Silent Hill The Short Message Recensione: l’inferno a portata di smartphone

Prima di proseguire spediti in questa disamina, lasciateci mettere subito in chiaro una cosa: Silent Hill The Short Message si è rivelato a una piccola occasione mancata, per varie ragioni. In primis, per motivi non propri, ci dispiace che, palesemente, il comparto tecnico mostrato da questa piccola produzione sia diverso da quello del remake di Silent Hill 2, di cui questo The Short Message poteva rappresentare una piccola “tech demo”. In secondo luogo, il problema è legato a demeriti più oggettivi e personali, rappresentati in particolar modo da una veste ludica un po’ troppo scarna e, soprattutto, da un intreccio narrativo che fatica ad ingranare, nonostante le buone premesse e l’ottimo materiale di partenza.

Del resto, Silent Hill The Short Message entra a gamba tesa, racconta una storia dai temi fortissimi ed attuali e lo fa utilizzando dei protagonisti giovani, mentalmente fragili e, giustamente, imbrigliati nella morsa del desiderio di accettarsi e di farsi accettare, come è capitato un po’ a tutti noi. Il problema, però, è che il tutto si svolge in maniera forse troppo frettolosa, troppo “pesante”, con un ritmo ingombrante e con una narrazione che si rompe un po’ su se stessa, risultando alla fine della corsa incapace di trasmettere nel modo migliore una validissima idea di fondo. Nel complesso, comunque, siamo felici di aver potuto prendere parte a questo piccolo viaggio, ma non possiamo fare a meno di pensare che con un po’ di spazio e un po’ di voglia in più avrebbero potuto dare al progetto una dimensione decisamente più impattante.

Silent Hill The Short Message: il bullismo fa schifo, diciamolo

Vogliamo subito chiarire una cosa importante: se siete alla ricerca di quel tipo di horror che vi fa saltare dalla sedia ogni due secondi, tra jump scare e mostri raccapriccianti capaci di farvi passare le notti in bianco, probabilmente siete nel posto sbagliato. Silent Hill The Short Messagge racconta e vive di un orrore più intimo e personale, prende in esame tutto quello che c’è di brutto e sbagliato nell’animo umano, e lo spiattella con ferocia in ogni messaggio e linea di dialogo o, per essere più precisi, su ogni muro, in ogni angolo di ogni singola stanza. Tra l’altro, la scelta di parlare di muri imbrattati non è casuale, anche perché i murales sono un tema ricorrente e un veicolo di comunicazione primordiale, colorato e, perché no, a tratti emozionante. La protagonista della storia, di cui però vogliamo veramente cercare di dirvi e spiegarvi il meno possibile per non sottrarvi dal piacere della scoperta, è la giovane Anita, la cui stabilità mentale ed etica sembra subito essere profondamente scossa e alterata da un continuum di eventi passati apparentemente tanto spaventosi quanto dolorosi.

Il filo che lega gli eventi di The Short Message è proprio un misterioso messaggio ricevuto dalla protagonista, in cui viene invitata a recarsi un posto ben preciso da una sua “vecchia” conoscenza. L’incipit è sicuramente molto inflazionato, ma ha comunque il suo perché. La parte iniziale della storia è decisamente accattivante, ha un buon ritmo, ma soprattutto sembra avere un gran potenziale nascosto dietro a quello smartphone che, un po’ come accade nel mondo reale, è praticamente l’unica certezza su cui Anita può contare. In realtà, bastano pochi secondi per capire come in parte le buone sensazioni iniziali siano destinate a rimanere un po’ deluse nel tempo, a causa principalmente di un filone narrativo che tende a girare un po’ troppo su stesso, finendo vittima di una voglia smodata di raccontare tante cose insieme e di trattare con la stessa cura, nelle intenzioni, tanti argomenti diversi, unita al bisogno di stringere i tempi, condensando il tutto in quella manciata di ore necessarie per portare al termine l’esperienza.

Silent Hill The Short Messagge racconta una storia, come dicevamo in partenza, che affonda le sua radici non nel folklore o nel fascino di qualche credenza popolare di un particolare paesino sperduto ma, anzi, si affida ad argomenti spaventosamente attuali, che fanno da specchio riflesso ad una location allo stesso modo attuale e familiare. Del resto, qualcuno ha scritto che non c’è nulla di più spaventoso dell’essere umano, e Silent Hill The Short Message sembra proprio voler ereditare in scala 1:1 questa convinzione, servendosene come biglietto da visita, fin dalle prime battute. Il bullismo, il razzismo, la paura di rimanere soli, il fardello di una famiglia disturbata e finanche il suicidio: il piccolo viaggio firmato Konami, frutto del lavoro di leggende del settore come Masahiro Ito, vuole veicolare un messaggio forte e chiaro, ma non lo fa nel migliore dei modi, per i problemi che vi abbiamo elencato in precedenza. Il racconto narrato risulta troppo scontato, esposto male e privo di colpi di tacco particolari, e soprattutto perde di mordente in maniera progressiva con il passare delle ore, culminando con un finale emozionante, ma figlio delle stesse problematiche sopraelencate.

Silent Hill The Short Message

Scappare dai propri demoni interiori (e non solo)

Sul piano del gameplay, l’esperimento di Konami, inutile girarci intorno, si pone come un po’ come il figlio illegittimo di quel meraviglioso gioco che sarebbe potuto diventare P.T., senza che gli eventi che ormai conosciamo fin troppo bene ne stroncassero sul nascere tutte le eventuali (ma evidenti) virtù. Quello che ne consegue è un gioco in cui, all’atto pratico, la protagonista Anita può fare ben poco per contrastare i pericoli che è costretta ad affrontare, in cui il desiderio e la voglia di scappare via rappresentano le uniche strade veramente fattibili, ma nemmeno così tanto. La giovane Anita può soltanto scappare, non possiede poteri e non ha strumenti di difesa di alcun genere e no, a differenza di altri illustri esponenti del genere, la fotocamera del suo unico tool, lo smartphone, non può in alcun modo catturare nulla che non siano gli sguardi viziati da terrore e rimorso della giovane protagonista.

Scappare, dunque, è l’unica possibilità di salvezza. Lo è davvero, perché il palazzo in cui la protagonista viene attirata dai misteriosi messaggi dell’amica Maya è infestato da una presenza oscura, spaventosa ed enigmatica, una presenza eterea capace però di attentare alla vita della protagonista, e di fatto sembra essere lì apposta. Durante le fasi esplorative, che servono più che altro come mezzo per ricostruire i tasselli di un passato doloroso e angosciante, la creatura misteriosa, di tanto in tanto, fa sentire la sua presenza e in quei frangenti è necessario affidarsi alle proprie capacità mnemoniche e logico-deduttive per disegnare un percorso che permetta ad Anita di non incappare nella spaventosa e affascinante creatura e nella sua morsa floreale.

Fondamentalmente, l’esperienza ludica si racchiude in questi piccoli micro-esperimenti. Il core è quello di una sorta di avventura dinamica, con poca interazione e con qualche piccolo enigma ambientale da risolvere con una discreta semplicità, e, tra l’altro, il gioco è anche sprovvisto del game over giacché, sfruttando un espediente narrativo di cui non vogliamo anticiparvi nulla, una volta che la creatura riesce a sopraffare la giovane Anita questa non muore, ma ritorna al punto di partenza, in un circolo vizioso e senza fine, che si può spezzare soltanto trovando coscienza di se stessi e delle proprie azioni.

Silent Hill The Short Message

Orrore sublime, ma zoppicante

La formula che si lega all’esperienza di gioco è dunque un po’ debole, non offre molti spunti, ma è comunque un discreto punto di partenza per quello che potrebbe essere il futuro della serie, o almeno sembra essere quella l’idea alla base degli sviluppatori. Questo The Short Message, del resto, prova a prendere le distanze con il passato della serie, e sembra voler riscriverne in qualche modo i concetti più importanti alla base della sua concezione, ma non tutto, comunque, ci ha potuto convincere che questo percorso intrapreso abbia tutte le caratteristiche idonee per diventare quello giusto.

Anche sotto il profilo audiovisivo, del resto, il lavoro svolto ci è sembrato vittima degli stessi alti e bassi, con la bilancia che però, stavolta, pende maggiormente verso la parte più positiva. Partendo dal design della creatura, passando per le (poche) location e culminando soprattutto in un sonoro splendido, curato e spaventosamente angosciante, il risultato ottenuto sotto il profilo dell’ispirazione tecnica ed artistica è decisamente soddisfacente. Anche le sequenze con attori (o, per meglio dire, con l’attrice) reali ci hanno lasciato delle buone sensazioni, soprattutto pensando a quello che potrebbe generare in futuro questa tipologia di esperimenti creativi che, comunque, come abbiamo già visto con il recente Alan Wake 2, hanno tutte le carte in regola, se fatti bene, per creare qualcosa di potenzialmente meraviglioso.

Il rovescio della medaglia, però, è un comparto tecnico non esattamente in grande spolvero. Durante le frasi esplorative, specialmente quelle in cui bisogna scappare dalla creatura, il frame rate, che nelle intenzioni dovrebbe raggiungere i 60 frame al secondo, soffre di una fortissima instabilità, con la frequenza di fotogrammi che cala fortemente anche al di sotto dei 30fps in diverse occasioni, rendendo così la fuga di Anita ancor più complessa. Anche la resa di alcuni shader e di alcuni pre-set ambientali sembra non godere della stessa cura con cui sono stati realizzati i modelli della creatura o della protagonista, per fare un esempio, ed è un gran peccato, anche perché il risultato finale è comunque valido, al netto dei limiti tecnici sopracitati.

Piattaforma: PS5

Sviluppatore: Konami

Publisher: Konami

Data d’uscita: 31.01.2024

Silent Hill The Short Message è un po’ un’occasione mancata, ma ha comunque degli spunti interessanti. La scelta di raccontare un orrore diverso da quello più inflazionato e canonico è sicuramente apprezzabile, ma la resa della storia è altalenante, e soprattutto finisce vittima di un qualcosa che sembra essere stato creato in maniera frettolosa e con il bisogno di concludersi forse troppo velocemente. Il risultato finale, considerando anche i grandi limiti ludici della produzione, è acerbo, ha il gusto del “vorrei ma non posso”, ma siamo comunque convinti che, se la strada intrapresa da Konami per il futuro del brand è questa, le buone potenzialità sembrano esserci tutte.

Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.