Battle Arena Toshinden: eroe per caso?

1994 – Parliamoci chiaro, chiunque voglia relazionarsi al capitolo d’esordio della saga di Toshinden col senno di poi non potrà che prenderne debite distanze e bollarlo come un titolo di cui la line-up d’esordio della prima Playstation avrebbe potuto fare tranquillamente a meno. All’epoca dei fatti, la faccenda vantava tuttavia connotati assai diversi, tanto che non era affatto raro affiancarlo a Wipe-Out e Ridge Racer nella lista delle Killer Application a disposizione della 32Bit targata Sony.

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Il repertorio di colpi a disposizione di ognuno degli otto combattenti inizialmente utilizzabili non brillava certo per vastità, specialmente se paragonato a quello offerto da un qualsiasi Samurai Shodown. A compensare, seppur in parte, questa lacuna ci avrebbero comunque pensato mosse speciali assai pittoresche.

Se per i normali fan dei picchiaduro l’offerta era già piuttosto allettante, per quelli come me che riconoscevano in Samurai Shodown una prova inconfutabile dell’esistenza di un dio il tutto vantava un fascino supplementare. Come resistere, d’altronde, alla tentazione di assaporare l’ebbrezza del confronto all’arma bianca usufruendo di quella mirabolante dimensione aggiuntiva? Nel giro di cinquanta minuti ci si ritrovava così a passare da dinosauri dei pixel a neofiti del treddì da salotto.

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Il 3D proposto da Toshinden si distingueva per l’introduzione dello “step-in” system, che permetteva ai gicoatori di sfruttare la profondità dello scenario senza restare necessariamente allineati all’avversario, come accadeva invece in Tekken.

Di certo gli otto mattatori del cast non avevano lo charme di Ukyo Tachibana né tantomeno il character design di un Haomaru qualsiasi, ma sfumature stilistiche a parte, si aveva come l’impressione che quell’armonioso ammasso di origami in movimento sullo schermo tagliasse proprio come l’acciaio di Hattori Hanzo. Il tempo di ammirare l’effettistica propria degli special attack ed eri sushi al sangue; la semplice combinazione d’un paio di tasti e la spettacolarità del Kabuki si traduceva in Hit-Point.

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In termini puramente grafici, Toshinden proponeva modelli piuttosto solidi cui venivano abbinate texture di buona qualità, almeno se rapportate all’epoca. Discorso diametralmente opposto per quanto concerne fondali e terreno di combattimento, che apparivano molto più grossolani.

Mentre i lottatori si rincorrevano lungo i confini d’un arena di gioco mai abbastanza vasta per contenerne le evoluzioni il pubblico veniva quindi chiamato a testimone di un’esperienza di gioco praticamente inedita per chi, solo fino a qualche mese prima, riteneva lo SNES come l’inarrivabile apice della catena alimentare. E fu probabilmente questa la radice dell’equivoco: non era Toshinded ad essere il capolavoro di fine millenni: eravamo noi ad essere impreparati di fronte a contato spettacolo e la sola idea di possedere un sistema che gestisse con tanta disinvoltura quegli acuti di geometria in movimento bastò ad oscurare ogni eventuale sbavatura… Che si trattasse della superficialità del sistema di combattimento, delle isteriche animazioni abbinate ai modelli poligonali e persino della discutibile reattività dell’interfaccia di comandi.

Battle_Arena_Toshinden_PSX_cover
Se paragonata alle spettacolari copertine dei classici SNK, l’artwork campeggiante sulla cover di Battle Arena Toshinden appariva alquanto dozzinale…

Sono consapevole del fatto che a rivederne oggi le clip su youtube, o peggio, a giocarci  sulla vecchia Play Toshinden sembri tutto furché un progetto degno di meritarsi gli encomi che gli riservammo o  il clamoroso 106% rifilatogli dal mitico Game Power. Eppure per qualche settimana parve davvero difficile immaginare che si potesse far di più. Così come accaduto a diversi campioni di boxe, passati agli annali solo per aver tenuto il titolo per qualche mese, esso vanta oggi un insperato posto nei cuori di migliaia di gamer: gli stessi che lo amarono fino a giustificare la produzione di ben tre sequel!


IN VIDEO

Prima di passare in rassegna i più efficaci successori di Battle Arena Toshinden gustiamoci un longplay della sua edizione originale.


DINASTIA

Il successo riscosso in tutto il mondo da Battle Arena Toshinden si sarebbe tradotto in una corposa successione di sequel. Scopriamo insieme le caratteristiche fondamentali degli episodi più significativi della Saga…

BATTLE ARENA: TOSHINDEN 2 1995 TAMSOFT / TAKARA PSX / PC

Oltre a presentare un comparto grafico ampiamente rivisto e un nuovo modulo di gestione delle combo, Battle Arena Toshinden 2 presentava diverse modifiche strutturali volte a riequilibrare un gameplay giudicato da molti troppo caotico. Tra queste si segnala la ricalibrazione dello “step-in” system che, risultando ora più lento, impediva ai giocatori di abusare degli spostamenti in profondità e schivare così gli affondi avversari con troppa semplicità.  Nel 1996, Takara avrebbe distribuito una versione ulteriormente rifinita del gioco ribattezzandola col suffisso Plus.

BATTLE ARENA: TOSHINDEN 3  1996 TAMSOFT / TAKARA PSX

Il terzo capitolo della Saga puntava innanzitutto a rinfoltire il rooster di personaggi a disposizione degli utenti: dalle 15 unita dell’edizione precedente, si raggiungeva ora la soglia dei 32 combattenti, tra cui avrebbero militato anche 4 rocciosi boss controllati dalla CPU. In termini di gameplay, vi sarebbe stato invece un generale ammorbidimento del fattore tattico: una soluzione adottata al fine di esaltare l’inedita possibilità di interagire in modo dinamico con scenari molto più ricchi ed articolati.

BATTLE ARENA: TOSHINDEN 4 1999  TAMSOFT / TAKARA PSX

Rinnegando in buona parte la svolta stilistica promossa in occasione del terzo capitolo del franchise, gli sviluppatori di Battle Arena Toshinden 4 puntarono alla creazione di una sorta di ibrido teso a fondere il tecnicismo del secondo capitoli della serie con l’immediatezza del suo successore. Complici un comparto grafico oramai datato e un’intelaiatura di gioco incapace di tener testa a sopraggiunti colossi come Soul Blade, l’operazione non riuscì tuttavia a convincere l’utenza e ciò determinò conseguenze nefaste sulla salute del brand.