The King of Chicago: il vero Padrino dei Mafia-Game

In arrivo proprio oggi sugli scaffali dei negozi (fisici o virtuali che siano), la Definitive Edition di Mafia rinverdisce i fasti di quello che molti inquadrano, a ragione, come uno dei più saldi pilastri del genere Gangster-Game. Al contrario di quanto i più giovani sembrino ritenere, il titolo firmato nel 2002 dalla Illusion Softworks non rappresentò tuttavia il primo caso in cui lo spettro di Cosa Nostra facesse capolino nel mondo dei videogame.

Sdoganato già nel lontano 1982 sui circuiti del C64 dal gestionale a carattere testuale chiamato Gangbusters e ripreso in seguito da altri progetti a tema come l’intrigante Mugsy (1984, Melbourne House – Spectrum ZX), quello che sarebbe divenuto col tempo un vero e proprio filone di culto aveva difatti trovato un punto di riferimento imprescindibile nel sontuoso The King of Chicago della Cinemaware.

Quel “bravo ragazzo”

Distribuito originariamente su Macintosh nel 1986, ma balzato agli onori delle cronache solo l’anno successivo grazie al successo riscosso da un’edizione Amiga 500 che ne rivoluzionava radicalmente l’impianto visivo, il gioco ci riportava tra le fumose vie della Chicago degli anni ’30 affidandoci osso del collo e ardite ambizioni dell’intrepido Pinky, “bravo ragazzo” dalla mano lesta determinato a colmare il vuoto lasciato ai vertici della Mala dall’arresto di Al Capone.

Come lecito prevedere, la scalata al potere avrebbe celato innumerevoli insidie, finendo ben presto col precipitare il giovanotto in un vortice di tradimenti, complotti e brutali omicidi. In un contesto nel quale una parola detta al momento sbagliato poteva valere la vita, gestire con astuzia alleanze e contatti si sarebbe rivelato più importante del saper maneggiare una pistola, da cui l’apertura ad un concept di gioco dal taglio prevalentemente riflessivo, che trovava nel dialogo tra i personaggi il proprio leit motiv.

Anticipando di qualche decennio il format delle moderne Visual Novel alla Telltale Games, l’interazione tra Pinky e il pittoresco universo che lo circondava avrebbe in tal senso seguito i criteri di un’articolata narrativa a bivi, col giocatore costantemente sollecitato a prendere decisioni cruciali, salvo poi affrontarne le conseguenze, favorevoli o rovinose che fossero. Se alcune scelte non scaturivano in altro che nella dipartita del nostro alter-ego, altre potevano invece sfociare nell’attivazione dei classici mini-game con cui gli autori della Cinemaware amavano farcire le proprie avventure: è il caso delle improvvise sparatorie in soggettiva con cui il nostro si sarebbe liberato di un avversario scomodo, degli appostamenti con mirino a video tesi ad eliminare bersagli dalla lunga distanza o di micidiali attentati dinamitardi da espletare tramite Quick Time Event.

In barba ad uno dei più solidi principi alla base di un videogame, la soddisfazione degli obiettivi previsti dalle brevi sequenze action di cui sopra non costituiva necessariamente un passo avanti verso il lieto fine: se Pinky avesse ad esempio scelto di colpire obiettivi sbagliati o si fosse affrettato ad eliminare una figura chiave del cast, la sua storia avrebbe potuto difatti prendere una piega comunque funesta e terminare in uno squallido vicolo, con una pallottola nella schiena, o magari sulla sedia elettrica di una prigione federale! Alla luce di questa sfumatura è possibile delineare i contorni di un’esperienza di gioco tanto imprevedibile quanto emozionante, che risulta in qualche modo avvincente persino oggi, a ben trentatré anni di distanza dal “day one”.

Bello come un film!

Nel pieno rispetto della tradizione artistica dei propri artefici, The King of Chicago avrebbe strizzato ben più di un occhio alla cinematografia classica riproponendosi di trasportare sugli schermi dell’Amiga 500 la tipica atmosfera dei gangster movie più celebrati…

Via libera, dunque, alle rigide inquadrature a mezzobusto viste nelle vecchie pellicole in bianco e nero con James Cagney, a una ricca rappresentanza di volti che parevano uscire direttamente dai primi due capitoli de Il Padrino e ad un’efficace colonna sonora influenzata da briose sonorità Soft-Jazz… Il tutto puntualmente servito su un piatto d’argento dai brillanti grafici al soldo di Bob Jacob, i quali furono in grado realizzare un affresco visivo da lasciare ancora oggi a bocca aperta chiunque sia in grado di fare un veloce raffronto tra gli standard tecnici vigenti allora e le immagini che potete ammirare nei paraggi.

Acclamato dalla critica dell’epoca, che non mancò di attribuirgli l’avveniristica etichetta di “film interattivo”, The King of Chicago contribuì in ampia misura alla crescita del brand Cinemaware, fungendo anche banco di prova per la creazione di progetti ancora più ambiziosi come il Kolossal It Came from the Desert (1989 – Amiga 500) che, manco a dirlo, ne ereditò le sequenze shooter in soggettiva.

Per qualche strano motivo, il suo nome salta però fuori solo di rado quando c’è da rievocare i classici della casa madre ed è forse per questo che, oggi come oggi, solo un manipolo di coriacei retrogamer ne continui a serbare adeguata memoria.

Nato e cresciuto sulle pagine di Game Republic dove ha diretto per generazioni la sezione Time Warp, Gianpaolo Iglio ama il retrogaming e lo considera una seconda vita. O una seconda amante. Ha scritto un libro sulle avventure Sierra e insegna Game Journalism e Storia del Videogame alla VIGAMUS Academy con Metalmark.