From Software e il suo regalo alla comunità videoludica: i souls-like!

From Software

L’universo videoludico è profondamente cambiato. Col passare degli anni e delle generazioni, e con il cambiamento della stessa società “giocante”, si è insidiato un po’ dappertutto quel desiderio irrefrenabile di cambiamento. In tanti – con alterne fortune – hanno tentato di rivoluzionare il concetto in seno al videogioco, con idee, iterazioni e modo di vedere la questione sempre diversi. Poi, un bel giorno, arrivò un signore conosciuto come Hidetaka Miyazaki-san, leader e fondatore di una delle software house che, da lì a poco, avrebbe praticamente rivoluzionato la storia del gaming moderno. Come? Più semplicemente di quanto ci si potrebbe immaginare, rispolverando quelli che un po’ rappresentavano i capisaldi della vecchia concezione del videogioco: difficoltà, boss indimenticabili e un level design mai banale. Basandosi su questi tre concetti, From Software ha spinto l’asticella del proprio operato verso nuove vette, liberandosi da ogni forma di giudizio esterno e soprattutto senza il timore di fallire, nemmeno portando sul mercato un prodotto tremendamente di nicchia e, verosimilmente, destinato ad un pubblico più elitario e decisamente più esigente.

È il lontano 5 febbraio 2009 quando, almeno in patria, la software house rilascia quello che, da lì a breve, avrebbe dato vita ad un vero e proprio genere videoludico a sè stante, quel piccolo gioiello che corrisponde al nome di Demon’s Souls. Sì, lo sappiamo bene: Demon’s Souls era un titolo pieno di problemi, con tante magagne strutturali e tecniche, e con forti limitazioni, dovute ad un level design sì magistrale, ma limitato dalla scelta di affidarsi a livelli circoscritti a macro aree ben delineate. Quello che però lo ha reso un prodotto indimenticabile è stato l’approccio narrativo che il titolo ha offerto al giocatore. Un universo vasto, ricco di storia e pullulante di informazioni su luoghi, figuri e demoni vari, da scoprire, però, soltanto grazie alla propria bravura nel dedurre quella manciata di informazioni che il titolo offriva. Un universo criptico, dunque, ma dannatamente ostile, ricco di minacce ad ogni angolo: quello che oggi, tutti quanti noi, definiamo più semplicemente un “souls-like”.

Sì, gli amatissimi, ma anche odiati, souls-like sono nati proprio da una costola di Demon’s Souls, papà – o fratello maggiore – della prima vera e propria incarnazione simil perfetta del nuovo sottogenere: Dark Souls.

From Software

Live, Die, Repeat: la formula di From Software

Spesso, e per certi versi ingiustamente, si tende a dimenticare Demon’s Souls nella genesi del genere, giacché quest’ultimo ha peccato sotto diversi aspetti, risultando quasi imparagonabile al suo fratellino minore, partorito soltanto qualche anno dopo con ostentata felicità da Miyazaki e From Software.

Dark Souls si distacca subito da Demon’s per quanto riguarda la scelta del mondo aperto, completamente esplorabile, a vostro rischio e pericolo. Volete un esempio? Potete trovarvi, praticamente all’inizio, in una delle mappe più avanzate del gioco, risultando nient’altro che la preda delle molteplici creature che bazzicano intorno ad un agglomerato di cadaveri e ossa frantumate. La strada intrapresa, assolutamente giusta e alla fine più che condivisibile, ha anche portato nella concezione dei giochi una macabra visione del mondo, in cui ogni luogo visitabile è pervaso da una sana follia e da orrori di ogni forma e dimensione. Questi elementi diventano l’emblema di un nuovo tipo di videogiochi, che lentamente sono usciti dall’anonimato fino a diventare una vera e propria manna dal cielo, specialmente per i più avvezzi con situazioni quali il dolore, sia esso psicologico o fisico, chiaramente pad alla mano. From Software, però, ha saputo plasmare e rimpinguare la propria visione del videogioco, sperimentando nel tempo nuove tipologie di souls-like, differenti nella concezione e magari nell’ambientazione, ma con i dogmi ben impostati e sempre lì, pronti a farsi beffe dei più ingenui. È arrivato Dark Souls II, ricco di buoni propositi e di qualche novità potenzialmente allettante, ma senza la supervisione diretta di Miyazaki il titolo ha faticato non poco, specialmente sul piano della narrazione e della complessità e vastità geografica.

From Software

Bloodborne: l’evoluzione di una concezione

Nel mentre, però, è piombato sul mercato Bloodborne, che ha reinventato completamente il concetto dei souls-like. Più dinamico, più veloce, ancor più brutale, Bloodborne ha spinto i giocatori a evolvere ancora una volta il proprio gameplay, a diventare dei cacciatori migliori e a non finire con l’essere velocemente la preda. Il tutto è andato a braccetto con un cambio di location impressionante per qualità e impatto.

A differenza di quanto avviene con l’universo dark fantasy dei titoli precedentemente citati, infatti, in Bloodborne From Software ci porta a respirare l’odore mai svanito del fascino di una simil Londra Vittoriana, flagellata da un morbo che ha trasformato gli abitanti in spietate bestie dall’irrefrenabile sete di sangue. Qui, come dicevamo, il concetto di souls-like si evolve, seppur senza incontrare il favore di tutta la platea, sebbene Bloodborne sia riconosciuto all’unanimità come il miglior esponente del genere. Miyazaki, però, non è mai domo e ha deciso di ritornare su Dark Souls, con un ultimo capitolo che avrebbe chiuso nel migliore dei modi una – ormai ufficiale – trilogia. Dark Souls III è la summa cum laude di tutto il lavoro svolto negli anni precedenti, un prodotto conservativo sì, ma che riesce a migliorare ogni aspetto dei suoi predecessori. Seppur significando uno stacco col neo arrivato Bloodborne, da cui eredita però lo stile più rapido e dinamico, è chiaro come Dark Souls III sia giocoforza legato ai due capitoli precedenti.

Per tal motivo, per dare sfogo al proprio estro creativo, Miyazaki e From Software hanno deciso di abbandonare la scena momentaneamente, col desiderio di creare un qualcosa di altrettanto rivoluzionario.

La pesante eredità di From Software

Nel frattempo, però, la “frittata” (buonissima) è stata fatta. I souls-like sono divenuti un po’ la nuova concezione del gioco difficile, della vena hardcore che invade il mercato, con tutto ciò che ne consegue. Diverse software house hanno infatti provato ad emulare il lavoro dei ragazzi giapponesi, con fortune però decisamente più miti. Sono arrivati i vari Lords of the Fallen, The Surge (entrambi di Deck 13), il più modesto ma comunque splendido Ashen, o i più recenti Remnant: From the Ashes e Code Vein, quest’ultimo però non ancora sbarcato sul mercato. Tutti loro hanno provato a modificare senza snaturare, a “copiare” volendo rimanere originali, mancando però, onestamente, l’appuntamento con la creazione di qualcosa di veramente indimenticabile. From Software è rimasta vigile e, come un motore di vecchia concezione, ha iniziato a caricarsi lentamente, pronta ad esplodere da un momento all’altro. La bomba porta il nome di Sekiro: Shadows Die Twice, titolo che ha segnato la svolta definitiva del team di sviluppo in favore di un livello ancora superiore o, per meglio dire differente, del termine souls-like. Sekiro, infatti, abbandona buona parte dell’iconografia dei vari capitoli della serie Souls e quella di Bloodborne, presentandosi come prodotto totalmente nuovo dal punto di vista estetico, narrativo, e soprattutto ludico. Non per questo Sekiro è da considerarsi inferiore o superiore agli altri, anzi. Per certi versi ha saputo modificare e reinventare nuovamente un sottogenere plasmato quasi involontariamente, spingendosi e spingendo (la concorrenza) a rimboccarsi ancora una volte le maniche per poter, un domani, superare nuovamente la nuova vetta toccata. Sekiro, dunque, rappresenta al momento il nuovo volto dei souls-like, seppur per ammissione dello stesso Miyazaki non debba essere visto come parte integrante di questo ecosistema, né tanto meno bisogna affrontarlo come tale. In verità, per quanto ci riguarda, Sekiro è probabilmente la naturale evoluzione di una vera e propria missione di vita, di cui assisteremo il prossimo – attesissimo – sviluppo nei prossimi anni, con l’avvento di Elder Rings che, siamo sicuri, rappresenterà il nuovo corso di una dottrina videoludica ormai imprescindibile.

From Software

Il ciclo di From Software ricomincia?

Gli anni che ci separano dalla nascita di questo termine, coniato quasi per scherzo ma divenuto praticamente un dogma imprescindibile della generazione videoludica corrente, sono ormai dieci. In questo lungo lasso di tempo abbiamo visto tutto e provato di tutto, ma la nostra fame di souls-like non è stata assolutamente placata. Ci piace morire sotto i colpi di un brutale nemico, o perderci per le strade di una mappa potenzialmente priva di vie d’uscita. Ci piace il colore del sangue (videoludico) sulle lame e quella scritta “Sei morto” che si prende gioco di noi sul televisore. Ci è piaciuto vivere nella generazione dei titoli sopra citati, e ci piacerà ancora di più quando ne arriverà un altro, possibilmente pronto a frantumare in pochi istanti ogni convinzione del più veterano dei veterani.

Di questo ed altro, però, ne parleremo ancora. Siamo soltanto all’inizio!

Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.