L’attesa che ormai caratterizza i film DC è un concentrato esplosivo di entusiasmo e paura, sia da parte dei fan che della produzione stessa. I rivali Marvel sono fortissimi: con avventure scanzonate, CGI eccelsa e interpreti carismatici si sono guadagnati incassi stellari e critica soddisfatta. O addormentata, che è la stessa cosa. Ogni pellicola Warner Bros. ha invece il superpotere di fare incazzare chiunque la guardi, al grido di “Ma Dark Knight era meglio!”. La trilogia di Nolan, che recentemente è stata rivalutata come la peggior cosa che potesse capitare al DCEU, ha determinato lo stesso tono cupo risultato tanto odioso nelle pellicole successive. In Suicide Squad, che sbandierava Margot Robbie, timide gag e poco altro, era evidente l’ansia di compiacere il pubblico frustrato dal bipolare Dawn of Justice (conosciuto anche come Zack Snyder v Buon Senso). Solo una cosa mancava realmente a questi film: stile! Perché non basta mettersi addosso un mantello nero per definirsi Dark, né dei tatuaggi e una dentiera d’oro per chiamarsi alternativi. E con Justice League, Aquaman e The Flash alle porte, questa faccenda dello stile diventa vitale, e tutta sulle spalle della donna del gruppo, Wonder Woman. Good news, everyone: Warner Bros. non è stupida.
Per il ruolo è stata scelta Gal Gadot, un’attrice sconosciuta al mondo del cinema, bellissima signora Nessuna. Bella, ma anche dolce: non una Scarlett Johansson qualsiasi. E a dirigere ci mette un’altra donna, di più, un’autrice! Patty Jenkins è (finora) principalmente conosciuta per quella bombetta del 2003 che s’intitola Monster, in cui un’irriconoscibile Charlize Theron interpreta una prostituta che si scopre lesbica e serial killer dopo aver conosciuto Christina Ricci (e la possiamo anche capire). È palese, quindi, che DC punta a creare una vera e propria icona moderna, mirando a quell’unica falla del sistema Marvel che quanto a personaggi femminili lascia alquanto a desiderare (e Captain Marvel arriverà al cinema fra ben due anni). In un contesto del genere, la legittima questione della qualità del film viene in parte oscurata da una domanda: sono riuscite queste due donne – Gal Gadot e Patty Jenkins – a forgiare un simbolo? Senza dubbio, sì.
L’intero film di Wonder Woman è un flashback sulle origini di Diana Prince. È la storia di quella fotografia datata 1918 che Bruce Wayne trova in Batman v Superman. Cosa ha portato la principessa amazzone – praticamente una dea – ad affrontare gli orrori della Prima Guerra Mondiale? Non il dovere e la responsabilità, come per un qualsiasi eroe maschile, ma la compassione. La spia Steve Trevor (Chris Pine) è finita sulla spiaggia di Themyshira, e ha raccontato a Diana un conflitto tanto inutile quanto atroce. Lei, nata per proteggere, non può credere che sia solo la natura umana. Qualcuno deve avere orchestrato tutto, un nemico degno di questo nome. Che si tratti di Ares, dio della Guerra?
Contro il volere della madre Ippolita, Diana parte alla volta di Londra, giusto il tempo di schifarsi per l’alta diplomazia che non tiene nulla in conto la vita umana, né civile né militare. Un gruppetto formato da lei, Steve e tre rappresentanti di minoranze etniche (scozzese, pellerossa e turca) si sposta quindi in Belgio, dove la battaglia è più accesa. Lo sfondo della Guerra avrebbe dato una carica emotiva a tratti patetica, non fosse stato mitigato da un sapiente umorismo. E non un umorismo in stile Marvel, fatto da personaggi adorabili che fanno cose buffe. Ad essere comica è l’evidente ingenuità di Diana, che è cresciuta in un vero paradiso dove probabilmente si pratica il sesso saffico. È un perfetto meccanismo dell’identificazione con l’eroe: è con lei che, da una parte, s’inorridisce per le milioni di morti, dall’altra si mettono in discussione, in momenti genuinamente divertenti, le sovrastrutture di una società fondata dall’uomo.
Tre quarti di film scorrono così pienamente godibili. L’unico vero errore di Warner Bros. è stato fare scrivere la sceneggiatura a Allan Heinberg, che si è fatto le ossa con O.C., Grey’s Anatomy e Una mamma per amica. Ce ne accorgiamo in particolare nel finale, decisamente confuso e non all’altezza. Se Patty Jenkins, oltre alla regia, si fosse occupata anche della storia, a quest’ora staremmo parlando di un capolavoro. Perché il resto è davvero degno dei migliori popcorn movie. Il montaggio, davvero magistrale, non è invasivo e lascia apprezzare la fluidità dei combattimenti, arricchiti dalla stop-motion à la 300. La colonna sonora è davvero potente, e accompagna degli ottimi momenti di forte impatto visivo. E Gal Gadot si è talmente identificata con il suo ruolo da convincere chiunque sano di mente che nessuna, oltre a lei, può essere Wonder Woman.