David Cage: “Lo storytelling interattivo avrà sempre qualcosa da insegnare”

In occasione della terza edizione di Gamerome, la fiera internazionale per gli sviluppatori svoltasi pochi giorni fa a Roma, Gamesvillage ha avuto l’occasione e il piacere di incontrare David Cage, fondatore di Quantic Dream e fra gli autori più noti nel panorama dello storytelling interattivo a livello mondiale. Ne abbiamo ovviamente approfittato per rivolgergli qualche domanda, focalizzata sullo stato attuale dell’industria e in generale sui suoi ultimi lavori, i più importanti fra i quali sono Heavy Rain e Detroit: Become Human, che hanno segnato, con le loro storie e i loro personaggi, la storia ludica dello scorso decennio.

I tuoi lavori hanno ispirato molte persone, anche e soprattutto nel modo in cui affrontano temi molto complicati. In senso generale. sei soddisfatto di come il messaggio che, in Quantic Dream, avete voluto far passare sia giunto al mondo?
Domanda interessante, e non lo dico per semplice retorica, anzi! Sai, quando abbiamo (e ho) iniziato a lavorare su questo tipo di esperienze, partendo da Omikron e passando poi per Fahrenheit, la gente pensava fossimo pazzi, che simili videogiochi non avrebbero mai funzionato, commercialmente parlando. Sostanzialmente eri un uomo normale che viveva la sua vita, non ti muovevi “in modo ludico”, non guidavi, non sparavi, ti limitavi ad interagire con il videogioco in un modo apparentemente semplice e a seguire una storia. Fallirete sicuramente, ci dicevano al tempo. Oggi, quindici anni dopo, credo che la situazione sia cambiata parecchio: lo storytelling interattivo è stato finalmente accettato dalla maggioranza della popolazione, e trattare cose come le emozioni umane in un videogioco è diventato qualcosa non solo di tollerato, ma di perfettamente normale. In questo senso sono molto contento sia di come l’industria ha reagito a questi cambiamenti, sia di come il pubblico li ha accolti, ma al tempo stesso sono convinto che ci sia ancora molta strada da fare, soprattutto nel campo del significato dello storytelling interattivo. Il significato (meaning, n.d.r.) è la nuova frontiera da perseguire: sarà fondamentale capire in che modo il videogioco potrà connettersi con le persone, anche a livelli più profondi, in che modo la sua rilevanza potrà influenzare i tempi moderni e la società stessa.

Noi in Gamesvillage crediamo che Detroit: Become Human, oltre ad essere un’avventura che racconta in modo sopraffino profonde storie di umanità, abbia un fortissimo messaggio politico, un messaggio di libertà per tutti, un manifesto liberale. La situazione attuale in molti stati del mondo ti ha ispirato in tutto ciò? Hai sentito la responsabilità di esprimere attraverso il medium interattivo idee contrarie a quelle di determinate “correnti”?
Assolutamente. Con Heavy Rain la situazione era diversa, ero partito da emozioni personali, in particolare la relazione con mio figlio. In Detroit, invece, ho voluto parlare del nostro mondo, della nostra società. Per certi versi si, è una vera e propria denuncia di molti aspetti del mondo moderno: il modo in cui molte tematiche vengono affrontate mi preoccupa, e in generale l’evoluzione dell’umanità stessa non è sempre positiva, specie se consideriamo molte situazioni di vita quotidiana, in cui le persone sono continuamente spinte a scelte sbagliate. Detroit parla proprio di questo, e funge anche da monito a porre estrema attenzione al rapporto che l’uomo dovrà tenere con la tecnologia nei prossimi decenni, un rapporto che potrebbe portare ognuno di noi a ragionare sempre più in modo indipendente ed egoista. Allo stesso tempo, però, non abbiamo nemmeno voluto raccontare una storia insensatamente pessimista, ma che al contrario potesse contenere un messaggio fortemente umanista, in grado di descrivere, senza alcun filtro e coi suoi pregi e difetti, l’umanità stessa. Abbiamo trovato un equilibrio nella semplice idea di mostrare la nostra società, il “come diventeremo” nel convivere con gli androidi, che a conti fatti sono una vera e propria nuova specie e incarnano valori persino più umani dei nostri.

Nel tuo speech qui al Gamerome hai introdotto il discorso su Detroit parlando di temi filosofici come ispirazione per gli androidi, in particolare le dottrine di Aristotele sull’imitazione della vita: questo tema, in effetti, è presente in tutti i tuoi videogiochi, anche quando non è immediatamente riconoscibile. È davvero così importante per te? L’imitazione della vita potrebbe essere definita “vita” essa stessa?
Beh, certo che sì! (ride) Scherzi a parte, ciò che davvero affascina dello storytelling interattivo è che è la cosa più vicina alla vita vera e propria. Si possono fare scelte e subirne le conseguenze, come nella vita reale. Ovviamente quest’ultima è molto più complessa di tutto quel che noi riusciremo mai a rappresentare su uno schermo, almeno nella nostra generazione (e di questo sono sicuro). Nelle mie opere, come hai detto tu, parlo di molti temi filosofici, e l’imitazione della vita è strettamente collegata al concetto di catarsi, operazione che anche gli androidi possono compiere (quando diventano devianti), “purificandosi” e imparando non solo a provare emozioni, ma anche a capirle meglio. In realtà Detroit si distacca anche dal concetto classico di catarsi, che si fonda sull’osservazione, puntando più verso il senso intrinseco dell’essere, che implica che i personaggi facciano loro stessi delle scelte e ne subiscano le conseguenze. È anche interessante notare che, in generale, il nostro modo di approcciarci a quel che raccontiamo non è cambiato: in fondo, lo storytelling interattivo resta un linguaggio nuovo, anche dopo diversi decenni, un linguaggio che ha ancora molto da insegnarci.

Detroit è un’opera meravigliosa, ma non è stata forse compresa come avrebbe meritato da una discreta fetta di pubblico e critica. Secondo te, come può l’industria del videogioco superare questo “fraintendimento” e comunicare a quante più persone possibile che i videogiochi sono (e dovrebbero essere) anche questo e raccontare storie di una simile portata?
Io credo che voi, la stampa, abbiate un ruolo cruciale in tutto ciò nei prossimi anni. Siete anche e soprattutto voi ad avere le chiavi per decodificare le nostre opere e spiegarle nella maniera corretta al pubblico, se davvero ci credete. Più (e meglio) ne parlate, più persone cambieranno opinione. Esiste però una fetta della stampa e del pubblico che è molto conservativa, e vuole gli stessi videogiochi ancora e ancora, realizzati magari con migliori tecnologie. Non vogliono giochi che si evolvano costantemente e parlino di temi differenti. Noi come autori dobbiamo puntare ad osare, a fare quando serve anche il contrario di quel che ci viene chiesto, perché siamo noi ad anticipare le mode. E voi potete supportarci in tutto ciò.

Parlando infine di come lo storytelling interattivo si sia evoluto nell’industria negli ultimi 20 anni, credi che in futuro potremo vedere una storia altrettanto bella e coinvolgente come quella di Detroit applicata ad un’altra formula di gioco, magari più aperta e con più possibilità? Secondo te sarà questa la grande sfida che l’industria dovrà affrontare nella prossima decade, o ci si concentrerà sul fare le stesse cose, ma in maniera migliore?
Credo tu possa già indovinare quel che sto per dirti. Numericamente parlando mi piacerebbe che sempre più videogiochi abbiano il coraggio di esplorare nuove direzioni. C’è ancora tantissimo da fare, tanto da esplorare: l’interattività  su cui da sempre si fondano i videogiochi è affascinante anche per questo, in fondo. Personalmente trovo noioso che tendano a ripetersi ancora e ancora gli stessi stilemi, sia nel design che nella narrativa, ma esiste un mercato anche per quei videogiochi, dunque è comprensibile che continuino ad essere pubblicati. Al contempo, però, credo che i più grandi publisher, se riuscissero ad avere sempre quel minimo di indispensabile lungimiranza, dovrebbero imparare ad investire una piccola porzione dei loro guadagni nel pianificare il videogioco che verrà, pensando al futuro, a nuove idee, nuovi concept, con la stessa veemenza con cui guardano al presente. È importante anche guardare a ciò che giocheremo domani, senza necessariamente basarci sempre su quel che abbiamo provato ieri.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.