Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler sul finale della settima stagione de Il Trono di Spade.
Una stagione-filler
di Mario d’Angelo
In tema di serie TV, spesso si parla di episodi “filler”, riempitivi che giocano con la pazienza degli spettatori. È un’arte difficile, equilibristica, che dosata male rischia di far definitivamente cambiare canale. Ma calibrando sapientemente certi elementi, come la presenza dei personaggi preferiti dai fan o di un certo tipo di situazioni, si possono fare miracoli; tutto sta nel provocare senza mai soddisfare un certo languorino, che si trasforma in fame cieca nell’arco di una settimana. Per conseguire ciò bisogna avere una vasta e approfondita gamma d’informazioni sui gusti del proprio pubblico, ed è proprio in tale contesto che, quindi, si parla di fan-service. HBO controlla i flussi di dati sui propri show con un’accuratezza da Grande Fratello, tanto che potrebbe dare lezioni anche al governo americano. Ed è proprio per questo che, quando si tratta di accontentare la massa di seguaci, Il Trono di Spade non è secondo a nessuno.
Ma un vero “servizio ai fan” sarebbe fornire uno spettacolo avvincente: personaggi ben caratterizzati, trama potente, forti emozioni. E invece…

To make every minute count – direbbero gli inglesi. Con soli tredici episodi alla fine della serie (almeno fino al prossimo spin-off), si sperava che gli autori si sforzassero di rendere Il Trono di Spade qualcosa di più che un generatore di meme: che quei relativamente pochi minuti servissero a definire caratteri, a sviluppare le trame politiche che l’hanno resa famosa, o almeno a raggiungere nuovi eccessi di crudeltà e cinismo. E invece il nulla. A Winterfell l’unico intrigo “politico” è quello che ha coinvolto il fu Ditocorto e le sorelle Stark, la cui risoluzione avrebbe offeso o l’intelligenza degli spettatori o quella dei personaggi. Ad Approdo del Re la regina Cersei è rimasta col deretano su quello scomodo scranno, salvo farsi mettere nuovamente incinta dal fratello Jamie (a proposito, auguri!). Ma è con le vicende di Jon e Daenerys che Weiss e Benioff hanno dato il peggio di sé. Il concetto di spazio-tempo, che una serie fantasy dovrebbe a maggior ragione difendere, nella settima stagione ha dimesso ogni significato. Si è piegato al volere degli sceneggiatori e dei corvi.
Cristo, i corvi! Sono diventati meglio dei neutrini, sopravvivono alle distanze e al gelo impetuoso del Nord che neanche Putin, si facevano un continente in volo nell’arco di una notte e poi un’oretta di jogging al sorgere dell’alba. Jon andava da Nord a Sud e ritorno in un quarto d’ora, per poi perdere intere puntate a fare la boccuccia offesa alla Madre perché non gli prestava i Draghi. E poi il Grande Piano: salvare l’universo andando Oltre il Muro a recuperare un Estraneo e portarlo alla regina Cersei per convincerla a rinunciare alla guerra e unire le forze (Cersei!) contro il nemico comune. Risultato: i non-morti hanno un drago. E vai con la prossima.
Breve ma intensa
di Carlo Lanna
È stata breve ma intensa la stagione 7 de Il Trono di Spade, una stagione che ha infiammato la platea del web fra meme, commenti al vetriolo ed imprecazioni. C’è chi ha amato i nuovi sviluppi e i colpi di scena più eclatanti, e chi invece l’ha definita il momento più basso della serie prodotta da HBO. Eppure i difetti narratologici, la tempistica un po’ troppo stringata e qualche trovata fin troppo bizzarra non ne hanno scalfito la supremazia della serialità.
Alla luce di un season finale che dilata il ritmo del racconto all’inverosimile (un’ora e 16 minuti è eccessivo) non cambia l’opinione che il sottoscritto si era costruito a luglio, quando è stato trasmesso il primo episodio. Il settimo capitolo de Il Trono di Spade è perfetto così, è il tassello che regala alla storia la svolta sostanziale in vista del suo epico finale. Dopo sei anni di lunghi spiegoni, dilemmi etici, profezie, amori folli e finiti nel sangue, vendette trasversali, giochi di palazzo, divagazioni religiose e filosofiche ed abili duelli ‘cappa e spada’ (ricordiamo quello fra il Mastino e Brienne), questo cambiamento è più che normale, necessario. Ora si conoscono bene le dinamiche delle casate di Westeros, conosciamo a fondo la psicologia dei personaggi: è il momento di sapere cosa accadrà ai sette Regni, chi potrà sedersi sul Trono di Spade: se il legittimo erede – Aegon Targaryen – oppure la fredda e calcolatrice Cersei. Non avevamo più bisogno di altro, e gli autori hanno recepito alla grande dando libero adito all’intrattenimento di cuore e di pancia.

Quella di allungare a dismisura la durata delle puntate è stata una scelta audace e forse un po’ rischiosa, ma nel complesso è stata ottima sia per la narrazione sia per acquietare il fan più critico che lamentava una certa lentezza negli sviluppi. Gli sceneggiatori hanno preso le critiche di petto, concentrandosi su ciò che Il Trono di Spade sa fare meglio: far parlare di sé. I 7 episodi di questa mini stagione sono stati un trionfo di WTF, di momenti topici, di colpi al cuore, di sorrisi e lacrime. Perché oltre all’introspezione, al carisma dei personaggi c’è ben altro che una serie, oggi, deve fare.
Se è ancora incerto chi dominerà Westeros, con oltre 10 milioni di spettatori a puntata nei soli Stati Uniti è indubbio da che parte sia l’attenzione. Il terreno è stato preparato a dovere, in un crescendo che ha visto: morire uno dei personaggi principali; risolvere il problema della successione di Daenerys; la distruzione dell’ultimo ostacolo naturale all’invasione del nemico più pericoloso. Il Trono di Spade manda un arrivederci al suo pubblico con un finale di stagione delirante, esagerato, che ha inevitabilmente aperto discussioni su forum e social network.
Quando verrà trasmessa l’ultima stagione? Si vocifera nel 2019, quindi calma e sangue freddo, l’inverno è arrivato e non andrà via così velocemente.