Noby Noby Boy

I vermi non servono solo a farsi la guerra.

Quando Keita Takahashi ha detto di non sapere esattamente il motivo per il quale si era messo a programmare Noby Noby Boy non scherzava affatto. Perché davvero, dopo diverse ore, ancora non sono riuscito a capire cosa diavolo sia questo “gioco”. Però…

DARIO, IL VERME SOLITARIO
Che Noby Noby Boy non sia proprio un gioco come tutti gli altri lo si intuisce fin dai primi minuti, partendo proprio dal tutorial, quanto mai bizzarro e completamente agli antipodi rispetto a tutto quello visto fino a questo momento. I comandi base ci vengono spiegati con una serie di indovinelli, tipo “per saltare si può utilizzare il tasto R2 e…”; starà a noi scoprire l’altro tasto e questo discorso ci verrà ovviamente riproposto per il resto delle funzionalità legate al nostro Boy, compresa la gestione della telecamera. Ecco, diciamo che questa poteva essere implementata un po’ meglio, anche perché il sensore di movimento del Sixaxis non sembra sufficientemente preciso e tanto meno intuitivo, anzi, richiederà un bel po’ di pratica per essere domato. Ma torniamo a Boy. Cosa è? Bella domanda, perché che si fa davvero fatica a definirlo. All’inizio ci appare come una specie di bestiolina rosa dotata di microscopiche zampette, con una sorta di faccia molto stilizzata e dotato di una capacità di allungarsi assolutamente singolare. Il corpo di Boy ha la consistenza della gomma e le sue estremità possono agire praticamente in maniera autonoma, nel senso che testa e sedere sono controllabili indipendentemente attraverso i rispettivi stick analogici del pad. Boy, appena uscito dalla sua casetta dotata di naso (giuro che non mi sono fumato nulla di strano), non è capace di estendersi più di tanto, ma potrà aumentare la sua stazza molto facilmente iniziando a nutrirsi di tutto ciò che è in grado di mettersi in bocca. Ma proprio tutto, eh! Dagli animali alle biciclette, dagli autoctoni alla frutta, fino a passare agli oggetti più improbabili, comprese trottole giganti e lettere dell’alfabeto.

BOY ON THE MOON
Ingurgitati i primi oggetti potrete iniziare a “giocare sul serio”, prendendo ad allungare il corpo di Boy, caratterizzato da segmenti variopinti ben in tema con la psichedelica che domina tutta l’ambientazione. Lo stile grafico è infatti a dir poco minimalista, con quasi zero texture, pochi poligoni, ma con un sacco di fisica, specialmente per quanto riguarda il vermone protagonista, dotato di caratteristiche di elasticità davvero notevoli. Si può persino rompere se tirato troppo, il che può accadere interagendo con alcuni elementi che rischiano di mettere a dura prova il nostro eroe: provate a infilarvi fra le pale di un mulino a vento o ad annodarvi dentro qualche struttura… in fondo alla fine Noby Noby Boy è proprio questo, sperimentazione allo stato puro. Non c’è un vero e proprio scopo, tanto che quando ci si stufa di un livello è sufficiente rientrare nella propria abitazione per generarne uno nuovo in maniera del tutto casuale. In realtà l’unico obbiettivo concreto è quello di allungarsi il più possibile per poi passare i metri prodotti a Girl, il vostro equivalente femminile, che partendo dalla Terra si allunga verso lo spazio. Il gioco infatti parte dal nostro globo terracqueo, ma è destinato ad estendersi ad altri pianeti, tanto è vero che proprio nelle ultime ore si è aperto l’accesso alla Luna. In questo senso Noby Noby Boy è una vera e propria esperienza collettiva, poiché i metri accumulati dai giocatori di tutto il mondo vengono via via sommati a Girl, destinata ad arrivare ai confini del sistema solare e forse persino a varcarli. Infine, fra le altre caratteristiche piuttosto uniche del titolo Namco Bandai, troviamo la possibilità di catturare un’immagine di gioco quando ci pare e persino di realizzare dei filmati, caricabili poi su YouTube, il tutto in maniera davvero molto semplice e intuitiva. Evviva il Web 2.0!