L’universo di Assassin’s Creed è una tela fitta, piena di collegamenti fatti per essere esplorati, percorsi, volendo anche forzati per necessità meramente economiche, ma la trama tessuta da Ubisoft si fa via via sempre più interessante e affascinante, a prescindere dalla qualità delle sue declinazioni ludiche. Un puzzle fatto di tantissimi prodotti, fumetti, libri, spin off videoludici, non sempre all’altezza della serie principale, ma incredibilmente coesi a livello di lore e background, che dimostra una capacità di pianificazione come poche nel settore, soprattutto quando a distanza di anni alcune linee narrative acquistano senso e fanno da rampa di lancio per nuovi prodotti. È il caso di Chronicles, la nuova serie collaterale sviluppata da Climax Studios che esplora alcune delle side story più interessanti del mondo del Credo. Gli episodi, come già illustrato dal ToSo qualche tempo fa, saranno tre, e provano a reinterpretare la serie in maniera peculiare, concentrando le dinamiche e lo stile di Assassin’s Creed in una forma molto essenziale: platformer/stealth game in 2.5 dimensioni dalla difficoltà crescente e con la rigiocabilità tipica dei metroidvania. Il primo episodio della serie ci porta nell’antico oriente, nella Cina del XVI secolo, negli anni della caduta della dinastia Ming, e ci fa vestire i panni di Shao Jun, una vecchia conoscenza per tutti gli appassionati della saga.
Cresciuta concubina, diventata assassina, nata letale
[quotedx]Climax Studios ha sfruttato l’Unreal Engine per creare un dinamico dipinto in movimento[/quotedx]Ezio Auditore morì il 30 novembre 1524 su una panchina di fronte la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, a Firenze, tra le braccia della moglie Sofia Sartor e della figlia Flavia. Morì per un male incurabile, ma il suo corpo cedette solo dopo aver compreso davvero la sua esistenza, ed essersi liberato di un grave fardello, come scrisse nella lettera trovata dalla moglie nella sua stanza. Ciò di cui non c’era traccia in quella lettera sigillata col simbolo degli assassini è che a rendere possibile il suo commiato con serenità era stata una giovane, appassionata e avventata assassina venuta dalla Cina per apprendere da una leggenda vivente i segreti per rifondare l’ordine nella sua terra, oramai alla mercé dei templari. La Shao Jun di Assassin’s Creed Chronicles: China è molto diversa dalla fanciulla spaurita di Embers o del romanzo di Revelations, ma è animata dallo stesso spirito di vendetta. Il viaggio in cui l’accompagniamo è cominciato il giorno in cui Ezio le ha consegnato uno strano manufatto della Prima Civiltà, o forse una scatola vuota, da usare come luce per le falene per i templari e compiere il suo destino. Gli insegnamenti del Maestro Assassino fiorentino e del suo mentore Zhu Jiuyuan non la salveranno dal prezzo sempre troppo alto che ogni percorso di vendetta richiede, ma quello che conta è la strada verso la consapevolezza, che di fatto offre il pretesto per l’intero gioco e si risolve in viaggio tra i luoghi più rappresentativi della Cina della dinastia Ming. Dal porto di Macao fino alla Grande Muraglia alla vigilia dell’invasione dei mongoli, passando ovviamente per la Città Proibita, i ragazzi di Climax Studios hanno piegato al proprio volere in maniera sublime l’Unreal Engine per trasformarlo in un dinamico dipinto in movimento che, sulla base delle due tecniche principali della pittura cinese, ci regala un vivido ed elegante universo fatto di inchiostro e acquerello. L’aspetto che meraviglia di più dal punto di vista tecnico, non tanto per potenza e dettaglio, invero a tratti neanche chissà quanto spinto, è il suo sviluppo prospettico, basato su tre piani paralleli di profondità, utili sia per arricchire esteticamente i livelli sia per offrire varietà alle dinamiche di gioco, come vedremo tra poco.
The Mark of Persia
[quotedx]Chronicles non inventa niente, ma amalgama tutto nella forma più consona alla saga[/quotedx]Questa serie di Assassin’s Creed non inventa niente di nuovo, ma ha la capacità di rubacchiare a destra e a manca elementi di gameplay collaudati e decisamente funzionanti, per reinterpretarli nella forma più consona alla saga. La struttura del gioco è un sapiente mix a metà strada tra Prince of Persia e Mark of the Ninja, e cito questi due titoli non a caso: il primo è la più chiara fonte di ispirazione di AC, il secondo è uno dei titoli a cui la saga di Ubisoft, così come ad altri stealth game, deve alcune intuizioni. L’operazione di Climax Studios, in questo senso, è essenziale: andare al nocciolo del concept della saga per tirarne fuori un titolo immediato, giocabile, fresco ma anche profondo, decisamente più tecnico del solito, ma comunque accessibile e riconoscibile per tutti i fan del Credo. Il risultato è esattamente a metà strada tra i due titoli citati e si rivela un’esperienza stealth accessibile ma mai banale, che non disdegna momenti d’azione e lascia abbastanza libero il giocatore per quanto riguarda lo stile di gioco, pur definendo in maniera rigida le regole di ingaggio dei nemici, basate su un complesso ed efficace equilibrio di elementi classici del genere: coni visivi, sentinelle dall’udito fine, sistemi di sicurezza di alta precisione come sonagli e uccelli (meraviglie tecnologiche del XVI secolo). La cosa che sorprende di più, però, è che il gioco non rinuncia a essere Assassin’s Creed: ci si arrampica, c’è il salto della fede, ci sono i punti di sincronizzazione e si può ignorare bellamente l’approccio stealth attaccando i nemici con tanto di contromossa (che no, non porta all’instant kill, per una volta!). Certo, fare il “rissoso” – così definisce il gioco lo stile ignorante – non è consigliabile per la natura stessa del personaggio e la dinamica del titolo, ma il sistema di punteggi lo considera, così come sono previste condizioni diverse per farci raggiungere “l’oro” in base al modo in cui si affronta ogni checkpoint. Banalmente, se per ottenere il massimo punteggio nello stile “ombra” c’è da danzare attorno ai nemici senza ucciderli né essere avvertiti, per essere un provetto “assassino” dobbiamo fare piazza pulita delle guardie imperiali senza far scattare allarmi, mentre per il “rissoso” di cui sopra, beh, possiamo fare baccano ma senza farci neanche un graffio. A ognuno il suo e il divertimento è assicurato in ogni caso. Merito di un sistema di gioco che si arricchisce di elementi a ogni livello e che sfrutta il primo playthrough per farci imparare a usare tutte le abilità, sviscerare la storia (non esattamente memorabile, ma amen) e goderci l’avventura, senza cali di ritmo o momenti statici, diluendo le situazioni critiche in maniera intelligente e piazzando ad arte tre sequenze in stile fuga contro il tempo per dare una sferzata d’azione al titolo. L’unica pecca, a mio modo di vedere, è data dagli assassini delle Tigri, la fazione controllata dai templari, che non costituiscono né delle boss battle né dei momenti complicati, quanto ordinari assassini, neanche troppo emozionanti. L’altra leggerezza in termini di game design è, forse, la presenza di pochi obiettivi secondari, benché qualche segreto possa essere colto qui e lì attraverso l’uso attento dell’occhio dell’aquila. In ogni caso, per i completisti ci sono i due playthorugh successivi, che permettono di mantenere i bonus acquisiti durante le partite precedenti e innalzano il livello della sfida, regalando ore supplementari di divertimento. Per inciso, nonostante odi pesare i giochi in base al tempo, devo ammettere che questo primo episodio di Chronicles mi ha sorpreso, richiedendomi 7-8 ore solo per completare al 100% l’avventura a livello normale.
Questioni di prospettiva
[quotedx]Il sistema di controllo si sviluppa attorno a una “porosità” assonometrica[/quotedx]A fronte di un gameplay solido e dell’ottimo stile grafico, ciò che rende davvero un ottimo lavoro l’episodio cinese è probabilmente l’uso intelligente di quella mezza dimensione fra la seconda e la terza. I tre piani prospettici paralleli che compongono i livelli sono fusi in modo egregio e contribuiscono in maniera attiva a creare diversivi e opportunità: emblematico è il momento, durante la quarta sequenza, in cui arrampicandoci su un torrione possiamo aggirare il cono visivo di un nemico spostandoci in tondo attorno a lui. Nel momento in cui giriamo l’angolo e l’intero mondo ruota per mostrarci la torre da un nuovo punto di vista è esaltazione pura, nonché un saggio di architettura: le piattaforme e i livelli del gioco sono parte integrante di esso e costituiscono il perno dell’intero sistema. Proprio intorno a questa “porosità” assonometrica è sviluppato il sistema di controllo, che pur partendo dal classico sistema contestuale della saga principale con l’inventario rapido nella croce direzionale, rinuncia al tasto azione delegando la possibilità di interazione con il paesaggio ai movimenti verticali della levetta sinistra, liberando un pulsante per un attacco supplementare, la parata e il salto, mentre ai dorsali, come in Mark of the Ninja, sono delegati corsa, scivolata e l’uso dei diversi gadget. Il tutto funziona in maniera intuiva e, a mio parere, anche meglio che nel titolo di Klei Entertainment, anche perché il movimento ovattato, sinuoso, in pieno stile “La Tigre e il Dragone”, di Shao Jun ha la velocità giusta per essere domato con estrema precisione, senza dare adito a momenti di frustrazione per colpa di sequenze “rotte”. In questo, il titolo è onesto: per quanto il sistema di checkpoint sia tollerante e venga in costante aiuto del giocatore salvando la partita in automatico spessissimo, laddove ci bloccassimo in qualche sequenza, beh, la colpa sarà nostra. Eppure, quando punisce, il titolo Climax lo fa in maniera gentile, delicata, quasi quanto le movenze di Shao Jun, e tutto torna a scorrere quasi in maniera zen. Assassin’s Creed Chronicles: China è un’esperienza stealth interessante, rigorosa il giusto e adatta a diversi palati, che riesce a innalzare la qualità degli spin off della serie e offrire una ventata di aria fresca all’IP di Ubisoft, dopo le controverse vicende di Unity e la non esaltante esperienza di Rogue. Che il futuro della saga passi anche per la Cina? Speriamo di sì, intanto godiamoci Chronicles, un ottimo prodotto, che forse per imporsi dovrà combattere anche contro (l’ingombrante) nome che porta, o forse no.