La notte di Halloween è ormai alle porte. Quale momento migliore, quindi, per rispolverare un classico dell’horror interattivo? Stiamo parlando di Silent Hill, un nome che ancora oggi, semplicemente rievocandolo, fa correre veloci i brividi lungo la schiena. Lasciatevi quindi cullare dalle malinconiche e nebbiose atmosfere della lugubre cittadina, grazie alle parole di Sonia Sufflico. Una delle più grandi esperte italiane della saga firmata Team Silent, Sonia ha scritto Silent Hill. La nebbia e le tenebre, un saggio sul secondo episdodio inserito all’interno della collana Conscious Gaming: Manuali di Cultura del Videogioco. E ora, senza ulteriore indugio, scivoliamo lentamente dentro la follia…
Fear of blood tends to create fear for the flesh.
Questa frase apparve sullo schermo, accompagnata dal rumore di una puntina che veniva appoggiata sul vinile. Era il 1999, e così iniziava il capostipite di quella che sarebbe diventata una delle più celebri saghe survival horror, imperniata su un elemento di distinzione tipico, il cosiddetto orrore psicologico. L’introduzione, volutamente un poco confusa nel mostrare personaggi di gioco che ancora non conoscevamo, si soffermava con insistenza su due di loro, un padre e la sua bambina seduti in auto, diretti da qualche parte. Il poetico, nostalgico suono del mandolino li accompagnava in un vai e vieni di immagini miste, e la musica in crescendo sempre più insistente, che ricordava alla mente l’indimenticata sigla di Twin Peaks, accompagnava le immagini fino al punto in cui il padre al volante, per scansare una ragazza apparsa in mezzo alla strada, mandava l’auto a schiantarsi.
Dopo essersi ripreso dallo schianto, era con l’amara scoperta del sedile del passeggero lasciato vuoto che iniziava il viaggio di Harry Mason. Il gioco metteva le carte sul tavolo fin da subito, accogliendo l’utente in un’atmosfera straniante, una città deserta e apparentemente abbandonata, pur in buono stato, soffocata dalla nebbia. I contorni delle cose risultavano indistinti, e muovere i primi passi creava quasi un senso di vertigine; ma ecco che messi sulla buona strada da un indizio, ci si infilava in un vicolo, dove la nebbia lasciava posto alla neve – fuori stagione. L’inquietante carcassa di un animale squartato iniziava a trasmettere angoscia e sospetto (ricordo di aver pensato, alla prima partita: qui c’è qualcosa di cattivo. E io non ho niente con cui difendermi), poco dopo una sedia a rotelle rovesciata, elemento di disturbo che sarebbe poi comparso più e più volte in seguito, il cui stridente cigolìo distraeva quasi al punto di non accorgersi del suono di una sirena provenire da lontano.
La nebbia e la neve vennero presto rimpiazzate dal buio più totale; procedendo nella fioca luce di uno zolfanello, si riceveva il primo benvenuto di quello che più avanti avremmo definito come “Otherworld”: un corpo barbaramente scuoiato e magistralmente crocifisso ad una cancellata, la grottesca parodia di un redentore caduto. Lo shock era tale da gettare il gamer nel panico, incapace di sottrarsi all’attacco spietato di numerosi piccoli mostri apparsi da chissà dove. Questi, in summa, erano i primi, intensissimi cinque minuti di gioco. Un vero e proprio manifesto di stile che anticipava, senza svelare, cosa avremmo trovato di lì in avanti. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate: per me si va per la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente, veniva da pensare. Forse non eravamo all’inferno, ma certo non ci trovavamo poi così lontano: benvenuti a Silent Hill.
Siamo in vacanza, cosa può andar storto?
La trama di SH era intrigante e a suo modo complessa, con un numero contenuto di personaggi e la possibilità di variarne lo svolgimento fino a modificare enormemente il risultato finale. Come già detto, Harry Mason e sua figlia Cheryl sono in viaggio verso Silent Hill per una vacanza. I due hanno un incidente per evitare una ragazza che di punto in bianco gli si para davanti in mezzo alla strada. Harry si risveglia dopo l’impatto, e Cheryl non è più in auto con lui. Inizia a cercarla, ed incontra quella che diverrà un’amica fidata, la poliziotta Cybil Bennet, la quale sulle prime intende chiamare rinforzi per uscire dalla città che sembra inspiegabilmente disabitata e anzi, infestata da creature pericolose. Harry intanto si muove per conto suo alla ricerca della figlioletta, e incontra una signora stravagante, Dhalia Gillespie, che lo indirizza all’ospedale.
Harry decide di andarci, e lì incontra il dott. Kaufmann, scontrosissimo uomo di poche parole, e Lisa, un’infermiera dal carattere dolce che assiste Harry in diverse occasioni. Nelle sue peregrinazioni, spesso Harry accusa un malore e si ritrova in quello che definisce Otherworld, una versione infernale della città originale. Passando continuamente fra la Silent Hill “normale” e l’Otherworld, Harry viene a scoprire che nella zona si praticava un culto basato sulla magia nera, e che molte persone di spicco nello sviluppo della città pare siano morte come per una maledizione; in parallelo, scopre che ci sono diversi problemi legati alla produzione e traffico di stupefacenti (Cybil era in città giusto per le indagini) e, probabilmente, questo più che non la maledizione potrebbe aver mietuto vittime. Anche il dottor Kaufmann fa parte di questo losco mercato. Nonostante i tentativi di razionalizzare le circostanze, Harry non può negare di vedere cose fuori dall’ordinario, e che cose innaturali stiano accadendo, soprattutto si chiede che ruolo abbia nella vicenda la ragazza causa del suo incidente, che appare e svanisce come una visione in più di un’occasione.
Persuaso da Dahlia che questa ragazza sia in realtà un demone malvagio pronto a sacrificare la piccola Cheryl per il proprio tornaconto, Harry cerca di affrontarla e scopre così che si tratta in realtà della figlia di Dahlia, Alessa, offerta dalla madre in sacrificio al dio del culto locale sette anni or sono. Alessa venne bruciata, ma sopravvisse, curata da Lisa la quale, sconvolta oltre misura al testimoniare quotidianamente le sofferenze della bambina e avendo chiesto aiuto al dott. Kaufmann, era stata da questi indotta a diventare tossicodipendente, rovinandole di fatto la vita. Durante il rito di sacrificio, metà dell’anima di Alessa sfuggì, incarnandosi nella piccola Cheryl, lasciata abbandonata a morire sul ciglio della strada dove Harry e sua moglie l’avrebbero trovata e salvata.
Mantenendo Alessa in vita e costringendola a patire una sofferenza inaudita, Dhalia e i suoi adepti (fra cui il dottor Kaufmann) nutrivano il loro dio-demone, certi che tanto patire avrebbe attirato come una calamita la metà di anima mancante, la piccola Cheryl. Le mutazioni della città e la presenza di mostri sono dovuti proprio ad Alessa, capace addirittura di rendere reali le proprie sofferenze e i propri incubi. Dhalia riesce nel suo intento di riunire le due parti dell’anima di Alessa e generare il suo dio; Harry lo affronta e riesce a sconfiggerlo. A questo punto Alessa lascia nelle sue braccia un neonato e gli indica una via di fuga. Kaufmann viene invece trascinato nell’Otherworld da Lisa, ormai succube dell’orrore fino a diventarne anch’essa un’incarnazione.
Persi nella nebbia
Per quanto riguarda la meccanica di gioco, all’utente era permesso esplorare la cittadina abbastanza liberamente, pur nei limiti della mappa in dotazione al personaggio. Era possibile anche esplorare vari ambienti interni facoltativi, alcuni dei quali contenenti informazioni riguardo alla storia della cittadina e alle vicende ivi accadute, oggetti quali munizioni e bevande salutari extra e, non meno importante, in certi casi addirittura la possibilità di accedere a finali alternativi altrimenti non attivabili. La grafica, pur virando su tonalità cromatiche cupe, mostrava cura anche nei dettagli, soprattutto nelle ambientazioni al chiuso. Le ambientazioni in 3D si dividevano in esterne ed interne. Le strade della città, popolate da creature animalesche, erano perennemente soffocate nella nebbia, con la neve o la pioggia, oppure sprofondate nelle tenebre più cupe. Una volta infilato il portone di un palazzo visitabile all’interno, ci si accorgeva che la situazione non cambiava poi di molto: eccezion fatta per la luce diurna, che rendeva gli ambienti quasi evanescenti, come se la nebbia fosse entrata e non si dissolvesse, la maggior parte delle locazioni era al buio.
Questo tipo di impostazione rendeva la consultazione della mappa un’operazione di fondamentale importanza; spesso si apriva la mappa alla luce della torcia portatile per essere sicuri anche solo di non essere voltati dalla parte sbagliata. E questa dipendenza dalla mappa poteva causare ulteriori patemi nei segmenti in cui, pigiato il fido pulsante sul pad, sullo schermo appariva invece una scritta che riportava il pensiero di Harry: non ho una mappa di questo posto. Ulteriori ed evidenti variazioni dell’ambiente si potevano notare qualora, dopo il suono di sirena, ci si ritrovava nell’Otherworld: qui il buio era totale, l’unica zona illuminata era circoscritta al lume della torcia, e gli scorci di ambiente diventavano sporchi, il pavimento si trasformava in una grata metallica che risuonava sinistramente ad ogni passo, le pareti, le porte, ogni dettaglio sembrava impregnato di buio, sangue, ruggine e marcescenza, al punto che quasi pareva fosse possibile odorarne il fetore. Fatto curioso, rispetto alla versione “normale” delle ambientazioni, l’Otherworld risultava perversamente funzionale. Molte porte erano chiuse o rotte, e diversi passaggi diventavano obbligati.
Certo, il fatto che il pavimento in certi punti non esistesse più restringeva di parecchio lo spazio a disposizione per muoversi, obbligando di fatto il giocatore ad affrontare i mostri ivi presenti anziché tentare di evitarli. In alcuni punti, misteriosi e inquietanti macchinari si mettevano rumorosamente in funzione, alimentati da motori invisibili sputavano fiamme, dando luce giusto perché si potessero vedere i poveri resti di qualche sacrificio umano. Muovere Harry negli ambienti risultava intuitivo, l’unica nota dolente era data dalle caratteristiche volutamente “normali” di cui il protagonista era dotato: non si sapeva granché di lui, se non che si trattava di un vedovo padre di una bambina adottata, e benché il suo amore di padre gli desse tutto il coraggio per affrontare situazioni allucinanti, certo non faceva di lui un atleta e nemmeno un tiratore.
Bastava farlo correre un po’ per causargli attacchi di fiatone, e soprattutto, specialmente all’inizio, aveva una pessima, pessima mira. Spesso risultava frustrante sparare e mancare il bersaglio, sprecando così proiettili preziosi, ma appunto, Harry era una persona volutamente normale, non era allenato e non aveva mai sparato prima. La stessa Cybil Bennet, comprendendo durante il loro primo incontro che lui sarebbe partito alla ricerca della figlia pur senza avere nessuna arma con sé, gli affida una pistola ammonendolo: Stai bene attento a chi spari, e vedi per piacere di non sparare a me per sbaglio. Anche questo è uno degli elementi che vanno a comporre la vasta rete del ragno intessuta con il filo dell’orrore psicologico: in effetti, sapere di non avere delle armi quando ci si trova in pericolo è angosciante, sapere di averle ma non riuscire a centrare un bersaglio una volta su tre è comunque angosciante. Bastava che Harry mancasse un colpo mentre si trovava con le spalle al muro, cosa che accadeva non così raramente, per scoprire il fianco agli attacchi delle fameliche creature sparse in ogni dove.
Benché esplorando con cura gli ambienti fosse possibile reperire un buon numero di bevande e kit medici, la resistenza fisica di Harry era piuttosto bassa, e un paio di attacchi a volte già bastavano perché il suo stato di salute precipitasse. In luoghi stretti e senza vie di fuga, come ad esempio i numerosi corridoi, la presenza di due o tre creature assieme creava situazioni potenzialmente fatali. La luce carente o addirittura assente e gli angoli delle inquadrature non permettevano di avere sempre una buona visuale degli spazi, e di avere un buon colpo d’occhio su quante creature ci fossero o dove si trovassero; a questo suppliva la fidata radio portatile, strumento anch’esso diventato poi un must presente anche nei titoli della saga che sarebbero arrivati in seguito, che grazie alle sue interferenze ci rivelava la presenza di mostri. Se non si vedeva niente ma la radio taceva, si poteva procedere senza troppi timori; se la radio gracchiava, più forte era l’interferenza più vicino si trovava il pericolo. Tendere bene le orecchie, cercare di affrontare le creature una alla volta e correre veloce con traiettorie a zigzag nel caso queste arrivassero in gruppo era il mix di azioni raccomandabili per proseguire nell’avventura.
Dalla paura nacquero mostri
L’applicazione dell’orrore psicologico era estesa a tutta l’avventura fin nei dettagli; consideriamo ad esempio le creature di Silent Hill, generate dalle paure e dalle sofferenze di Alessa. Benché lei abbia quattordici anni al momento dei fatti narrati nel gioco, le diaboliche manifestazioni che popolano la città delle nebbie sono innegabilmente il frutto di timori infantili. Forse perché rielaborate anche attraverso il filtro personale della piccola Cheryl, parte mancante dell’anima di Alessa e che di anni ne ha solo sette, forse anche perché è noto che quando un individuo subisce un trauma in tenera età, tende a rielaborare l’evento traumatico attraverso gli occhi del bambino che è stato, pur essendo cresciuto nel frattempo. Ecco dunque che la paura degli animali feroci (come potrebbe apparire a un bambino il cane del vicino che corre al cancello e abbaia mostrando i denti ai passanti, per esempio) viene incarnato dal Groaner, un cane mezzo scuoiato e in parte ustionato che attacca a vista, così come la sua controparte nell’Otherworld, Wormhead, un cane dalla testa brulicante di vermi e reso se possibile ancora più feroce dai poteri del mondo alternativo.
La paura degli insetti e degli anfibi si incarna negli enormi scarafaggi Creeper, nella falena gigante Floatstinger e negli Hanged scratcher, simili a rettili e capaci di attaccare dal soffitto. Il timore dei grandi predatori delle epoche passate, come i dinosauri, prende forma nello Air screamer, una sorta di pterodattilo che attacca Harry con le zampe posteriori, e nella sua controparte Otherworld Night flutter, dalle proporzioni però più antropomorfe, e la testa brulicante di vermi al pari di Wormhead. Le terribili creature delle fiabe, come il drago che viene affrontato dal coraggioso cavaliere, prendono invece forma in Splithead, una creatura a metà fra una lucertola e un drago privo però di squame, le cui fauci occupano l’intera testa e sono in grado di inghiottire Harry in un sol boccone se spalancate. Accanto a questi timori tipicamente infantili, se ne aggiungono altri di natura più concreta, direttamente legati ai problemi della vita quotidiana di Alessa e che vanno a plasmare le forme di altre creature. Il senso di persecuzione dovuto ai continui atti di bullismo subiti a scuola crea i Grey children, mostriciattoli di dimensioni ridotte, bambini armati di coltello che attaccano Harry buttandosi letteralmente su di lui a peso morto, infilzando la lama nella carne.
L’attacco portato attraverso uno strumento quale è il coltello potrebbe raffigurare il dolore causato parimenti da un mezzo, quali ad esempio le parole e gli insulti che i bambini a scuola ripetevano costantemente ad Alessa, isolandola e ferendola, senza contare quelle lasciate scritte sul suo banco (e che Harry può leggere con i suoi occhi in un segmento chiamato Nowhere), di modo che potesse leggerle e ricordarsene sempre. La mortificazione che consegue da questa persecuzione diventa un’ombra, Larval stalker, con le sembianze di un bambino piccolo, indifeso e spaventato, che non attacca mai Harry ma anzi cerca di allontanarsene, scappando e spesso inciampando nei suoi stessi piedi, emettendo pigolii mentre cade e si rialza, e cade di nuovo.
Questo scricciolo è, fra tutte, è l’unica creatura di Silent Hill in grado di ispirare un senso di pietà e finanche di tenerezza nel giocatore. Nell’Otherworld la controparte dei Grey children viene rappresentata da due tipi di creature: una versione uguale all’originale ma fatto di ombre, che mantiene le sue caratteristiche comportamentali ma è decisamente più difficile da localizzare perché non si vede, rappresentando forse il senso di condanna, quell’aura malefica che le malelingue e i pettegolezzi lasciavano perennemente addosso ad Alessa, ovunque lei si trovasse, e i feroci Mumbler, più robusti e con le mani naturalmente munite di artigli. Il fatto che lo strumento d’attacco sia stato sostituito da un’appendice naturale potrebbe forse ricondurre ad eventi di violenze fisiche, o scherzi mortificanti di cattivo gusto.
I coetanei di Alessa purtroppo non erano i soli a crearle problemi, ed ecco che anche il timore degli adulti si spartisce la sua fetta di rappresentanza nella fauna della città. A questa paura sono ad esempio riconducibili i Romper, creature che, quando notano Harry, lo inseguono a balzi, con movimenti quasi scimmieschi, borbottando rumorosamente. È possibile vedere in questo mostro gli adulti prevenuti nei confronti di Alessa, sempre pronti a usarla come capro espiatorio, a rimproverarla per ogni sciocchezza, e ad inseguirla instancabilmente pur di prenderla e mortificarla. Questo si può evincere non solo dal fatto che Romper insegua Harry per un raggio piuttosto ampio, ma anche perché, laddove riesca ad afferrarlo, si china su di lui per agguantarlo come un adulto fa con un bambino che tenta di sgusciargli via.
Inequivocabilmente umani e adulti sono Parasitized doctor e Puppet nurse, sparsi nei corridoi e nelle stanze dell’ospedale. Come suggeriscono i loro nomi, sono manovrati da un parassita e quindi controllati da esso come grottesche marionette, corrono piegati in avanti dal peso del parassita che spunta vistosamente dalle loro schiene verso Harry, cercano di immobilizzarlo e colpirlo ripetutamente con un bisturi. Sciocche, spietate marionette prive di volontà e personalità, questi sono dottori e infermieri agli occhi di Alessa, costretta proprio da essi a vivere nelle condizioni più estreme di sofferenza possibile, e se qualcuno avesse mai chiesto loro il perché, probabilmente si sarebbero limitati a rispondere che “eseguivano solo ordini”.
Funzioni e valori, stravolti per sempre
Le ambientazioni stesse sono terreno fertile perché l’orrore vi cresca con naturalezza: il primo ambiente che Harry esplora alla ricerca di Cheryl è la scuola, luogo in primis dove i genitori lasciano i propri figli in quelle che dovrebbero essere mani sicure, ma che in questo caso raffigura una cupa prigione di violenza e soprusi. La chiesa, luogo spirituale di sollievo e silenzio contemplativo introduce ad Harry uno dei personaggi più negativi in assoluto, la folle Dahlia Gillespie, che si serve delle campane non già per annunciare la buona novella, ma per attirare l’uomo nella sua trappola, priva di scrupoli. Altari simili a quelli della chiesa si troveranno anche nella dimensione parallela, tracce di un culto che anziché redimere le anime le getta nella dannazione eterna.
L’ospedale, luogo che con la scuola diverrà poi iconico della serie SH è l’esempio per eccellenza dell’orrore psicologico applicato e in azione. Nessuno, se possibile, desidera finire in ospedale, e tuttavia, laddove se ne presenti la necessità, tutti noi siamo in una certa misura tranquillizzati dal fatto che noi stessi, oppure i nostri cari bisognosi di cure, si trovano in strutture adeguatamente attrezzate e nelle mani di esperti che somministreranno loro la cura più adatta per farli guarire al più presto, perché tornino sani; i dottori che visitano i pazienti incarnano le nostre migliori speranze, le infermiere sono angeli custodi che con dolcezza e dedizione accudiscono i malati. Ed ecco che Silent Hill insinua il peggiore dei tarli nella nostra sicurezza ormai diventata socialmente riconosciuta: come vi sentireste a varcare la soglia di un ospedale se sapeste che là dentro troverete solo squallore, i medici opereranno contro i vostri interessi facendovi stare così male che desidererete morire, e lo faranno solo per un bieco tornaconto personale?
Quanto alto sarà il picco della vostra disperazione quando, chiamata l’infermiera perché almeno lei vi aiuti, vi troverete davanti all’indifferenza più assoluta? L’unico personaggio di questa categoria ad emergere con una personalità umana è Lisa, l’infermiera personale di Alessa, che forse non può, ma nemmeno non prova a porre fine alla follia di cui è testimone; ed infatti lei, come tutti gli altri, diventa un ingranaggio nel meccanismo dell’Otherworld, persa per sempre. Non da meno è l’ambientazione che a sua volta si ripresenterà nel futuro della saga, il luna park. Luogo di svago, risa e divertimento, di vertigine positiva diventa carosello allucinante, con le giostre che girano impazzite, infestate di mostri e cattiveria, dove la nostra amica Cybil Bennet, l’impavida poliziotta pronta a tutto pur di rendere onore alla sua divisa, anche lei schiava di un parassita tenterà di farci fuori.
Non si può essere mai del tutto al sicuro, sembra suggerirci Silent Hill. La visione terrificante della città, albero dai frutti velenosi che pianta le sue radici direttamente nella sofferenza vissuta di Alessa ci dimostra che il paradiso di alcuni può essere l’inferno di altri. Che mentre camminiamo per la strada con un bel sorriso sul volto, potremmo incrociare i passi di qualcuno che, per parte sua, sta vivendo un incubo, nel suo Otherworld personale. E questo a prescindere dal fatto che lo abbia voluto o meno.
Ancora come allora
Il fatto di poter avere accesso a finali alternativi allungava decisamente la longevità del titolo, esplorare più volte le varie sfaccettature dell’orrore diventava quasi una missione. Grazie all’elemento dell’orrore psicologico SH riusciva nell’intento non già di spaventare l’utente con effetto jumpscare a più riprese (sebbene alcuni episodici spaventi ce li regalasse), bensì seguendo il gusto horror tipicamente giapponese di insinuarsi nella psiche delle persone, creando, più che non un singolo evento o personaggio come fonte di paura, un’estesa, indefinita ma palpabile e costante sensazione di angoscia. La nebbia che rende vaghi i contorni, il buio che impedisce di vedere, la necessità di visitare luoghi dove per definizione le persone si sentono protette, trasformati nel peggiore degli incubi.
La possibilità che basti un piccolo seme di follia, perché il nostro migliore amico ci punti addosso una pistola e prema il grilletto, senza titubanze né ripensamenti. L’angosciante realtà incarnata dall’intera Silent Hill altro non è che l’epifania malata delle paure e del dolore di una bambina, una ragazzina, una persona qualunque. Animali domestici che diventano fiere feroci, con la carne viva in bella mostra. I compagni di classe mutati in spietati mostriciattoli pronti a tutto pur di annientarci, dottori e infermiere che anziché soccorrerci, scelgono l’obbedienza e si lasciano facilmente manipolare da un interesse che li porta ad infrangere il loro giuramento nel modo più abietto possibile, causando deliberatamente tutto il dolore immaginabile a chi dovrebbero invece curare. Il mondo si capovolge, e ogni nostra certezza va in frantumi. Per meglio incarnare questo concetto, gli sviluppatori del virtuoso Silent Team di Konami hanno attinto a piene mani da numerose fonti d’ispirazione.
Solo per fare alcuni esempi, le opere di Lovecraft e di Allan Poe si respirano nelle atmosfere cupe e soffocanti, le situazioni terribili e deliranti, le creature del mondo sommerso, la setta perversa pronta a sacrifici tremendi; ma anche scrittori contemporanei quali Stephen King e Dean Koontz sono stati fonte d’ispirazione, al punto da trovarsi intitolate due strade di Silent Hill: Bachman Road, la strada che porta al lago Toluca (Richard Bachman fu lo pseudonimo scelto da King agli esordi della sua carriera), e Kontz Street. Riguardo quest’ultimo, la vicenda di Alessa presenta alcune somiglianze con Melanie, la ragazzina vittima suo malgrado di esperimenti scientifico-occulti da parte del padre ne “The door to December” (titolo italiano “Incubi”), del 1985. La resa visiva di certi ambienti come l’ospedale, invece, ha molto a che spartire con lo stile della pellicola del 1990 “Jacob’s Ladder” (titolo italiano “Allucinazione perversa”), per la regia di Adrian Lyne. Anche l’elemento narrativo del traffico di stupefacenti, come pure il finale in cui Harry muore nello schianto dell’auto sono chiaramente ispirati a tale film.
Silent Hill, nella sua prima apparizione in quel 1999 che appare ormai lontano, resta tuttora nel cuore e nelle angosce di molti giocatori. Eppure, nonostante la grafica e i controlli di un’altra epoca, vi esorterei a fare ancora un giro nella culla delle nebbie. Il suono di quella sirena e il suo significato ancora attualissimo, ve lo garantisco, vi farà rabbrividire ancora come allora.