Come ridefinire l genere degli sparatutto in terza persona e vivere felici.
Shinji Mikami è matto nella testa. Questo è un dato di fatto, perché negli ultimi anni l’industria del videogioco giapponese è un po’ partita per la tangente, quindi ormai da lì arrivano solo due generi di produzioni: i capolavori e le schifezze. Purtroppo, siccome non viviamo in un mondo perfetto, di titoli davvero imperdibili se ne vedono sempre meno, ma questo non ha impedito ad alcuni genietti con gli occhi a mandorla di uscirsene con delle vere e proprio perle. Lo abbiamo visto con Bayonetta, una vera e propria rivoluzione nel campo degli action game, e ora tocca al genere degli sparatutto in terza persona prendere un solenne calcio nei denti. Già, perché Vanquish non ha proprio mezze misure. Anzi, sotto certi aspetti smonta letteralmente tutte quelle regolette non scritte, ma ben incise sull’armatura di Marcus Phoenix.
Scordatevi gli ipertrofici marine di Gears of War, il loro incedere pesante, quel continuo avanzare lento fatto di sparatorie nascosti dietro l’ennesimo ostacolo; in Vanquish l’azione è, come dire, schizzata, come se vi avessero iniettato una siringa di adrenalina nel cuore. Non c’è tempo per respirare, per sbattere le palpebre o altre facezie del genere: bisogna solo correre, sparare e combattere contro una marea incessante di nemici, sfruttando ogni abilità del proprio personaggio.
L’eroe del gioco è Sam Gideon, un ricercatore della DARPA, l’agenzia USA che si occupa di creare le tecnologie migliori per i soldati del domani. Non per nulla indosseremo un nuovissimo tipo di armatura ipertecnologica in grado di farci muovere a velocità impossibili, donandoci nel contempo un’agilità senza pari, una forza spropositata e tutta una serie di armi potenzialmente letali.
Il nostro obiettivo sarà quello di fermare un pericoloso dissidente russo noto come Victor Zaitsev, che dopo aver spazzato via San Francisco con una micidiale cannone laser satellitare, tiene sotto scacco gli Stati Uniti minacciando lo stesso destino per New York. Dovremo così abbordare la stazione spaziale SC-01 Providence da dove è partito l’attacco e, affiancati dal pluridecorato Robert Burns e dai suoi commilitoni, farci strada fino a stanare il malvagio Victor. In realtà, le cose si faranno nel giro di poco un filo più complicate, e non mancheranno clamorosi risvolti.
Uno degli aspetti meglio riusciti di questa produzione è indubbiamente lo stile grafico adottato, che è un vero e proprio tributo ad alcune leggendarie serie animate, come Tekkaman, Hurricane Polimar e Kyashan. In particolare, questo si nota nei combattimenti contro alcuni dei boss, dei robottoni enormi che spesso vengono finiti con mosse spettacolari, tipo il trasformarsi in una sorta di trivella umana in grado di attraversare da parte a parte l’ostinato nemico. Si tratta di sequenze scriptate in cui l’intervento del giocatore è minimo, ma almeno la varietà non manca.
Tecnicamente c’è ben poco da lamentarsi: la fluidità, nonostante l’enorme quantitativo di effetti video a schermo, si mantiene sempre su ottimi livelli: in particolare, sono eccellenti l’illuminazione dinamica e la gestione delle ombre, senza discriminanti a sfavore di una delle due piattaforme (al contrario di Bayonetta, la versione PS3 è identica a quella 360).
Per quanto riguarda lo stile di gioco, abbiamo sì a che fare con uno sparatutto, solo molto ma molto più sincopato della concorrenza. Sembra un dettaglio da poco, ma la differenza è sostanziale: le battaglie si trasformano, diventano più caotiche, ma anche infinitamente più divertenti. Imparare a usare l’armatura, e in particolare la “modalità AR” (una sorta di bullet time), diventa fondamentale per affrontare i combattimenti più furiosi. Ottima anche l’idea legata al potenziamento delle varie armi, attraverso upgrade che sono immediatamente disponibili sul campo di battaglia. Questo è perfettamente in linea con lo stile frenetico di gioco, il che significa che non troverete i soliti pseudo-denari da spendere fra un livello all’altro.
Il tocco dei Platinum si vede anche nella varie ambientazioni, sempre molto ben caratterizzate e ricche di dettagli. Lo stesso discorso vale per i nemici, di una varietà apprezzabilissima, laddove in produzioni simili ci si ritrova ad affrontare sempre gli stessi tizi per ore. Sul discorso longevità c’è da fare una precisazione: nonostante qualcuno abbia millantato una brevità da Modern Warfare, in realtà molto dipende dal livello di difficoltà. Esattamente come in Bayonetta esiste una modalità definita “facile automatico”, dove l’azione è notevolmente semplificata, ma ovviamente questa cosa finisce con lo snaturare completamente la giocabilità. Vi garantiamo che già a livello “normale” occorrono riflessi d’acciaio per uscire dagli scontri più complessi: Vanquish è proprio il classico titolo da giocare e rigiocare per migliorarsi costantemente. Bellissime, infine, le sequenze d’intermezzo, degne davvero di un OAV, che per certi versi ci fanno venire un po’ di nostalgia per quello che furono i due splendidi ZOE di Hideo Kojima.
Insomma, Vanquish ci ha completamente affascinati, e anche se forse non è estremo quanto Bayonetta, è comunque riuscito perfettamente nel suo intento, quello di dare una sferzata a un genere tremendamente ingessato come quello degli sparatutto. Scusateci se è poco.