The Cloverfield Paradox: 5 motivi per guardare lo sci-fi Netflix

Sono trascorsi dieci anni dall’uscita di Cloverfield, film in found footage in cui un mostro di dimensioni colossali attacca New York e la riduce a cumuli di macerie – o quasi. Dopo un’attesa durata veramente troppo per coloro che desideravano vedere un seguito o una pellicola in qualche modo collegata a quella del 2008, Dan Trachtenberg ci regalò 10 Cloverfield Lane, un thriller che si distaccava totalmente dal capitolo originale scavando piuttosto nella psicologia di personaggi inediti. Un’atmosfera claustrofobica e una tensione crescente ci hanno condotto a un finale che ha saputo riallacciarsi con maestria all’originale, inducendo lo spettatore ad attendere con trepidazione l’uscita di un terzo film che scoprisse le carte e sciogliesse ogni dubbio.

Così è arrivato The Cloverfield Paradox, annunciato come un fulmine a ciel sereno durante la notte del Super Bowl. Ha risposto a tutti i nostri quesiti? Nemmeno un po’. Quello distribuito su Netflix è stato a tutti gli effetti un episodio scollegato dagli altri due ma con lo stesso DNA, come spiegato da J.J. Abrams, suo produttore. In sostanza, i tre film non sarebbero parte di una narrativa lineare, condividendo però la stessa energia, il tono, lo spirito. E sebbene The Cloverfield Paradox non sia all’altezza delle aspettative dei fan (alcune parti sono, parliamoci chiaro, una trashata assurda), vale la pena di guardarlo. Vi diamo cinque motivazioni.

1. Ha un ritmo serrato e non annoia

Attingendo a produzioni sci-fi come Life e Interstellar, la pellicola sposta l’attenzione su una stazione spaziale, dove un equipaggio ha il difficile compito di trovare una fonte di energia inesauribile per la Terra, ormai sull’orlo del collasso. Una missione che pesa quanto un macigno, perché il fallimento equivale all’estinzione della razza umana. Sono stati chiamati in causa i migliori scienziati del globo, che durante una non facile convivenza mostrano come un esperimento, per quanto rischioso, non può essere la risposta a tutto. La situazione prende una brutta piega quando, invece di fornire al nostro pianeta l’energia di cui ha bisogno, il team si ritrova in una dimensione parallela dove accadono diverse stramberie, che talvolta fanno storcere il naso anche a chi è abituato a trovate eccentriche. The Cloverfield Paradox si lascia però guardare con piacere grazie al suo ritmo veloce che alterna due setting, quello spaziale e quello terrestre. Passi la presenza di scene trash come quella del braccio che prende vita, passi l’inclusione di personaggi più inutili di un distributore di sigarette che chiede la tessera sanitaria, la terza iterazione del franchise non annoia e garantisce quell’ora e mazza di intrattenimento che non guasta mai.

2. Il senso di ignoto e inaspettato

“L’inaspettato” è il secondo dei motivi per cui The Cloverfield Paradox non è da cestinare. Come ammesso dal regista Julius Onah, il film non era originariamente parte del Cloververse, ma riflette piuttosto bene una connessione con i precedenti. E non è la consapevolezza di amenità gigantesche che stanno radendo al suolo quel che gli uomini hanno costruito durante i secoli, ma quel senso di inaspettato e di ignoto che abbraccia le produzioni. Un verso agghiacciante spezza il silenzio seguente alla mancata riuscita della missione spaziale, gli spettatori pensano a una creatura in CGI, e invece fa la comparsa una donna bionda attraversata da cavi elettrici che urla dal dolore; il giroscopio della stazione sparisce e viene ritrovato nello stomaco di Volkov, membro dell’equipaggio deceduto dopo aver vomitato un esercito di vermi. Cose assurde, talvolta opinabili, ma inaspettate.

3. Il personaggio di Ava

Nel cast di The Cloverfield Paradox c’è Gugu Mbatha-Raw, altro dei motivi per cui guardare il film Netflix. Se i personaggi sono perlopiù anonimi, il discorso non vale per Ava Hamilton, moglie affettuosa ed “ex mamma”: in seguito a un incendio d’abitazione la donna ha infatti perso i suoi figli, e il suo strazio è quanto di più credibile ci sia nella pellicola. Dolore e disperazione banchettano con la consapevolezza di non poter più vedere i propri bambini e, anche se la dimensione parallela offre possibilità allettanti, non c’è un cambio di rotta – nonostante un giustificabile tentennamento – da parte del personaggio. La recitazione dell’attrice è efficace, coinvolgente. Peccato sia la sola a trasmettere un briciolo d’emozione.

4. Apre a riflessioni

The Cloverfield Paradox può far riflettere. Nel film vengono poste domande su dimensioni alternative, logica, leggi generali della fisica che abbiamo studiato e che, ironia della sorte, non comprendiamo, e che giungono a quell’interrogativo posto da molte produzioni sci-fi: arriverà il momento in cui l’uomo si distruggerà utilizzando in modo sbagliato tecnologia e scienza? Alcuni quesiti posti potrebbero essere molto più interessanti del film stesso, ma questo dipende, ovviamente, anche da quanto ci interessa la materia.

5. Conclusione col botto

Il finale di The Cloverfield Paradox è “tanta roba” (attenzione spoiler). Se per tutti i centodue minuti ci si chiede dove caspita siano i mostri, ecco che l’epilogo ci accontenta. Di rientro dalla missione, la navetta su cui è a bordo Ava si appresta a entrare nell’atmosfera terrestre, quando dalle nuvole fa cucù un essere mastodontico che ruggisce e se ne va. Puro fan-service, se paragonato alla fantastica sequenza finale di 10 Cloverfield Lane; ma è comunque un modo per dire “ehi, sono anche io un film di Cloverfield ed eccovi la prova”. Come detto sopra, il tono e lo spirito del franchise si percepiscono durante la visione, ma ci voleva proprio una scena conclusiva che desse agli spettatori quello che più desideravano: un mostro gigantesco. D’altronde il film del 2008 era un monster movie, e di monster movie vogliamo che si parli. Sulla Terra, nello Spazio, ovunque vogliate.

La mia sedia a rotelle è come il kart di Super Mario. In qualsiasi cosa devo essere il migliore, altrimenti ci sbatto la testa finché non lo divento. Davanti a un monitor e una tastiera, però, non è mai stato necessario un grande sforzo per mettermi in mostra. Detesto troppe cose, sono pignolo e - con molta poca modestia - mi ritengo il leader perfetto. Dormo poco, scrivo tanto, amo i libri e divoro serie tv. Ebbene sì, sono antipatico e ti è bastata qualche riga per capirlo.