Uncharted Recensione: dal videogame al cinema, senza disastri

Il processo di produzione dell’adattamento filmico della celebre saga videoludica di Uncharted ha sicuramente fomentato gli animi dei fan, per non parlare del flame internettiano. Tra scelte di casting stupefacenti, i continui abbandoni dei registi e una meritata sfiducia nei confronti dei lungometraggi ispirati ai videogame, l’atmosfera che avviluppa l’opera si pone a cavallo tra l’entusiasmo e il terrore, basta dunque un refolo di vento a far la differenza tra salvezza e dannazione.

Non volendo abusare della vostra curiosità provvediamo immediatamente a chiarire un dato essenziale: il film non è male, anzi è persino gradevole. Se siete tra coloro che stanno soppesando se boicottare o meno la pellicola per salvaguardare le felici memorie sviluppate grazie al titolo PlayStation, sappiate che potete tirare un respiro di sollievo e dirigervi senza troppe angosce alla più vicina sala di proiezione. Detto questo, possiamo procedere con un’analisi più approfondita dell’ultima fatica del regista Ruben Fleischer.

Uncharted

Uncharted: visto come film…

Dopo un’infanzia passata a evadere dalla realtà esplorando con la fantasia la scoperta di grandi misteri archeologici, l’orfano Nathan “Nate” Drake (Tom Holland) si trova incastrato in un mestiere mortificante che lo mette perennemente in contatto con una “normalità” cinica e che lo soffoca lentamente. Proprio in una delle sue indistinguibili serate di lavoro, il giovane viene raggiunto dal misterioso Victor Sullivan (Mark Wahlberg), un trafficante di reperti storici che promette a Nate di rivelargli informazioni sull’unico legame familiare rimastogli, il fratello ormai scomparso da dieci anni. La strana coppia unisce dunque le forze con l’obiettivo di recuperare il fantastico tesoro di Magellano, tesoro che però è desiderato ardentemente anche dal potente primogenito della famiglia Moncada (Antonio Banderas) e dalla spietata mercenaria che lui ha ingaggiato, Braddock (Tati Gabrielle).

Come si evince, Uncharted offre un pretesto narrativo molto immediato che si appoggia su terreni battuti da alcuni suoi stimati predecessori. Volendo sintetizzare all’osso, si potrebbero riassumere le alchimie offerte dall’esperienza come un punto di incrocio tra Kingsman e Il Mistero dei templari, ovvero un misto tra racconto di reclutamento, spy movie e comicità, il tutto ben miscelato con un’avventura che esplora realtà geografiche di varia natura. Tom Holland, scelta di cast che molto ha fatto tremare, si dimostra affabile e piacevole, capace di interpretare un individuo sprovveduto e un po’ incosciente che è però dotato di sfumature differenti da quelle viste nel Peter Parker che l’attore ha interpretato per il Marvel Cinematic Universe.

Il problema di Nate è semmai che la sua efficacia sia subordinata ai rapporti sociali che intrattiene con gli altri personaggi, una scelta autoriale che ha senso nell’ottica del descrivere al pubblico un mondo cinematograficamente nuovo percepito attraverso gli occhi di un giovane in via di formazione, ma che tuttavia smussa l’incisività narrativa del protagonista. In generale, Uncharted soffre di una caratterizzazione dei protagonisti che è a dir poco pigra, incentrata sul riassumere l’ambiguità caratteriale dei cacciatori di tesori puntando quasi esclusivamente su una serie estenuante di tradimenti. Un tradimento funziona bene quando costruito nel tempo, ma se il colpo di scena viene abusato se ne inficia l’efficacia.

Ruben Fleischer si conferma un regista competente, ma privo di particolari ambizioni artistiche. Il suo stile tende a essere graficamente appagante, funzionale, ma non particolarmente memorabile. La gestione dei tempi comici, punto forte di Fleischer, è più che azzeccata, ma le altre scelte direttive tendono a essere blande, incapaci di valorizzare adeguatamente il senso di meraviglia e pericolo che dovrebbero dominare le location e le scene d’azione di Uncharted. Un peccato, visto che alla fotografia figura Chung-hoon Chung, tecnico coreano che ha dimostrato la sua competenza in film quali Ultima notte a Soho e Mademoiselle. Unica eccezione a questa pacatezza stilistica è la scena iniziale, la quale però deve moltissimo alla visione di Amy Hennig, game director che si è occupata di Uncharted 3.

…e come adattamento

Uncharted non è una serie estremamente facile da adattare. Su PlayStation funziona molto bene, ma molti dei suoi punti di forza reggono solamente quando si ha il controller in mano e sul grande schermo finirebbero per stonare, se non addirittura per annoiare. Basti pensare alla famigerata “dissonanza ludico-narrativa”. In questo senso, il film di Uncharted è riuscito a trovare un giusto equilibrio, attingendo tanto all’azione quanto alla risoluzione di antichi indovinelli, il tutto senza dimenticarsi le parentesi sociali e mondane che fanno da collante ai momenti più dinamici della saga. A essere latitanti sono piuttosto le sparatorie, ma queste sono tacitamente sospese nell’ottica di una promessa futura.

Il Nathan Drake di Holland non è infatti il Nathan Drake visto nei videogame, non ancora perlomeno. In molti in passato hanno ipotizzato che Holland fosse troppo giovane per il ruolo, che Mark Wahlberg sarebbe stato anagraficamente più adatto al riferimento originale e la pellicola non può che riconfermare questa ipotesi. Gran parte dei tratti distintivi del protagonista videoludico sono riflessi più da Sullivan che da Nate, tuttavia la bizzarra accoppiata evolve lentamente durante il minutaggio e le loro interazioni finiscono con l’influenzare significativamente i reciproci caratteri. A inizio film, il Nathan Drake di Holland non è colui che i fan conoscono e amano, tuttavia nelle fasi finali ne assume l’atteggiamento e il carattere, concludendo l’evoluzione in una trionfale scena che viene adeguatamente rimarcata dalle musiche di Ramin Djawadi, esperto compositore videoludico. Il prodotto proiettato al cinema non è dunque l’Uncharted che alcuni avrebbero voluto, tuttavia si chiude con la promessa di un futuro radioso, cosa che spinge ad augurarsi che annuncino presto il già ventilato sequel, sequel che ci auguriamo introduca con maggiore coraggio uno dei tratti più noti di Nathan Drake: la distruzione massiccia e scriteriata di reperti archeologici di inestimabile valore.

I film tratti dai videogiochi sono funestati da un destino sventurato, tuttavia Uncharted sopravvive alla “maledizione” ponendosi come un godibile e divertente film d’azione hollywoodiano. Forse la pellicola si perde un po’ troppo dietro a camei superflui – si veda la parentesi surreale di Nolan North – e al product placement degli smartphone Sony, tuttavia riesce comunque a rispettare con affetto la saga videoludica facendo il possibile per sintetizzarne gli elementi topici. Si tratta di un film da guardarsi tenendo saldamente al proprio fianco un grosso secchiello di pop-corn, pronti a farsi qualche risata e a godere di quel genere di caccia al tesoro un po’ pacchiana che funziona molto bene nell’universo del cinema.

Voto: 6