Call of Duty Black Ops III – Recensione

Mamma mia, che abbondanza. Due storymode da 8-10 ore, cooperativa con gli zombie, livelli sfida in classifica, easter egg giocabili e opzioni multiplayer portano Black Ops III a livelli mai raggiunti in termini di nudi contenuti, proseguendo sulla strada più liberamente “pulp” della serie di Treyarch. Avremo modo di parlare della tenuta non perfetta della trama, così come del bilanciamento non esattamente cristallino del multigiocatore competitivo, ma è indubbio che ci siano un sacco di cose da fare e da vedere, in Black Ops III, e che il loro livello sia abbastanza buono da soddisfare un sacco di palati. Milioni di persone, direi.

DIGITAL NIGHTMARES

Lo scenario inquadrato nella campagna si riferisce al 2037, più di dieci anni dopo gli eventi della parte futuristica di Black Ops II. Le nazioni mondiali si sono unite in due nuove alleanze – l’accordo di Winslow e il Patto di Difesa Comune- per impedire il ripetersi di catastrofi di matrice terroristica come quella provocata dal Menendez (eccezionale cattivo di BOII), annullando le minacce aree con sofisticatissime misure di difesa. Sono i cambiamenti climatici, però, con conseguenti carestie e sconvolgimenti territoriali, a portare le fazioni verso un nuovo, durissimo periodo di Guerra Fredda, con il potenziamento della robotica militare a far da ago della bilancia.

Dettagli a parte, non tutta la trama ci è piaciuta allo stesso modo, principalmente a causa di un numero fin troppo fitto di dialoghi, personaggi e fazioni, che finiscono per offrire un quadro d’insieme molto meno chiaro rispetto al plot di Black Ops II (non lineare e ben scritto). Le cose migliorano, però, quando le suggestioni in stile Ghost in the Shell iniziano a tirare i cardini della serie, fino a strapparli completamente: è vero che gli sviluppatori americani (e intendo quelli dei tripla A, schiacciati da mille responsabilità commerciali) difficilmente riescono a far risplendere il “cyberpunk d’azione” al livello dei colleghi giapponesi, ma almeno va riconosciuta la capacità delle missioni avanzate di Black Ops III di acchiappare il giocatore in un tripudio di visioni cibernetiche, su cui gli artist-designer di Treyarh devono essersi divertiti un sacco. Ci sono poi riferimenti cinematografici niente male, come quelli a Source Code di Duncan Jones, mitologiche canzoni a riscaldare gli animi e attori più o meno noti perfettamente in parte, per uno spettacolone che ha forse troppe pretese rispetto al solito, ma viene salvato in discreta scioltezza dalla grande professionalità di Treyarch.

Black Ops 3_MP_Havoc_WM

LIVING IN THE HUB

Le novità principali del gameplay sono sostanzialmente due, strombazzate fino allo spasimo nel corso dell’anno: la prima riguarda la possibilità di affrontare la corposa campagna con tre amici (o perfetti sconosciuti, fate voi) in cooperativa, con un livello di sfida che inizia a diventare interessante a livello Veterano; la seconda, invece, vede il timido tentativo di Advanced Warfare – con il breafing tra le missioni – trasformarsi finalmente in un vero e proprio HUB, la Safe House, dove possiamo gestire/sbloccare l’equipaggiamento, potenziare le skill, cimentarci in livelli bonus e accedere a diverse opzioni di personalizzazione, per il personaggio come per le armi.

Il co-op sulla campagna si è dimostrato un’introduzione valida, almeno a livello di sfida, ma non ha mancato di farci storcere il naso in un paio di punti. Quando un compagno raggiunge un obiettivo, ad esempio, tutti gli altri vengono “teletrasportati” alle sue spalle: ovviamente la soluzione non è nuova per gli action cooperativi, ma in questo caso va a inficiare pesantemente la componente narrativa di BOIII, a meno di non aver già percorso da soli l’avventura. Se vogliamo, poi, la bizzarra presenza di quattro versioni del protagonista in alcuni casi sembra andare nella direzione giusta, sottendendo a qualche artificio digitale, ma si guarda bene dall’approfondire l’affascinante questione.

C’è anche da dire che, per certi aspetti, in Black Ops III vale quanto visto in tanti altri CoD, al di là dei proclami sulle IA: che si sia da soli, oppure in compagnia, alla fine è sempre il caos della battaglia a farla da padrone, per cui adottare una qualsiasi tattica ragionata, oltre al ripararsi e ricaricare energia, è ancora un’impresa ardua e tendenzialmente priva di senso. Anche sulle skill del “Cyber Core” il giudizio è positivo con riserva: i tre rami – grossomodo relativi a facoltà di hacking, innesti fisici e poteri distruttivi – in gran parte sfruttano la fitta presenza di droni e androidi da combattimento, e tuttavia avremmo voluto mischiare più liberamente le abilità a disposizione, senza doverci portare in battaglia una sola specializzazione per ogni missione. D’altronde, prima ancora di arrivare al multiplayer e allo zombie-mode, BOII offre ulteriori possibilità di personalizzare la campagna, come i Tactical Rigs (meccaniche proprie del multiplayer applicate allo storymode, dal doppio salto alla possibilità di imbracciare le armi dei nemici) e le tante variazioni estetiche, insieme all’ormai tradizionale easter egg con sfida arcade e visuale top-down, e a qualcosa di ancora più corposo che ci ha fortemente colpiti in positivo. Anzi, la prossima volta si potrebbe pure partire di qui.

ZOMBIE, ZOMBIE EVERYWHERE

La modalità Nightmare è stata “leakata” nei giorni scorsi, dunque dovreste già saperne qualcosa: in buona pratica, si tratta di una vera e propria campagna alternativa, di durata paragonabile a quella principale, che prosegue le vicende di uno dei coprotagonisti – il soldato Hendriks – portandole nel territorio di un piacevole B-Movie: le nuove sequenze di dialogo si fanno più libere ed esuberanti, gli infetti vanno a sostituire (o affiancare, in taluni casi) i robot e sulla mappa compaiono elementi tipici della modalità zombie, come i power-up e la cassa magica per vincere un’arma a caso.

Il tutto è risultato molto divertente, e ha fatto da inusitato e lunghissimo antipasto al co-op di Shadow of Evil. Com’è noto, l’avventura non ha nulla in comune con le storie appena descritte, ed è anzi contestualizzata nelle atmosfere noir di Morg City, una città ispirata alle metropoli di Chicago e New York degli anni ’40, dove un gruppo di stilosi personaggi (interpretati nientepopodimeno che da Jeff Goldblum, Heather Graham, Ron Perlman e Floyd Campbell) deve vedersela con ondate di orride cerature. Al di là delle atmosfere, visivamente eccezionali, abbiamo apprezzato la piega lovecraftiana dei nemici: stavolta i nemici non sono solo gli zombie, e anzi la gamma si amplia in mostri multidimensionali molti vicini, per l’appunto, alle creature immaginate dal genio di Providence, oltre che in diverse trovate del gameplay. Abbiamo, ad esempio, la possibilità di trasformarci temporaneamente in un mostro tentacolato investendo denaro sull’apposito altare, così da aprirci un sacco di possibilità non solo per sfoltire i nemici, ma anche per accedere a meccanismi, porzioni di scenario e appigli speciali sul fianco degli edifici.

Non mancano i dettagli mutuati dagli altri capitoli, come i segreti da sbloccare (un misterioso tizio a cui sparare, ad esempio, per saltare direttamente alla quinta ondata), “mezzi pubblici” per per spostarsi tra scorci di città (una sorta di metro à la Bioshock, in questo caso), insieme allo spazio rituale già visto in BOII, foriero di obiettivi specifici e di nuove prelibatezze da sbloccare. L’impegno richiesto è sempre elevato, anche ai più bassi livelli di difficoltà, ed è comunque qui, oltre che nella modalità Nightmare, che va ricercato il maggiore divertimento di Black Ops III in singolo e in cooperativa. Per tutto il resto c’è il multiplayer competitivo.

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CYBERNETIC FRAG

L’impianto multiplayer di Black Ops III cerca di innovare i canoni della serie, e al contempo di preoccupa di non stravolgerne il senso: da una parte abbiamo il ritorno del pick 10 (altrettanti pezzi da piazzare nel roster di abilità, tra armi, accessori e perk), accanto a ulteriori novità sci-fi in zona scorestreak e al nuovo Black Market, foriero di diverse e più rare varianti per l’equipaggiamento; dall’altra troviamo l’introduzione di nove specialisti (quattro subito disponibili, cinque da sbloccare) con armi/abilità dedicate, due per ognuno, che non vanno a mutare più di tanto la sostanza del gameplay, soprattutto nei rapporti di forza fra giocatori, ma lo rendono sicuramente più vario. L’idea, com’è noto, è vicina ai poteri speciali di Destiny, e ha come principale limite il fatto di offrire effetti molto più efficaci in specifici casi, in particolare con i danni ad area (lancia-granate, frecce esplosive, lanciafiamme) o con determinati “trucchi” di movimento (teletrasporto di alcuni metri, invisibilità temporanea): il giudizio potrebbe cambiare nelle prossime settimane, non avendo potuto provare per decine di ore i personaggi avanzati, come invece ho fatto con gli altri, fin dalla beta, e tuttavia la sensazione è quella descritta, con alcuni specialisti – come Reaper – che risultano davvero belli sul versante estetico ma abbastanza inutili in almeno uno dei loro poteri (le lame, nel suo caso).

Abbiamo apprezzato, infine, l’introduzione delle sfide Freerun per far pratica su alcune meccaniche chiave, come la corsa sui muro, il doppio salto e i colpi al volo, ma abbiamo gradito molto meno la sostanza delle vere modalità competitive, fin troppo simili al passato: l’unica davvero inedita è Safeguard, dove una squadra deve scortare un androide controllato dalle AI, laddove l’altro team deve rallentarlo il più possibile; tutto il resto corrisponde a una selezione di modalità già viste e rodate, dal relativamente recente Uplink (un CTF “in salto”, nella pratica) fino ai soliti Uccisioni Confermata, Hardpoint, Gun Game e Search & Destroy. Le altre modalità non sto nemmeno a ricordarvele: passate al commento e state sereni.