Out Run: una Ferrari a Gettoni per Yu Suzuki

OutRun

1986 – Volgendo lo sguardo a ritroso nella storia dei giochi di corse appare subito evidente che siano esistiti un prima e un dopo Out Run. Ai tempi di quello che potremmo definire come una sorta di Vecchio Testamento, i titoli dedicati al mondo delle quattro ruote tendevano in effetti a somigliarsi un po’ tutti e le stesse automobili non vantavano un design tale tale da conferirgli un’identità ben delineata. Dal 30 giugno del 1986, giorno in cui il classico firmato da Yu Suzuki approdò in sala, le cose sarebbero invece cambiate in modo radicale: da semplice simulacro in pixel, la vettura si sarebbe trasformata in vero e proprio “personaggio” dal look ben delineato che, alla stregua di icone come Pac-Man, Mario e Sonic, non poté che esercitare un ascendente incredibile sull’immaginario popolare.

Lo sprite della Ferrari Testarossa Cabrio sarebbe entrato a tutta velocità nell’olimpo del design videoludico. Curiosamente, la storica casa di Maranello non aveva tuttavia mai prodotto questo particolare modello decappottabile della sua Cult-Car!

Agevolata dal contributo del marchio Ferrari e dalla parallela rottamazione degli anonimi circuiti visti fino ad allora in virtù di scenari tanto esotici quanto accattivanti, detta transizione si completava nell’abitacolo della sinuosa Testarossa cabriolet a disposizione dell’utenza. Per la prima per la prima volta in un videogame di genere, l’interno del veicolo sarebbe stato teatro di un’elementare, ma preziosa “storyline” che vedeva il giovanotto al volante determinato a far colpo sulla biondina al suo fianco e i giocatori conseguentemente impegnati a dargli man forte.

La nostra auto, primo caso nella storia dei Racing Game, montava anche un autoradio che ci avrebbe permesso di selezionare la musica di accompagnamento tra 3 brani ormai entrati nella leggenda del gaming come Magical Sound Shower, Passing Breeze e Splash Wave

Quello che agli occhi di un gamer odierno apparirà come un dettaglio di poco conto costituiva in realtà un elemento cardine della Out Run experience: chiunque abbia avuto l’onore di spendere qualche gettone in uno dei lussuosi cabinati che ospitavano il gioco potrebbe difatti confermare che la necessità di soddisfare un obiettivo “sentimentale” oltre al mero obbligo di coprire le distanze tra un Checkpoint e l’altro entro tempi prestabiliti conferisse al tutto uno spessore emotivo straordinario.

Le condizioni climatiche, incluso l’alternarsi di varie fasi della giornata erano suscettibili a mutamenti dinamici generalmente legati al percorso selezionato.

Aggiungendo a queste premesse l’opportunità di sfruttare ciclici bivi volti a modificare il percorso compreso tra il punto di partenza e quello di arrivo, come pure la contingente prestanza del comparto tecnico di supporto, risulta in tal senso facile giustificare l’entità del successo riscosso dal progetto, nonché comprendere le ragioni per cui esso venga a tutt’oggi inquadrato come un punto di riferimento per ogni racing game di foggia arcade.

La struttura a bivi delineava una vasta serie di percorsi alternativi grazie ai quali giungere a destinazione, il che influiva sensibilmente sulla longevità e la versatilità dell’esperienza di gioco.

A naturale estensione di un boom mediatico come pochi altri se n’erano visti fino ad allora, Out Run avrebbe ben presto raggiunto la maggior parte degli home system cavalcando un’ondata di porting più o meno plausibili. Se si esclude la discreta performance registrata dal Sega Master System e gli adattamenti postumi riservati al PC Engine nel 1990 e al Game Gear l’anno successivo, nessuna delle conversioni realizzate da US Gold per i più noti Personal Computer dell’epoca raggiunse una dignitosa sufficienza.

Out Run approdò in sala su tre differenti cabinati: alla tradizionale versione Upright, che vedeva volante e cambio sostituire l’arcade stick del case tradizionale, seguì la versione Standard con posto guida a sedere e la spettacolare versione Deluxe che abbinava due potenti casse stereo satellite alla ricostruzione parziale dell’abitacolo dell’automobile.

Non troppo diverso sarebbe stato peraltro il destino dei numerosi spin-off prodotti da Sega negli anni a venire – semplicemente inaccettabile l’orrido Out Run 2019 – la cui relativa affermazione conferma, una volta di più, quanto fosse prodigioso il codice targato Suzuki. Fortuna che, in tempi non sospetti, e cioè nel pieno della moderna era poligonale esso sia riuscito ad avere finalmente degli eredi degni del suo retaggio… Per quanto l’Out Run 2 del 2003 e le successive espansioni potessero risultare efficaci, nessuno potrà in ogni caso negare che il fascino pionerisitco dell’originale rimanga in ogni caso ineguagliabile.