Negli ultimi anni, quando si parla di Detective Comics nell’ambito cinematografico e seriale, è sempre al negativo. La nota casa fumettistica, che si è lanciata insieme alla rivale Marvel nel mondo dell’intrattenimento, è quasi sempre stata oscurata dalle prodezze degli Avengers e soci. Anche se c’è stata qualche rara eccezione (ricordiamo Wonder Woman), oramai il DC Extended Universe può solamente leccarsi le ferite e tentare di ripartire in maniera esplosiva. E quale migliore occasione se non sfruttare un supereroe piuttosto sconosciuto ai più, ma dal grande potenziale? Questa è stata la scommessa tentata dal filmaker James Wan con Aquaman, cinecomic sulle origini del supereroe marino, già presente in Justice League e, precedentemente, introdotto a partire da Batman v Superman: Dawn of Justice. Andiamo a vedere se l’esperimento è andato a buon fine.
Atlantide e le altre nazioni celate
La parte introduttiva della pellicola è di grande impatto e ci presenta il protagonista Arthur Curry (Jason Momoa), dalla sua nascita fino all’adolescenza. Il personaggio è figlio di un guardiano di un faro e della regina Atlanna (Nicole Kidman) proveniente da Atlantide, e questo non può essere tollerato dal regno sottomarino, perché il frutto dell’amore tra due razze così distanti viene visto come un sacrilegio. Di conseguenza, per tutta la durata del film, nonostante Aquaman sia il legittimo erede al trono subacqueo, dovrà scontarsi con suo fratello minore Orm (Patrick Wilson), che si ritiene più degno di lui a governare. L’incredibile avventura che dovrà affrontare il supereroe sarà ardua e piena di pericoli, portandolo nelle più remote nazioni che un tempo facevano parte di un enorme impero terrestre e di cui Atlantide era solamente una piccola parte. A livello registico e scenografico le varie ambientazioni che si susseguono su schermo sono magnifiche ed imponenti, costruendo una piccola e dettagliata mitologia all’interno del lungometraggio, che potrebbe essere sfruttata per un probabile sequel. L’impressione a primo impatto è davvero incredibile: gigantesche città, remote fortezze e molto altro ancora, che sicuramente è da annoverare tra i punti di forza della realizzazione. Il nostro corpulento avventuriero non è pero da solo in questo cammino: sarà affiancato dal suo mentore Vulko (Willem Dafoe) e dalla principessa Meera (Amber Heard), figlia di Re Nereus (Dolph Lundgren), sovrano dello stato di Xebel. Tutti gli interpreti sono davvero molto convincenti e, nonostante il personaggio di Arthur sia forse un po’ troppo burlesco, grazie alle sue battute riesce a stemperare in più di un passaggio la tensione, interrompendo, in maniera comica, il ritmo frenetico della narrazione. Quest’ultima è figlia di una sceneggiatura (scritta da David Leslie Johnson e Will Beall) particolarmente frizzante ed energica, che, insieme ad una brillante regia, ci regala delle scene d’azione davvero stupefacenti: ben coreografate, mai banali e permeate da un’ironia di fondo che le rende più interessanti e gradevoli da guardare. Tutto questo contribuisce in maniera positiva al dinamismo dell’opera, che scorre ad una velocità davvero sostenuta e termina prima di quanto ci si possa aspettare, nonostante abbia una durata notevole, che si attesta sulle 2 ore e 20.
La barocca e vulcanica stratificazione del copione
Dopo questo breve excursus su alcune caratteristiche del cinecomic, sorge spontanea una domanda: cosa c’è che non funziona? La storia, se da una parte è sicuramente esplosiva e piena di interessanti spunti, alcune volte risulta eccessiva e a tratti pesante. Difatti alcune scene potevano essere tranquillamente eliminate o accorciate, visto che non erano così importanti e pregnanti da avere tanto spazio su schermo. Con questo non vogliamo intendere che siano delle sequenze antiestetiche, ma che per l’economia dello script sarebbe stato meglio non vederle. Tra l’altro questa sovrabbondanza di girato, unita ad una sceneggiatura forse troppo pretenziosa, va a minare la linearità di alcuni passaggi, che potevano essere descritti, sia a livello registico che narrativo, in maniera più diretta ed immediata, senza fare chissà quali voli pindarici. Un’altra nota stonata, in parte derivata da questi fatti, è che, essendoci troppi personaggi su schermo, alcuni risultano solamente abbozzati e poco caratterizzati. Questo accade principalmente con uno dei villains del film, Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II), che purtroppo viene completamente oscurato dall’altro antagonista, e non ha il carisma adeguato, complice anche un look troppo ridicolo e irriverente, il quale ricorda in maniera impressionante i nemici dei Power Rangers. È vero che il cattivo in questione è l’esatta replica (perlomeno estetica) della sua controparte fumettistica, però a livello di design si poteva fare decisamente di più, magari modernizzando il costume. Altra figura a cui tocca la stessa sorte è Nereus, che, considerando il suo affascinante backround, poteva essere decisamente approfondito meglio, visto che ai sensi della storia è piuttosto inutile, non compiendo degli atti di notevole spessore. Nel complesso però, nonostante questi evidenti errori, tutto funziona più che dignitosamente e senza ombra di dubbio gli spettatori rimarranno incollati allo schermo dall’inizio alla fine del prodotto, uscendo più che soddisfatti di quanto visto.
Aquaman entra prepotentemente nelle sale, senza prendersi troppo sul serio, ma con la volontà di risollevare il piano cinematografico DC. E ci riesce in pieno, anche se questo prodotto, che sta ottenendo degli ottimi risultati nel resto del mondo, non sarà probabilmente sufficiente per superare gli altri fallimenti filmici della Detective Comics. Qualche scivolone all’interno della pellicola gli impedisce di essere paragonato ad altri cinecomics di pregevole fattura, ma i vari errori devono essere da monito per cercare di fare meglio e puntare a realizzare dei lungometraggi iconici, che sappiano trascinare folle di fan urlanti.