Daemon X Machina Recensione| Non è facile ritrovarsi nei panni metallici di Daemon X Machina, la nuova IP targata Marvelous che punta a rinverdire i fasti dei combattimenti robotizzati di Armored Core grazie all’estro fecondo di Kenichiro Tsukuda e Shoji Kawamori: affacciarsi sugli scaffali in un periodo così ricolmo di titoli sostanziosi per Nintendo Switch, tra sorprendenti esclusive come Fire Emblem: Three Houses e Astral Chain, fortunate conversioni del calibro di Hotline Miami Collection, SUPERHOT e Final Fantasy VIII Remastered, e l’arrivo imminente di The Legend of Zelda: Link’s Awakening, Dragon Quest XI S e Ni no Kuni, significa mettere a rischio la propria visibilità a scapito dell’impegno profuso dagli sviluppatori, che negli ultimi mesi hanno fatto le ore piccole per ottimizzare quanto più possibile la loro creatura. Ed i risultati sono più che tangibili, come del resto avevo già constatato durante le battute iniziali, perciò Marvelous ha fatto benissimo a crederci fino in fondo e sfidare, lancia (missili) in resta, tutti gli altri massicci colossi videoludici che hanno lasciato un’impronta sull’estate appena trascorsa e sull’autunno ormai alle porte, dimostrando quanto il genere abbia ancora moltissimo da dire e tante, ma proprio tante ore di divertimento da regalare. Che sia persino riuscita a farlo emergere dalla sua proverbiale nicchia per ottenere il plauso di un pubblico ancora più ampio? Solo i prossimi mesi potranno dirlo, ma nel frattempo ci accingiamo a scatenare gragnuole di proiettili, far deflagrare tempeste di missili e svuotare ettolitri di vernice sui nostri minuti ma possenti Arsenal.
I combattimenti non si svolgono soltanto fra interminabili deserti e città in rovina, ma anche all’interno di claustrofobici agglomerati di cunicoli.
Ricapitolando, Daemon X Machina ci cala nel ruolo di un Outer, un pilota di robot mercenario in un mondo futuristico, nel quale cui le intelligenze artificiali si sono rivoltate contro l’umanità: l’improvvida quanto repentina esplosione della luna ha risvegliato un’orda di gigantesche creature ostili note come Immortal ma, di contro, ha conferito poteri eccezionali ad una piccola percentuale di esseri umani, che consentono loro di controllare con incredibile precisione gli Arsenal, meccanismi antropomorfi poco più grandi di un’utilitaria con parti e armamenti intercambiabili, ultimo baluardo dinanzi alla minaccia delle IA ribelli e degli Immortal. Tuttavia, non stiamo parlando della classica storiella dove l’eroe prescelto ottiene il supporto incondizionato di tutti i personaggi che riesce a reclutare per la sua causa: nonostante la devastazione (anzi, forse proprio a causa della stessa), il mondo di gioco è stretto nella morsa di ciclopici stati nazionali controllati da altrettante corporazioni che schierano ciascuna la propria squadra di soldati di ventura, alcuni mossi da idealistici traguardi di restaurazione globale, altri da interessi puramente economici e altri ancora dal semplice desiderio di far esplodere quanti più bersagli possibile.
Daemon X Machina: il pilota migliore sono io!
Nostro compito è quello di soddisfare le variegate esigenze di suddetti consorzi, siano esse l’esplorazione di nuove zone da porre sotto il loro controllo, la salvaguardia di luoghi e oggetti d’interesse o la pura e semplice depurazione di branchi di congegni animati troppo numerosi: il compenso che riceveremo al termine di ogni missione sarà proporzionato alle nostre prestazioni in battaglia, che includono la salvaguardia dell’Arsenal, la percentuale di danni collaterali inflitti, il completamento di eventuali obiettivi secondari e altre variabili che contribuiranno a correggere in positivo o negativo i crediti guadagnati. Le vicende si diramano tutte dall’hangar principale, che funge da centro nevralgico per le modifiche, sia in termini pratici che cosmetici, da apportare al mech oppure all’alter ego digitale che impersoniamo, del quale possiamo scegliere buona parte dei tratti somatici subito dopo aver iniziato la partita (e correggerli in corso d’opera previo versamento di una quota non indifferente… i chirurghi plastici si fanno pagare bene anche dopo l’insurrezione delle macchine), nonché per la gestione e lo sviluppo di corazze, armamenti e migliorie assortite e, ultima ma non meno importante, per la selezione degli incarichi che, in maniera non dissimile ai vari Monster Hunter del passato, vengono suddivisi in solitari e cooperativi, onde coinvolgere fino a quattro Outer in carne ed ossa negli scontri con Immortal particolarmente titanici e aggressivi che fruttano bottini più appetitosi della media.
Il motore grafico dà il meglio di sé in modalità TV, potendo esprimere al massimo tutta la vivacità degli effetti luminosi e particellari
La personalizzazione è una parte fondamentale di Daemon X Machina: gli Arsenal sono customizzabili in lungo e in largo, e possono montare una quantità impressionante di attrezzature offensive e difensive, tra pistole e fucili con munizioni tradizionali oppure al laser, spade, scudi, lanciarazzi da spalla, armi esotiche come fulminatori a ripetizione e svariate componenti che alterano la manovrabilità del robot. Il gioco in effetti tende a perdersi parecchio sulla parte statistica, dato che poco o nulla viene spiegato della miriade di modificatori che influiscono sul nostro rendimento, lasciando a noi l’onere di testare ogni combinazione durante brevi sessioni di addestramento simulato oppure, per i meno pazienti, direttamente in battaglia: gli amanti di calcoli e confronti numerici troveranno di certo il loro nirvana nel comparare i pezzi più svariati, ma per tutti gli altri sarebbe stato auspicabile una breve guida per districarsi fra la pletora di sigle e abbreviazioni non sempre chiarissime, onde farsi un’idea anche in linea teorica dei benefici e degli svantaggi ottenuti da assemblaggi ben precisi. Fra gli utensili a nostra disposizione, bisogna anche considerare i poteri derivanti dal Femto, la particolare energia sprigionata dalla collisione con la luna che si materializza come un reticolato di esagoni intorno allo scattante Arsenal: a seconda della configurazione adottata, le parti ricoperte dal Femto cambiano per fornirci un riferimento visivo su quale sia il potere attivo in un dato momento, e l’energia viene ricaricata tramite frammenti emessi dagli avversari smantellati oppure avvicinandosi a particolari sorgenti terrestri che ne emettono di continuo. Una delle manifestazioni più utili del Femto è poi il cosiddetto Miraggio, ovvero un clone indipendente del robot che controlliamo in grado di sviare per qualche istante i colpi diretti verso di noi, davvero impagabile durante le fasi più concitate. La tecnologia del futuro distopico nel quale ci troviamo permette anche al nostro Outer di farsi impiantare gli innesti più adatti per aumentare le proprie abilità, sottoponendolo ad interventi invasivi che ne alterano drasticamente le fattezze: le migliorie seguono una sorta di alberatura e molte sono mutualmente esclusive, dunque è necessario pianificare a dovere la specializzazione desiderata. Beninteso, è sempre possibile espiantare tutte le protesi aggiuntive per ricominciare da zero, ma ciò significa perdere il capitale investito e non è una scelta che si effettua a cuor leggero, perciò è meglio non lasciarsi prendere troppo la mano all’inizio ed attendere di capire quale sia lo stile di gioco che vogliamo adottare prima di procedere. I trapianti tornano utili anche per garantire un minimo di sopravvivenza durante gli scontri nel caso in cui il mech vada in mille pezzi, oppure per fronteggiare al meglio quelle missioni in cui dobbiamo recuperarne uno fra quelli sparpagliati in giro per la mappa o nelle quali siamo costretti ad abbandonare l’Arsenal per raggiungere punti critici altrimenti inaccessibili: non sono molte nel complesso, ma il team capitanato da Tsukuda è riuscito ad inserire un numero di variazioni sul tema tale da non rendere la caccia alle componenti più rare ed elusive un compito troppo monotono.
Gli scontri a fuoco sono adrenalinici, ma la possibilità di attaccare le IA con le poderose bordate delle nostre spade è sempre allettante.
I combattimenti sono un altro punto di forza del titolo: fluidi, veloci e quasi del tutto privi di incertezze legate al framerate, fatto salvo per alcuni passaggi davvero onerosi per la piccola console ibrida. Armi e facoltà speciali possono essere scambiate e attivate con la semplice pressione di un tasto, ed è possibile sia riassegnare le funzionalità di questi ultimi che alterare gli elementi grafici dell’interfaccia visiva, piuttosto invadente di default nonostante la semitrasparenza, in modo che occupino la porzione di schemo più confacente ai nostri gusti. Tutto questo susseguirsi di comandi potrebbe rendere problematica la questione principale, ossia inquadrare le macchine assetate di sangue e bulloni nel tentativo di abbatterle prima che riescano a farlo loro: per fortuna, Daemon X Machina offre una funzionalità di puntamento guidato finché queste ultime si trovano nel giusto raggio d’azione, risolvendo in un sol colpo qualsivoglia intoppo dovuto alla gestione contemporanea delle capacità dell’Arsenal. La difficoltà degli scontri è altalenante ma, superate le fasi introduttive, sempre bilanciata in modo da tenere desta l’attenzione dei giocatori: i piccoli satelliti volanti, i mezzi corazzati e le postazioni missilistiche fisse non rappresentano una sfida significativa, tranne quando iniziano ad attaccare in massa oppure convergono su un obiettivo da difendere, ma quando incroceremo le armi con unità controllate da altri piloti oppure con i mastodontici Immortal di classe gigante saremo costretti a tirare fuori le unghie ed impiegare tutti i trucchi appresi fino a quel momento: in particolare, quando ci avviciniamo per tentare di distruggerne i punti più deboli, la stazza dei boss riesce davvero a impressionare se paragonata alle dimensioni ridotte del nostro mech, mentre molti degli Outer ostili ci daranno fin troppo filo da torcere e sottolineeranno la necessità di configurare l’equipaggiamento in maniera ottimale a seconda degli avversari. Inoltre, non mancano tonnellate di riferimenti per i fanatici delle serie animate robotiche più famose: ad esempio, due comprimari che mostrano una reciproca rivalità, Crimson Lord e Diablo, sono doppiati rispettivamente da Shuchi Ikeda, celebre per aver dato la voce a Char “Cometa Rossa” Aznable, e Toru Furuya, storico interprete di Amuro/Peter “Diavolo Bianco” Ray. Anche se insignificanti a livello di gameplay, questo tipo di fanservice viene sempre apprezzato da noi estimatori.
Siamo ancora vivi, è questo ciò che conta
L’unica cosa che non è riuscita a colpirmi fino in fondo, come del resto avevo ipotizzato durante la mia breve anticipazione, è la storia vera e propria che, malgrado le premesse tutto sommato interessanti, non riesce mai a sfruttare appieno il suo potenziale ed a staccarsi dai cliché di genere complottistico dei quali è infarcita. Sebbene siano piuttosto bidimensionali anche loro, i singoli personaggi rappresentano la parte più avvincente del racconto e, dopo averci volato insieme nel corso di decine e decine di incarichi, le pur dozzinali idiosincrasie che ne caratterizzano le battute li rendono di gran lunga più gradevoli del contesto nel quale si muovono: peccato soltanto che i dialoghi di Daemon X Machina si svolgano in gran parte durante i combattimenti, quando cioè la concentrazione è rivolta al massimo su ciò che sta accadendo a video, risultando perlopiù un elemento di disturbo piuttosto che un modo per approfondire i rapporti fra gli attori protagonisti. La resa grafica di questo tripudio di fuochi artificiali meccanizzati è ottimamente confezionata e si assesta su 30 FPS stabili in modalità TV, mentre la versione portatile, a scapito di un sensibile peggioramento in termini di texture e risoluzione, scende spesso e volentieri al di sotto dei 25 pur senza mostrare il fianco a scatti troppo vistosi. Nulla da obiettare sulla colonna sonora, che si è rivelata a sorpresa una delle migliori di questa già notevole annata videoludica.
In conclusione, posso tranquillamente affermare che Daemon X Machina mi ha convinto al cento per cento: al netto di qualche imperfezione marginale, Marvelous si è dimostrata incredibilmente ricettiva alle critiche e, in brevissimo tempo, ha saputo correggere il tiro con estrema competenza per lanciare un’inedito sparatutto con tutte le carte in regola per riprendere il discorso lasciato anni or sono in sospeso da FromSoftware. Le infinite possibilità di configurazione, tanto delle varie interfacce quanto degli agili mini robot, lo rendono un gioco capace di fare breccia anche nei cuori dei non appassionati, che farebbero bene a riservargli la dovuta attenzione tra un titolone blasonato e l’altro. L’eclettica libreria di Switch si arricchisce perciò di una nuova, preziosa gemma che, mi auguro, rappresenti soltanto il primo passo di una lunga, lunghissima serie.