Doom Eternal Recensione: l’esplosiva brutalità del manierismo

Doom Eternal

Potrebbe sembrare paradossale per un redattore spaziare tra opere tanto distanti tra loro come Death Stranding e Doom Eternal, soprattutto dopo aver lodato a più riprese la fiera tediosità dell’opera di Hideo Kojima. Ebbene, questa recensione (e il voto annesso) non rappresentano il trionfo fantozziano ai danni del prof. Guidobaldo Maria Riccardelli, laddove Death Stranding sarebbe chiamato a rappresentare il giogo oppressivo della Corazzata Kotiomkin e Doom Eternal la provvidenziale cura a base di Giovannona Coscialunga e L’esorciccio. Bien au contraire, Doom Eternal ribadisce, se ce ne fosse ancora bisogno, la complessità universale dell’esperienza interattiva e delle costellazioni che vi appartengono, portandoci a chiamare ancora una volta in causa la Sindrome di Asteroids (qui il link per rinfrescarsi la memoria).

Considerata la natura dell’opera e la reputazione dello studio che l’ha creata, responsabile di fatto di aver definito gli standard odierni in termini di grafica e tecnologie al servizio del game development, è altresì importante premettere che non possiamo valutare un simile artefatto in termini di qualità degli effetti visivi messi a disposizione dall’engine, di modelli poligonali, texture, shader e normal map. Come diciamo da sempre, sarebbe un po’ come se dovessimo recensire un film parlando di quanto è potente l’obiettivo della nuova macchina da presa utilizzata per realizzarlo. Per chi fosse interessato a sapere se Doom Eternal è un videogioco performante in termini squisitamente tecnici, quindi, basti dire che è il top del top. Punto. Come i suoi predecessori, questo capitolo segna un nuovo standard qualitativo del genere. Liberati dal peso insopportabile di questo stigma, possiamo finalmente cominciare questa discesa dantesca a colpi di shotgun.

“Quello che chiami inferno, lui lo chiama casa”

Doom Eternal è un ritorno alle origini almeno quanto lo era il suo predecessore, che tuttavia si prende delle libertà rispetto alla sua progenie, mantenendosi sempre in equilibrio tra fedeltà filologica e innovazione, nel tentativo (riuscito) di conservare l’essenza dell’insuperabile capostipite della saga. Per chi ha amato massacrare mostri e demoni negli ultimi decenni, sarà quindi ancora una volta come tornare a casa; il sigllo magico di Carmack e Romero brucia ancora potente in Doom Eternal, capace di sprigionare furia cieca e ineluttabile fino alla fine del mondo, senza se e senza ma, comunicata direttamente nelle vostre sinapsi grazie a un sincretismo di user experience e gunplay che si avvicina alla perfezione formale dei sistemi firmati Nintendo, il che credo sia il più grande complimento in assoluto che si possa fare a uno studio di sviluppo. La violenza è totale, autentica, senza limiti, in un susseguirsi di combattimenti frenetici che vi lasceranno davvero senza fiato. Non dovrete solo uccidere i nemici, ma massacrarli, farli a brandelli e finirli con le truculente mosse speciali, in un trionfo di coreografie splatter, che vi riempirà di soddisfazione catartica, soprattutto quando, dopo aver fatto amicizia con le new entry, ritroverete vecchie glorie della serie, pronte a braccarvi senza tregua per saldare vecchi conti lasciati in sospeso. E un Doom Slayer, si sa, paga sempre i suoi debiti.

Il feeling e il look dell’opera emanano una potenza stratosferica, supportata da un gameplay votato alla volontà di potenza ma non all’esagerazione del power play, il che è degno di nota considerata la quantità soverchiante di armi, potenziabili e customizzabili, nonché la varietà sconfinata di nemici, ognuno con le sue caratteristiche peculiari. Scadendo quanto basta nel manierismo, id Software è riuscita anche in questa occasione a fare quello che le viene meglio, ovvero orchestrare una sintesi assoluta tra appagamento nelle sparatorie e level design, rivelandosi sempre impeccabilmente fluido tanto nella concezione quanto nell’implementazione vera e propria, forte di una padronanza dell’engine proprietario da parte del team inutile da ribadire ma giusta da glorificare. Pur votandosi al caos con uno zelo paragonabile a quello di un cultista oscuro, la maestria del game design di Doom Eternal sta nel non lacerare mai quell’impalpabile velo che separa il dis-ordine dalla confusione, evocando piuttosto il design intelligente di una divinità benevola capace di guidare il giocatore sempre e comunque anche nelle situazioni che sarebbero apparentemente figlie della pura casualità. Il team ha deciso quindi di spingere oltremodo l’acceleratore su frenesia e ignoranza, supportate egregiamente dall’engine, ma rimanendo sempre entro confini controllati e controllabili. 

“Non sono io rinchiuso qui con voi… siete voi rinchiusi qui con me!”

A tratti, giocare a Doom Eternal è un po’ come quando provi ingenuamente a riascoltare una canzone grunge nel 2020, ma senza il rischio e l’imbarazzo di scoprire che era brutta (spoiler: probabilmente lo era). Il Doom Slayer racchiude perfettamente questa filosofia, presentandosi come un’assoluta forza della natura. Coolness totale, Anni Novanta nello spirito ma assolutamente contemporaneo nella sostanza. In Doom Eternal tutto è minaccia, terrificante e incontenibile, ma più si controlla lo Slayer più la prospettiva cambia davvero, e ci si rende conto che la creatura più minacciosa del gioco siamo solo e soltanto noi. A volte, astraendosi dall’azione, i nemici fanno quasi pena, indaffarati e concentrati a fare il loro lavoro, ma senza alcuna chance di sconfiggere il nostro protagonista.

Tosto, muscoloso, cattivissimo, avvolto in un’armatura più trogloditica di un sedicenne che fa le impennate col motorino, lo Slayer è un vero eroe, ma anche un eroe vero. Forse non quello di cui abbiamo bisogno, ma certamente quello che i nemici si meritano. Del resto, quando decidi di far indossare al tuo protagonista il casco integrale, lasciandogli tuttavia scoperti gli enormi bicipiti, stai di fatto proponendo un manifesto potente almeno quanto quello scritto da Hideo Kojima per Death Stranding. Sindrome di Asteroids, dicevamo. Il creature design nella sua interezza è altresì straordinario: riuscitissima ancora una volta la ripresa di stilemi e iconografie classiche in chiave moderna, un sublime e illuminato affresco rinascimentale i cui protagonisti, tuttavia, provengono dallo stesso grimorio oscuro usato da John Romero per evocare Imp e Cacodemoni nell’ormai lontanissimo 1993.

“Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso”

Doom Eternal è un titolo eccellente, di grande impatto emozionale, divertente e sorprendente. Un’altra pietra miliare nel percorso di indimenticabili successi firmati id Software, che supera in ogni suo aspetto, in quantità e qualità dei contenuti, il Doom del 2016. E meno male. La bellezza della Sindrome di Asteroids, d’altronde, sta proprio nel piacere di celebrare la diversità a tutti i livelli, che può annidarsi in un’opera narrativa tanto quanto in un picchiaduro con le ragazze in stile anime. La discriminante è sempre e comunque il talento, l’esecuzione e la ricchezza concettuale della produzione, ovverosia ciò che distingue Death Stranding, Firewatch e Inside dalle torme di walking simulator e analoghi esperimenti pseudo-intellettuali. Sono tempi duri e il mondo, tra un esperimento concettuale e l’altro, ha bisogno di un nuovo capitolo di Doom ogni tanto, per ricordarci che a volte l’Apocalisse arriva ed è meglio avere uno shotgun a due canne a portata di mano. 

Se proprio volessimo cercare il pelo nell’uovo, la tendenza control freak di id Software, espressa in un’esecuzione impeccabile, ha in realtà remato un po’ contro l’opera, portando Doom Eternal ad adagiarsi in una torre d’avorio di assoluta qualità ma impenetrabilmente protetta dal rischio creativo, posizionandosi così in quella tipica fascia di giochi perfetti a loro modo, ma non abbastanza dirompenti da giustificarne a livello critico l’esaltazione, né tanto meno la cristallizzazione a opera di un voto che sfondi nettamente la mediocrità. Per ricollegarci all’inizio, sono da intendersi in questo senso i decimali di separazione rispetto al voto di Death Stranding o altri giochi qui recensiti. Doom Eternal è un po’ come quei capitoli di Animal Crossing minori, magnifici da giocare ma dimenticabili nel grande schema delle cose, il che è abbastanza ironico nel momento in cui invece proprio Animal Crossing: New Horizons, compagno di day-one di Doom Eternal, ha saputo rinnovarsi fino ad assumere un volto interamente nuovo. 

Recensire un Tripla A, oggi come oggi, è una sfida fatta sui centimetri, vista la premessa di una games industry dove lo scivolone non solo non è più concesso, ma è anche diventato impossibile. Per questo la forbice dei voti, sempre professata qui su GamesVillage, è quanto mai importante; tuttavia, con una tale bulimia di contenuti e in un mondo in cui ogni produzione mainstream è ormai quasi di default un 8 o un 9, è chiaro come uno 0.1 in più (o in meno) costituisca una differenza abissale. Doom Eternal è un altro gioco virtualmente inattaccabile, ma paradossalmente lo si apprezza di più quando inciampa, per esempio nel suo tentativo di proporre un aspetto esplorativo che sconfina talora nel platforming, rendendo l’incedere a volte un po’ frustrante, tra salti e trabocchetti, neanche fossimo in Metroid Prime. Ma lo Slayer non ha decisamente niente a che spartire con la bionda cacciatrice di taglie Samus Aran, e id Software, reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo, non è di certo la Retro Studios dell’era Nintendo GameCube. In fin dei conti, Doom Eternal è un fenomenale atto di necromanzia, almeno quanto lo era il suo predecessore. Lo scambio equivalente per riportare in vita il cadavere, tuttavia, si è portato via un altro pezzettino della sua anima primigenia. Sarà interessante quanto volte ancora questo cadavere potrà essere resuscitato, prima di trasformarsi a tutti gli effetti in uno zombi filosofico.

 

Veniva da un lontano pianeta in cerca di videogiochi belli, poi sono arrivati i MOBA e ha impostato la retromarcia sull'UFO. Di lui, sulla Terra, rimane un simulacro artificiale (età biologica: 26 anni ca.), dall'interfaccia altamente avanzata. Continuate pure a interagirvi: non si noterà la differenza.