The Woman King Recensione: la regina guerriera di Viola Davis

Il Regno africano del Dahomey è a un crocevia. Il nuovo Re Ghezo ha da poco preso il potere. Il loro nemico, l’Impero Oyo,si è unito al popolo Mahi per razziare i villaggi Dahomey e vendere i prigionieri agli schiavisti europei, un commercio abietto che ha intrappolato entrambe le nazioni in un circolo vizioso. I potenti Oyo hanno nuove armi e cavalli, ma anche il giovane Re ha un’arma temibile: un corpo speciale di donne soldato, le Agojie, guidate dal loro generale, Nanisca. Ora, queste guerriere sono tutto quel che si frappone tra gli Oyo e lo sterminio del Dahomey.

Questo è il background di The Woman King, apparentemente introdotto tramite una scritta in sovrimpressione su schermo prima di quel prologo pronto a trascinarci subito nel vivo dell’azione.

E non è certo un caso che la distribuzione italiana abbia scelto proprio questo periodo, con ancora il successo di Black Panther che rimbomba nelle sale, per distribuire The Woman King, pellicola storica che sembra avere molto in comune proprio con l’ultimo capitolo del MCU dedicato al compianto re T’Challa. Anche in questo caso infatti la mitologia africana è al centro del racconto e così come nel passaggio di consegne alla Pantera Nera di Shuri di nuovo le figure femminili forti sono le effettive protagoniste, pronte a dire la loro e a farsi rispettare con la forza e con l’astuzia.

The Woman King: c’era una volta

Il film è ispirato ad un corpo guerriero di amazzoni realmente esistito nello scomparso regno di Dahoney, nell’Africa occidentale, tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo: le Agojie venivano scelte da giovanissime e istruite all’arte della guerra, non potevano prendere marito e dovevano consacrare la loro esistenza alla volontà del re e in difesa del proprio popolo. Conosciamo così il personaggio di Nanisca, indomita leader interpretata da Viola Davis, pronta a guidare una nuova schiera di reclute nella loro prima battaglia e a dover intanto gestire gli intrighi di palazzo, con il sovrano che rischia di essere più volte ingannato dalle sue mogli o soggiogato dagli avversari. Il Continente Nero d’altronde era sotto il controllo dell’uomo bianco, con la tratta degli schiavi ancora ben diffusa e fonte di enorme reddito, e le lotte tra i vari clan erano una costante, con la tribù rivale degli Oyo nota per la sua crudeltà e per non fare prigionieri. Nanisca guiderà il suo esercito con coraggio e stringerà un particolare rapporto con una delle fresche reclute, Nawi, una ragazza dal tragico e misterioso passato.

La regista Gina Prince-Bythewood – suo il mediocre polpettone fantastico The Old Guard (2020) – ha dichiarato di essersi ispirata a grandi classici del cinema epico come L’ultimo dei Mohicani (1992), Braveheart – Cuore impavido (1995) e Il gladiatore (2000), ma è difficile riscontrare le medesime atmosfere nelle due ore di visione, vuoi per un budget discreto ma notevolmente inferiore rispetto ai succitati prototipi, vuoi per un senso dell’epos che sembra più memore dei recenti cinecomics. La messa in scena intrattiene, le scene di combattimento di massa sono ben realizzate e la Davis sfodera carisma a più non posso, ma a mancare è quel senso di effettiva grandezza che restituisca quell’ampio respiro di cui The Woman King avrebbe probabilmente necessitato. Un difetto parzialmente dovuto, come spesso accade in produzioni a tema nell’ultimo decennio, ad una sceneggiatura davvero troppo semplice per risultare anche accattivante.

Tra il dire e il fare

La storia finisce infatti per seguire i canonici step, dal colpo di scena sull’identità della nuova protetta all’amore estemporaneo nato sulle rive di un fiume, dalla tragica perdita di qualcuno caro all’epilogo catartico, ogni cosa avviene con troppa semplicità, priva poi di un trasporto emotivo in grado di giustificare l’affezione ai personaggi principali, che sembrano padroni del proprio destino salvo in realtà essere meri schiavi di eventi telefonati. Ode al girl-power all’ennesima potenza, ma con l’universo maschile saggiamente diviso in buoni e cattivi – il re di John Boyega è saggio e lungimirante al punto giusto – The Woman King sfrutta il fascino del contesto e l’atmosfera tribale dell’Africa (riprese effettuate in terra sudafricana) con una confezione e una storia molto furbe e di facile appiglio su certo pubblico contemporaneo. Un’operazione abbastanza (con)vincente ma non così enormemente riuscita come fatto credere dalla critica d’Oltreoceano.

Due ore di visione guidate dalla feroce e implacabile guerriera di Viola Davis – star assoluta di puro carisma – che ci accompagnano nell’Africa che fu in una sorta di apocrifo spin-off dell’orgoglio nero black pantheriano. The Woman King è ispirato ad un corpo di donne combattenti realmente esistito, amazzoni senza paura che mettevano le loro abilità al servizio del re di Dahoney, stato dell’Africa occidentale che oggi non esiste più. Una sorta di action in costume che vorrebbe guardare a modelli alti ma finisce per copiare, coscientemente o meno, gli stilemi dei moderni cinecomics, riuscendo a intrattenere ma mai a entusiasmare. Questo per via di una sceneggiatura fin troppo elementare, che si perde su passaggi (pre)stabiliti nel tentativo di caratterizzare, tra tragici segreti del passato e colpi di scena più o meno scioccanti, la figura protagonista e quella giovane recluta risultante poi effettiva co-star. Un racconto sul girl-power e sull’orgoglio del popolo nero che sa come strizzare l’occhio al suo principale target di riferimento.

Voto: 6