New York, anni ’30. Il medico Burt (Christian Bale), e il suo amico avvocato Harold (John David Washington), entrambi reduci della prima guerra mondiale e legati da un affetto sincero e longevo, diventano loro malgrado testimoni oculari (nonché principali sospetti) dell’omicidio della giovane ereditiera Liz Mekkins – che aveva chiesto ai due d’indagare ed eseguire un’autopsia sul corpo del padre, nome influente nella scena sociale del tempo e morto in circostanze particolarmente dubbie. Ma la stessa morte (non accidentale) della Mekkins, a sua volta strettamente correlata alla sospetta morte del padre, diventerà cuore pulsante di un intrigo internazionale in grado di tirare in ballo i poteri forti e i nomi più grossi del sistema sociale. I due amici verranno coinvolti in una fitta trama di interessi economici e politici, nel tentativo di scagionarsi dall’accusa di omicidio, e al fine – ultimo – di sventare un complotto ben più grande di loro, coinvolgendo nella loro “avventura” a sfondo criminale anche la facoltosa moglie di Burt, Beatrice, e la loro vecchia amica Valerie (Margot Robbie). Andando a ritroso nel tempo, e più precisamente agli anni della prima guerra mondiale, Amsterdam ricostruisce i retroscena degli sviluppi poi ambientati negli anni ’30, tessendo le fila di un’amicizia (quella tra Burt, Harold e la bella Valerie) destinata a sopravvivere al tempo e allo spazio; un’amicizia nata al fronte, consolidatasi nel porto franco e favoleggiante di Amsterdam, e poi riunitasi per il suo scopo sociale nella complessa New York degli anni ’30, entità storico/geografica che avvolge l’anima di quest’ultimo film del regista David O. Russell (The fighter, Il lato positivo, American Hustle).
Amsterdam: Lustrini e paillettes
Presentato in occasione della 17ª Festa del Cinema di Roma (dove abbiamo potuto vedere anche, ad esempio, la serie Corpo Libero), il vero pezzo forte del film 20th Century Studios risiede nel suo cast stellare che include tra i vari nomi celebri anche un inedito Christian Bale, la sempre luminosa Margot Robbie, e poi John David Washington, Anya Taylor-Joy e Robert De Niro. Ma anche Rami Malek, Michael Shannon, Chris Rock, Zoe Saldana, Timothy Olyphant e Andrea Riseborough. E, ancora, Mike Myers, Alessandro Nivola, Matthias Schoenaerts, Leland Orser e Taylor Swift. Un progetto che su carta si proponeva quindi come un colpo sicuro e che, senza alcun dubbio, punta tutto sul lustro della rosa attori e del comparto tecnico (estremamente interessante e attraente appare infatti il lavoro fatto con costumi, musiche e scenografie che ricostruiscono atmosfera e magia degli anni ’30 rievocando parte di quel mondo lontano fatto di lustrini e paillettes).

Note dolenti
Ma se l’incipit del film recita ‘Molte di queste cose sono accadute davvero’, la verità del film di O. Russell è che si nutre fin troppo e in maniera troppo vorace di una natura romanzata che allontana lo spettatore dalla realtà storica dei fatti narrati senza, di contro, avvicinarlo a un prodotto così originale da potersi definire sovversivo. Insomma, qualcosa che si ferma a metà strada tra il tentativo di rievocazione di un mondo e la necessità di de-contestualizzarlo per meri fini d’intrattenimento. Al centro del film spicca il fascino di un’amicizia quasi truffautiana che è forse la parte migliore e più a fuoco di tutta la storia, mentre a farne le spese sono tutte le tematiche tirate in ballo che di romantico hanno ben poco. La guerra, il cameratismo, le lobby, le dittature, tutto entra a far parte del ricco calderone di Amsterdam senza trovare però una sua precisa utilità, finendo non di rado a inquinare una trama di per sé già molto movimentata che non trae giovamento da questa inflazione esasperata delle tematiche.
Immerso nella capiente bolla metaforica dell’indole distruttiva e parassitaria della natura (umana e non solo), affine all’immagine cardine del cuculo che per sopravvivenza si appropria dei nidi altrui, Amsterdam naviga porti sicuri in fatto di scelte artistiche (dal cast a tutte le categorie tecniche che brillano per qualità), ma tende a perdersi in una narrazione che segue il vento delle vicende smarrendo parecchie volte la rotta. In un arco temporale di 134 minuti (che non sono affatto pochi) Amsterdam ci porta avanti e indietro nel tempo, sul fronte, a New York, ad Amsterdam e poi ancora a New York, e la sensazione che tende a prevalere è quella di un graduale smarrimento di trama, cui non giova nemmeno un finale a ben vedere (fin) troppo didascalico e retorico. Sarebbe forse bastato asciugare un po’ e dare maggiore rilevanza alla natura emotiva del film piuttosto che a quella “complottistica” per permettere all’opera di sottrarsi a scontate e rocambolesche dinamiche per veleggiare, invece, verso il vissuto dei protagonisti. A fine visione resta l’amaro di un film che poteva osare con più efficacia e riuscire meglio, e che invece si crogiola un po’ troppo nella sua natura di opera “chiavi in mano” che non regala quasi mai quel qualcosa in più ma che ti costringe, piuttosto, a godere della sua acrobatica natura estemporanea.