The Fabelmans non è solo uno dei film più attesi del periodo natalizio, è il grande ritorno di Steven Spielberg sul grande schermo, con una delle sue opere più toccanti, un romanzo di formazione che è anche l’epopea storica di una famiglia ebraica, declinata nella diversità dei suoi membri, ognuno perduto tra grandi passioni, doveri e sogni da realizzare. Una grande dimostrazione d’amore al tempo stesso per l’universo brillante del Cinema, che partendo da una scintilla autobiografica, racconta una passione fortissima in un periodo storico molto ben caratterizzato, gli indimenticabili anni sessanta. Prepariamoci a viaggiare tra le pieghe del tempo e della vita.
The Fabelmans, cast e location della pellicola
Steven Spielberg non ha certo bisogno di presentazioni, essendo uno dei cineasti più importanti del novecento e di questo nuovo millennio che stiamo vivendo. Iconico come pochi, il regista è davvero un ragazzo prodigio, ed inizia a dirigere film già da teen-ager a metà degli anni sessanta. Esattamente come il protagonista dell’opera in esame, guarda caso. Dal suo debutto ad oggi ha firmato opere di culto come Duel, Lo squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. l’extra-terrestre, Indiana Jones, Jurassic Park, Schindler’s List, La Guerra dei Mondi, Ai Confini della Realtà – il film, oltre che produttore di tantissime pellicole e serie TV come Amazing Stories. La sceneggiatura è scritta a quattro mani dal regista stesso e da Tony Kushner, qui alla quarta collaborazione con l’autore. Tra gli attori troviamo Michelle Williams nel ruolo di Mitzi Fabelmans, madre di una famiglia ebrea molto unita. L’attrice ha raggiunto la notorietà grazie alla Serie TV cult Dawson’s Creek, telefilm degli anni novanta che è rimasto nel cuore di moltissimi, e viene ricordata anche per Halloween – 20 anni dopo di Steve Miner. In questo film l’attrice offre davvero una grande interpretazione del suo personaggio, ricco di sfumature psicologiche notevoli, da artista stretta nel ruolo materno nei poco liberi anni cinquanta. Debutta in un episodio della serie appena citata anche Seth Rogen, che diventa poi noto grazie alle commedie 40 anni vergine e Molto incinta di Judd Apatow, oltre che apparire come interprete ed autore del divertentissimo Strafumati. In questo film ricopre un ruolo chiave, quello dell’amico intimo di famiglia Bennie Loewy, da tutti considerato come zio acquisito, che farà da ago della bilancia per diverse situazioni della trama. Nel ruolo di Burt Fabelmans, padre della famiglia Fabelmans troviamo Paul Franklin Dano che interpreta perfettamente il nerd tutto computer e penne nel taschino. Nei panni del protagonista della storia, Sammy Fabelmans troviamo Mateo Zoryon Francis-DeFord da bambino e Gabriel LaBelle, che, con le sue facce allucinate e le sue espressioni sempre fuori schema, offre una interpretazione fantastica. A dare un volto alla piccola sorellina Anne c’è poi Julia Butters, nota per la serie American Housewife. La scena delle due sorelle che urlano diventerà un divertente tormentone in tutti i film fittizi di The Fabelmans. Notevoli anche diversi personaggi secondari, per un film che, lo ricordiamo, è comunque corale, lungo e pregno di volti temporanei legati ai diversi anni raccontati. Tra i tanti spicca il granitico artista ebreo Judd Hirsch, in una caratterizzazione dello stereotipo ebraico veramente da antologia, un ruolo piccolo ma incisivo. Nel cast troviamo poi un attore protagonista di un piccolo grande cameo, il leggendario Maestro David Lynch, altro regista iconico, per una volta davanti alla macchina da presa, che recita in una scena indimenticabile che passerà sicuramente alla storia, omaggiando, anche in maniera piuttosto parodistica e divertente, come solo lui sa fare, un grande personaggio della storia cinematografica, ovvero il celebre regista John Ford, iconica figura dei film western. Notevole anche la colonna sonora, composta dal veterano John Williams, autore delle musiche di film cult dagli anni settanta ad oggi, tra cui Lo Squalo, Superman, Guerre Stellari, Minority Report e tanti altri. Con un simile cast artistico non poteva che venire fuori un’opera eccezionale, che pare essere quasi la summa di tutta la precedente carriera di Steven Spielberg, oltre che, semplicemente, una delle sue storie più appassionanti. Il film non è un Road Movie, certo, ma alcune trovate narrative derivano dal genere, incluso il fatto che, per seguire la carriera del padre Burt, che viene assunto da nomi sempre più importanti dell’elettronica, tra cui IBM, ci si sposta spesso da una città all’altra, e le location cambiano, con splendidi scorci ambientati tra gli anni cinquanta e sessanta di Phoenix, in Arizona, il cui iconico deserto è perfetto per girare un primo western giovanile per Sammy, o l’assolata California, dove invece saranno protagonisti due piccoli documentari, uno familiare ed un altro su un grosso evento scolastico a tema balneare, entrambi parimenti importanti nel loro ruolo di formazione.
Passioni che si intrecciano, amori inespressi, che nascono, finiscono
La trama è semplice, e racconta la storia di un piccolo bambino di sei anni che, portato al cinema per la prima volta, a vedere The Greatest Show on Earth di Cecil B. DeMille, reale film con James Stewart del 1952, che trovate qui, si appassiona e decide di diventare un regista, facendosi regalare telecamere e mezzi sempre più evoluti, seguendo le vicende della famiglia e dei suoi spostamenti in giro per gli States, fino a diventare adulto. Dodici anni di narrazione lineare ed intensa. Il tema della Scoperta, tipico del genere, che diventa passione e certezza, per culminare nella ragione ultima dell’esistere. Ritroviamo molto della vita personale del regista nell’interessante film. Si nota subito come il ragazzo che si appassiona come in un colpo di fulmine del mondo del Cinema altro non sia che una versione romanzata e quasi favolistica di se stesso, mentre il padre Arnold Spielberg e la madre Leah Adler siano perfettamente ritratti con le loro professioni, ingegnere elettronico e pianista. Peraltro alcune scene dei montaggi filmici della trama, con in sottofondo le prove di pianoforte che riecheggiano per tutta la casa, sono tra le più emozionanti del film. I protagonisti della storia che il regista ha deciso di raccontarci forniscono delle ottime prove attoriali, caratterizzando al meglio i personaggi, sia principali che secondari, con un cast corale, che unisce la famiglia di base ai tanti volti che nei diversi anni in cui è ambientato il film, girano attorno ad essa, con ruoli più o meno incisivi. Protagonista del film è una famiglia con il suo percorso di vita, raccontato dal film lungo due intensi decenni, ovvero dai primi anni cinquanta fino alla metà degli anni sessanta. La dicotomia tra poesia e tecnologia è una delle letture chiave del film, dove la musica della madre si contrappone ai computer del padre, ed in mezzo si trova proprio il Cinema del figlio, che altro non è che l’unione dei primi due elementi. Magia sul grande schermo, derivata da poesia unita a tecnologia. Il film tratta tanti temi molto importanti, tipici del romanzo di formazione, e non mancano romantiche scene di gruppo in bicicletta, iconiche del genere, come l’amicizia, il passaggio dall’infanzia all’età adulta, i primi amori ed il mutamento dei rapporti tra le persone, che solo il tempo ed il destino possono decidere.
Quando l’orizzonte è alto, il film è interessante, quando l’orizzonte è basso la storia è interessante, quando l’orizzonte si trova nel mezzo, bhe allora è una noia mortale. (John Ford)
The Fabelmans di Steven Spielberg contiene un vero e proprio film nel film, ovvero tutta la parte dedicata alla passione per il Cinema da parte del piccolo ed ingenuo ragazzo che, durante la sua scoperta, formazione e crescita, decide che quello che inizialmente è solo una infatuazione per un mondo fantastico fatto di immagini in movimento, diventerà poi qualcosa di più serio ed importante. Il tutto avviene parallelamente agli spostamenti della famiglia, per inseguire il lavoro del padre, anch’egli spinto dalla sua passione, l’informatica, in un periodo in cui il settore praticamente stava nascendo. Quando quasi nessuno sapeva cosa fosse un computer, negli anni sessanta, dove i (pochi) mainframe universitari come il DEC PDP-1 erano le uniche macchine, quasi misteriose, a disposizione di pochissimi. Manovrate spesso da tecnici in camice bianco, che inserivano ed estraevano dati attraverso schede perforate. Sulla stessa macchina, peraltro, è nato, come sappiamo, uno dei primi videogiochi della storia, progettato da Steve Russell, il leggendario Spacewar! Mentre il padre parla con occhi ludici di informatica, ed in particolare di architetture avveniristiche a sessantaquattro bit, concetti praticamente sconosciuti a tutti negli anni sessanta, il figlio coltiva la passione parallela per il mondo della celluloide. Un periodo in cui tutto è ancora meravigliosamente analogico, con pellicole in cui il montaggio si fa tagliando sapientemente dei pezzi con le forbici ed incollandoli tra loro, in cui il proiettore va fatto girare manualmente per vedere i girati giornalieri, in cui gli effetti speciali delle esplosioni di pistola di un film western si realizzano con espedienti geniali, come bucare con delle puntine la pellicola stessa in punti specifici del fotogramma. Tempi ormai purtroppo superati dagli effetti speciali in digitale, che rivivono grazie a questo meraviglioso film della maturità di Steven Spielberg, che, all’avvicinarsi degli ottanta anni, riesce ancora una volta a dimostrare la sua eccezionale bravura come autore a tutto tondo. Un regista innamorato del Cinema, che realizza un film per degli spettatori che condividono con lui la stessa passione. Un’opera coinvolgente, composta da luoghi, da momenti unici da imprimere nella mente e nei ricordi, proprio come nella pellicola. Un film fatto di rapporti tra persone, di amori inespressi, amori che iniziano, altri che finiscono, tutti però salvati, ossessivamente, sui fotogrammi di una pellicola. Un film fatto di passioni da coltivare, di scelte che portano su direzioni diverse, di anni che trascorrono, inesorabili, cambiandoci per sempre. Esattamente come la vita stessa.
The Fabelmans di Steven Spielberg è la grande sorpresa di Natale, un’opera toccante, appassionante e magica, come del resto ci ha abituato uno dei più grandi maestri del settore. Nelle oltre due ore e mezza della lunghissima opera non si riescono a staccare gli occhi dal grande schermo, nemmeno per un attimo. Questo eccezionale romanzo di formazione, di ispirazione autobiografica, misto ad amore e passione per il Cinema, per l’informatica, per i rapporti familiari si unisce alla forte introspezione interiore, calamitando lo spettatore che alla fine esce da quel luogo magico fatto di buio, grande schermo e poltrone comode arricchito mentalmente e nel cuore. Con la grande lezione che le proprie passioni ed inclinazioni vanno sempre coltivate, superando le infinite difficoltà che la vita si diverte, beffarda, a metterci sul nostro cammino personale.