, non a caso, si respira proprio in Pride Run. Venturi non è nuovo a idee dirompenti, e persino controverse: del resto, è anche produttore di RIOT: Civil Unrest, il gioco sugli scontri tra polizia e manifestanti. Allo stesso tempo, è ben consapevole del potenziale espressivo di un’opera interattiva. “I videogiochi sono pura opera d’ingegno, non c’è materia prima, non c’è energia derivante da idrocarburi. Sono il frutto dell’intelletto e della creatività di persone che si mettono insieme e producono un’opera.”
Pride Run ha l’importante compito di rappresentare la comunità LGBTQI all’interno dei videogiochi, che spesso non spiccano per l’inclusività: lo stereotipo del marine spaziale è ancora fin troppo radicato in sviluppatori che credono ancora che il giocatore medio sia un maschio bianco di 16 anni. E se il marine… fosse gay? Pride Run si farà forte di una rappresentazione grafica molto sopra le righe, una precisa scelta stilistica che nasce dal retrogaming. “Immagino un gioco in stile retro, che ricordi i brillantissimi ed eccessivi giochi degli anni ’80. Pixel art: sexy pixels! Mi vengono in mente i colori acidi di parte dell’estetica LGBTQI, che ha le proprie sfumature. Penso alla necessità di avere coscienza, dal di dentro della comunità LGBTQI, delle varie sfumature, dei vari gender, dei vari gruppi da rappresentare”. L’incontro artistico con Giacomo Guccinelli è fondamentale per la nascita del progetto, che vede le sue radici in Lucca Comics & Games 2016. “Sono allo stand dell’Italian Party of Indie Developer, insieme a un’altra ventina di amici e colleghi indie game developers. Poco distante, in uno stand a dipingere draghi, c’è la persona a cui ho pensato: Giacomo Guccinelli. Lo vado a trovare e gli parlo della mia idea. Giacomo dice di sì prima che io arrivi a metà della spiegazione”.
Con Giacomo Cuccinelli ormai nel team, i due si recano a Bologna, dove Ivan illustra con maggiori dettagli la bozza di game design preparata, l’idea che aveva per il visual e Giacomo comincia a disegnare. Produce opere coloratissime di visuali di strade che prendono vita grazie alla presenza di variopinti cortei e personaggi di tutte le tipologie possibili. In quel momento, nasce la “magia”, come ci racconta Ivan: “La mia idea diventa nostra e Giacomo la trasforma in immagini”
A lavori ormai avviati Ivan decide di contattare Vincenzo Branà, al quale racconta del progetto: “Vincenzo non è una persona che dice facilmente di sì. Mi dice di sì! Tramite Vincenzo conosciamo Pietro Guermandi, organizzatore della Gilda del Cassero (la parte nerd) e Luca De Santis, comunicatore e blogger di GeekQueer ed esperto di gayming, con cui iniziamo a collaborare per la raccolta dei dati dei vari scenari che vogliamo riprodurre e per la prima fase di comunicazione, che vogliamo sia solo entro l’ambito della community LGBTQI finché il progetto è ancora in fasce”.
L’idea di Ivan è quella di realizzare un gioco che renda possibile controllare un intero corteo che si snoda attraverso le strade della città. Ballando, si genera energia positiva e “coloratissime particelle di colori diversi, a seconda del gruppo che le “spara”, colorano il pubblico, che si colora gradualmente e a un certo punto si mette a ballare e si accoda al corteo”. Pride Run, però, non è solo allegria e divertimento: fascisti, preti estremisti e politici tenteranno di bloccare la parata in quella che potrebbe essere interpretata come una rivisitazione decisamente colorata dei musicanti di Brema
San Francisco, “la città più gay e friendly al mondo”, secondo Ivan, ma non solo: ogni livello, in Pride Run, rappresenta una Città. Pisa del 1979 (dove si tenne il primo Pride italiano), poi Berlino, Sao Paulo, Londra e Mosca. Nella Capitale Russa “il punto non è quanto pubblico fai ballare, ma quanto si riesce ad andare avanti prima di essere arrestati”, scherza Venturi. E se a Tel Aviv vi trovaste immischiati in un gruppo di lesbiche arabe? “Potrebbe essere una situazione tutt’altro che facile…”, ammette Ivan. Non poteva mancare Stonewall, dove Sylvia Rivera si rese protagonista con il leggendario lancio della scarpa col tacco contro la polizia, agli Stonewall Riots: “La prima vera dimostrazione del Pride LGBTQI.
“Man mano che il pride aumenta, la musica incalzante si carica, si aggiunge la grancassa, si aggiungono i cori. Il pride diventa entusiasmo, che diventa musica tangibile. Questo gioco dovrà essere irresistibile. Dovrà essere impossibile giocarlo senza ballare”. Ivan sente il cuore battere forte: “Ci siamo. Abbiamo messo a fuoco l’idea”.
A quel punto il team inizia a sviluppare il game design e le sezioni di gioco per ogni scenario, che si divideranno in tre punti: mappa, street view ed infine lo scontro con il boss finale, basato su meccaniche tipiche dei videogames appartenenti al genere dei beat’em up, in cui al giocatore sarà richiesto di pestare il fascitone omofobo di turno. “Andiamo avanti e la necessità della musica, altra componente fondamentale del gioco, diventa impellente. Ci vuole l’artista che calzi a pennello col gioco. Che abbia la giusta sensibilità, le capacità creative e tecniche necessarie. Dobbiamo produrre musica interattiva e modulare, tutt’altro che banale”.
A questo punto entra in scena Hard Ton, musicista LGBTQI underground, in quel periodo a Bologna, in collaborazione col Cassero. Le cose, come ci spiega Ivan, vanno subito per il meglio: “Sentiamo la musica: perfetta. Incontriamo Mauro, la parte musicale del duo (Max, il front*man, è a Venezia), gli parliamo del progetto, di quello che servirebbe. Ci intendiamo immediatamente, entriamo subito nel dettaglio tecnico e nell’onda giusta. Definiamo le specifiche. È fatta. Hard Ton è il music artist di Pride Run!”
A un certo punto, il team si rende conto non solo che la sezione beat’em up non va bene, ma anche che cozza con la natura stessa del progetto. “Col mio amico entriamo nel dettaglio tecnico e mi accorgo di quanto io ne abbia sottovalutato le difficoltà, pur avendo un’esperienza trentennale di game development. Ma un picchiaduro non l’ho mai fatto. Quindi un punto produttivo rischioso, che potrebbe compromettere il budget previsionale. Ma non solo: la sezione beat’em up comporta altri due problemi, uno di tipo commerciale e uno etico. Quello commerciale: come inquadriamo il gioco? Real time Strategy game o Beat’em up? Sono tipi di gioco profondamente diversi, per pubblici diversi, fasce di costo e aspettativa di quantità diverse. Molto complicato e rischioso metterli insieme. Quello etico: l’idea del picchiare qualcuno, anche se un cattivo, di usare la violenza, non ci piace“, racconta Venturi.
“Molto meglio un Dance Duel, a suon di figure di danza”, conclude Venturi. “Danza esageratissima e coloratissima, ovviamente, in cui anche i nemici più accaniti della comunità LGBTQI potranno diventare friendly, subendo divertentissime trasformazioni”. A quel punto, il team di sviluppo, attraverso la propria immaginazione, può già vedere Pride Run funzionare e la scelta del primo scenario ricade su San Francisco
Un “musical real time strategy game”, è questo che sarà Pride Run. Un videogame dove Il giocatore controllerà i vari gruppi del corteo usando delle combo, che dovranno essere eseguite a ritmo di musica. Queste combo saranno “attive”, per far fare delle mosse di danza o di marcia particolari al gruppo selezionato, per fargli sparare più “pride” verso il pubblico, riempiendolo di entusiasmo e colorandolo, finché non si converte e si accoda al corteo. Ma anche difensive, per parare l’energia negativa, il “pride nero”, sparato da quella parte di pubblico che cerca di ostacolare il corteo.
Sono previsti tre tipi diversi di unità controllabili: i music Trucks, i leader ed i gruppi manifestanti, come si spiega Ivan: “i primi sparano musica e caricano di pride i gruppi vicini. Poi ci sono i leader, che sparano “pride” a tutt’andare e sono più resistenti alle influenze negative esterne ed infine i gruppi di manifestanti, che possono radunarsi attorno al leader o in modo indipendente”.
Per velocizzare la produzione degli scenari viene ingaggiato un altro disegnatore pixel-art, Arrigo, mentre Giacomo incarica Elena e parte del suo staff di produrre le animazioni dei personaggi, per la Street View e per il Dance Duel. Vi è poi la scelta dei boss da affrontare al termine di ogni livello: “Nello scenario di San Francisco, quello che realizziamo per primo, ci sarà la Drag Queen che sfiderà al Dance Duel nientemeno che il presidente Donald Trump in persona. Ogni mossa di danza ben assestata con la giusta combo di tasti premuti a ritmo, “sparerà” pride contro The Donald che, colpito, si metterà a ballare facendo voguing, rivelerà i propri mutandoni coperti di cuoricini, infine si trasformerà in una attempata Divine. Ma The Donald potrà attaccare a sua volta, sparando tweet carichi di odio oppure costruendo un muro, i cui blocchi si lanceranno a tutta velocità contro la nostra Drag Queen”, ci racconta Ivan.
Mauro di Hard Ton, deejay e musicista internazionale, gioca un ruolo determinante nella qualità della comunicazione, verso la community LGBTQI: prende contatto con Jaunita More, eccezionale Drag Queen di San Francisco, che grazie al suo sostegno sarà inserita nel gioco, nello scenario di Frisco. “Alla comunità virtuale fa necessariamente eco anche la comunità reale”, spiega Mauro “quella formata da tutti coloro che sono in prima linea nel portare avanti, con le loro vite e con le loro storie, il bisogno e la voglia di essere se stessi con orgoglio. Da qui nasce l’idea di inserire nel gioco alcuni rappresentanti della community di ogni città”. Per San Francisco, la prima città che verrà completata e presentata a Lucca Comics, è stata coinvolta Juanita More, drag, performer e attivista, amata e apprezzata dalla vivace e eclettica comunità di questa città cosmopolita e aperta, da sempre considerata una delle gay city più importanti al mondo