“Stan Carlisle si teneva a una buona distanza dall’entrata del tendone, illuminata da una lampadina appesa a un filo, e osservava il mangiabestie.”
Inizia così l’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, pubblicato nel lontano 1946, dal quale è tratto l’ultimo lavoro per il grande schermo di Guillermo del Toro, che a quattro anni dal clamoroso successo di critica e di pubblico de La forma dell’acqua (2017) – premiato, ricordiamolo, con il Leone d’oro e ben quattro premi Oscar, incluso quello per il miglior film – torna dietro la macchina da presa per firmare un moderno noir. In attesa di vedere il suo Pinocchio made in Netflix , il regista messicano confeziona una di quelle pellicole “come non se ne vedono più” o che, senza voler ragionare per assolutismi, è effettivamente sempre più raro vedere, almeno per ciò che concerne l’approccio alla storia e ai personaggi: perché dietro la patina da blockbuster indirizzato al grande pubblico, La fiera delle illusioni – Nightmare Alley nasconde sfumature di vario tipo che si rifanno non solo agli archetipi del filone ma anche ad un immaginario horror da sempre consolidato nello stile del regista. E non è un caso, sotto queste premesse, che ne sia stata realizzata anche una versione in bianco e nero, dal suggestivo sottotitolo Vision in Darkness and Light, che è stata proiettata in alcuni cinema selezionati d’Oltreoceano nel gennaio appena trascorso.
Nightmare Alley: l’arte oscura
Difficile dire dove inizi l’incubo e finisca la magia in due ore e mezzo di visione ricche di eventi e di spunti, laddove la solo apparente lentezza è in realtà giustificata da un approfondito scavo psicologico dei personaggi, ognuno con un proprio personalissimo percorso da seguire fino a quell’epilogo doppiamente beffardo, sia nei confronti di chi direttamente coinvolto che del pubblico: un approccio accattivante e respingente al contempo, che rispecchia pienamente quanto incarnato dal personaggio di Bradley Cooper. Ci troviamo infatti di fronte ad una figura ambigua, sospesa tra genio e debolezze, che si appresta a scelte non sempre condivisibili e proprio per questo risulta ancora più affascinante, lontana da quel prototipo di eroe hollywoodiano duro e puro al quale ormai il cinema americano ci ha da lungo tempo abituati.
Nightmare Alley era già stato adattato per il cinema un anno dopo l’uscita del libro in un film con protagonista una star dell’epoca come Tyrone Power, un titolo che a dispetto dello scarso riscontro al botteghino aveva degli spunti notevoli e la stessa cosa, flop al botteghino incluso – poco più di venti milioni di dollari d’incasso a dispetto di un budget di oltre sessanta – si può dire di questa nuova trasposizione. Del Toro trova infatti la giusta alchimia per trasportare in immagini le conturbanti pagine del testo originario e intesse un’atmosfera magistralmente inquieta, dove si respira un costante, opprimente, senso di attesa e di perdizione, con il destino dei personaggi messo costantemente in gioco dagli eventi. Si ha un parziale senso di distacco tra la prima e la seconda parte, ma questo è dovuto anche alla storia alla base che, dopo la prima parte ambientata nel luna park itinerante si sposta nei dedali cittadini di una New York mai così cupa…
Senza via di scampo
Nel 1939 Stanton Carlisle è una sorta di uomo in fuga dal proprio, recentissimo, passato. Giunto nei pressi del baraccone itinerante gestito da Clem, viene assunto e apprende le arti divinatorie dalla veggente Zeena e da suo marito Pete. Nel frattempo Stan si innamora, ricambiato, della giovane Molly, che ha la capacità di assorbire le scariche elettriche nei numeri in cui è protagonista. I due partono assieme e si trasferiscono nella Grande Mela, dove il protagonista diventa famoso con il nome del Grande Stanton: lui e Molly, tramite un sistema codificato di loro conoscenza, riescono a ingannare il pubblico e a far credere di essere in possesso di poteri mentali fuori dal comune. Il successo è sempre più grande ma, come tale, attira anche maggiori polemiche, con diversi spettatori che mettono in dubbio le effettiva capacità “mistiche” della coppia. Tra questi vi è la dottoressa Lilith Ritter, una psicologa che cerca di far venire alla luce i loro trucchi salvo cadere essa stessa nella trappola, finendo per essere vittima del tranello. La donna resta ad ogni modo affascinata da Stan e tra i due nasce una relazione morbosa, nella quale finiranno ben presto coinvolti alcuni degli uomini più ricchi della città, che sono tra i clienti di Lilith. Stan finirà in un gioco molto pericoloso…
Si respira nella prima parte una sorta di potenziale omaggio ad un caposaldo del cinema grottesco, ossia il seminale Freaks (1932) di Tod Browning, con l’immaginario di individui deformi e/o dotati di abilità fisiche e mentali che si appoggio a quella visione horror da sempre nelle corde del cineasta: l’entrata in scena del mangiabestie o il campionario di feti sotto formalina hanno un sapore squisitamente dark, perfettamente in linea con quanto avrà luogo nell’immediato proseguo. Perché se pur vero che vi è una specie di distacco tra le due anime del film, è pur vero che lo spirito maggiormente noir della seconda metà si caratterizza per un alone altrettanto cupo e febbrile, con la suspense drammatica che prende rapidamente il sopravvento nella girandola di colpi di scena e situazioni scomode che coinvolge i protagonisti. E se Bradley Cooper, Cate Blanchett e Rooney Mara sono perfetti nel dar vita al triangolo principale, non da meno è il cast di supporto che vanta in ruoli più o meno corposi – ma sempre e comunque incisivi – nomi del calibro di Willem Dafoe, Ron Perlman e Toni Collette.
Il noir torna a nuova vita grazie a Guillermo del Toro, che si cimenta nell’adattamento dell’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, già portato sul grande schermo oltre settant’anni fa in un film con Tyrone Power. Qui il protagonista è interpretato da Bradley Cooper, il quale è al centro di un cast all-star che rende giustizia all’affascinante testo di partenza: ognuno dei personaggi trova infatti ideale caratterizzazione e il racconto si sviluppa su percorsi sempre più torbidi e accattivanti, capaci di innescare un’atmosfera delle grandi occasioni che opprime e inquieta progressivamente nel corso delle due ore e mezza di visione. A dispetto di una parziale lentezza che si respira in sporadici passaggi, La fiera delle illusione – Nightmare Alley centra l’obiettivo e si rivela uno spettacolo lucido e intelligente, dove il contorno psicologico va di pari passo con un intrattenimento maturo e dal taglio amabilmente dark.