Dopo la tragica scomparsa di sua moglie incinta in un terremoto ad Haiti, avvenuta dodici anni prima, Victor Fielding ha cresciuto da solo la loro figlia Angela. Ma quando Angela e la sua amica Katherine spariscono nel bosco, per poi tornare tre giorni dopo senza ricordare cosa sia successo, si scatena una serie di eventi che costringeranno Victor a confrontarsi con il male nella sua forma più oscura e, nel terrore e nella disperazione, a cercare l’unica persona in vita che abbia mai assistito a qualcosa di simile: Chris MacNeil.
Partiamo dall’ovvio: avanzare paragoni qualitativi con l’opera originale di William Friedkin è inappropriato, fuori contesto e forse poco interessante. Indubbiamente, questo nuovo “L’esorcista Il credente” è meno spaventoso e, al netto di alcuni “jump scare” certamente ben realizzati, la sensazione di inquietudine svanisce rapidamente una volta usciti dalla sala, a differenza del capolavoro del 1973. È un horror “usa e getta”, e questo a una prima analisi può sembrare certamente uno svantaggio, se non fosse chiaro che a David Gordon Green, già artefice del triplice reboot di Halloween, l’horror interessa soprattutto come metafora sociale, per poter parlare ancora una volta della provincia americana – come ha sempre fatto, anche prima di questa sua svolta orrorifica – pensiamo a All the real girls, Manglehorn e Joe, tanto per fare alcuni esempi calzanti – con tutte le sue contraddizioni e peculiarità: l’ipocrisia, la superficiale moralità e le formalità da un lato, e la capacità di unire le forze e lavorare insieme, sia ufficialmente che non, per contrastare il male. Questa dinamica ricorda molto, paradossalmente, quanto visto in Halloween Kills, il film migliore della sua trilogia su Michael Myers.

L’esorcista Il credente: LIBERO ARBITRIO? NO GRAZIE!
Come in quel film, il male si affronta non come singolo ma come gruppo sociale, anche con il rischio di favorirlo, perché se non ci si mette al suo livello, non si può sperare di batterlo. E la posta in gioco è alta, perché il Diavolo è più che mai infingardo e una vittoria totale non la permette, come se ci trovassimo in una tragedia greca dove non esistono il Bene e il Male – principio del libero arbitrio, tipicamente cattolico – ma solo l’alternativa relativista tra un bene che è anche un male e un male che è anche un bene. Come fai, sbagli, ed è lì che il Diavolo punta.
Anche a questo serve l’esorcismo “doppio” – visivamente reso peculiare dalla diversità etnica delle due ragazze possedute, e già scherzosamente ribattezzato ‘esorcismo Ringo People’ – perché quello che va bene per l’una, non è detto vada bene per l’altra.
Non è nemmeno chiaro se il Demone sia lo stesso o siano due diavoli diversi, d’altro canto, Satana è Legione. E vince soprattutto quando Dio non c’è, o è distratto, o si nasconde bene, o come in questo caso non è correttamente rappresentato in Terra, dato che le istituzioni ecclesiastiche rifuggono la responsabilità – la Chiesa da questa pellicola esce malissimo, ed è un altro elemento di originalità – e si limitano a pregare in disparte quando a pochi metri di distanza è in corso una battaglia sanguinosa.
Questo stratagemma, in linea peraltro con quanto fatto da Friedkin, permette al film di superare in parte la contraddizione intrinseca a tutte le storie di esorcismo, incluse quelle presentate come “reali”. Perché il Diavolo deve essere al contempo il nemico più pericoloso immaginabile – e nella maggior parte dei casi si limita a bestemmiare, fare schifezze e trucchi da baraccone, quando potrebbe a quel punto sgozzare il prete di turno e prendere il controllo della situazione. Ma che diciamo. Del mondo – ma al contempo tornare docile al cospetto di Dio, che deve comunque restare più forte. E se è così forte, perché permette al Diavolo di insidiarsi nei corpi di creature innocenti? Non se ne esce a meno di non avere il coraggio di mettere in discussione l’onnipotenza e l’onniscienza del Padre o dell’Avversario, o magari di entrambi. Green, almeno, ci prova, e di questo gli va dato atto. Questi gli aspetti interessanti.
DIO NON C’E: LASCIARE UN MESSAGGIO
Se proprio abbiamo bisogno di un confronto, facciamolo con il recente L’esorcista del papa, ispirato alla vera figura di Gabriele Amorth, in cui il film di Green emerge come superiore, offrendo spunti visivi e concettuali di livello un po’ più alto. Dove il film di Green crolla è più intrinsecamente nella sua natura di sequel. Di fatto, risulterebbe probabilmente più gradito se non portasse il titolo ingombrante che porta, e in effetti, non cambierebbe granché. Ci sono un paio di cameo dalla pellicola originale, ma nell’economia generale sono del tutto marginali, e non fanno che ricalcare il puerile e ormai fuori moda bisogno di legami con il passato, quando invece si dovrebbe cercare di guardare al futuro. Forse è proprio questo, al cinema, il Demonio da scacciare.
Debole come sequel, L’Esorcista di David Gordon Green guadagna terreno sul campo della teoria del Male e della metafora sociale, proseguendo un discorso già brillantemente impostato con la trilogia di Halloween.