Onward Recensione: abiura magica come amnesia sociale

Onward

Non molto spesso ci capita di ricordare chi eravamo. Quali sogni e ambizioni, apparentemente puerili, abbiamo trasformato in cemento per costruirci la nostra nuova gabbia di comfort e regole? Sembrerà ridicolo lo so, e a volte sono decisamente troppo poetico, ma adoro ricercare le chiavi di lettura nascoste nelle opere moderne. Onward, l’ultima fatica di casa Pixar, non mi aveva particolarmente esaltato all’annuncio, ora per un background che appariva trito e ritrito, ora per dei protagonista non proprio intriganti. La poesia della multinazionale californiana non ha tuttavia perso il suo smalto e, dissipando i miei iniziali tentennamenti, ha letteralmente spalancato le porte di un universo sepolto sotto le epoche. Le fiabe sono morte, le avventure pure. Il mondo immaginifico è ora difatti ingabbiato in una posticcia modernità, talmente ottenebrante da far dimenticare le proprie origini agli abitanti. Una delle specialità italiane che caratterizzano l’uscita della pellicola è l’eccezionale partecipazione in sede di doppiaggio di Fabio Volo e Sabrina Ferilli. Non sono tuttavia che briciole se consideriamo che Onward lascia intravedere una profonda maturazione nel processo creativo che ha reso lo studio di animazione un marchio di qualità inscindibile. Prima di calarci nel vivo della recensione vi ricordiamo che il film uscirà nelle sale del nostro paese il 16 aprile 2020, la magia vi scorre ancora nelle vene?

Onward

Una maschera per una volta, una maschera per sempre

Il mondo magico è ora un cattivo ricordo, succube di un’asfissiante modernizzazione. Tutte le creature che popolano lo schermo in Onward sono difatti goffamente umanizzate e a stento ricordano chi fossero. Fate che non sanno volare, manticore che hanno smesso di combattere e centauri che non corrono più contro il vento: la bugia è ora l’incantesimo più ingombrante. In passato la landa onirica era brulicante di intrepidi esploratori e grida di orgogliosa epicità, ma non vi è alcuna traccia di quelle imprese. Eroismo annacquato nella quotidianità e negazione dell’essere sono le prime illusioni che mascherano la nuova realtà. L’abiura collettiva che contamina Onward è però non troppo antica. Gli elfi Ian e Barley sono il lascito di una generazione di avventurieri, tra cui il loro padre. Quando entrambi raggiungono i sedici anni d’età, ecco però l’eco delle gesta del loro genitore che irrompe nelle loro vite, innescando in loro una scintilla di speranza mai provata prima d’ora. Il regalo per la loro attesa è il testamento del defunto familiare, deceduto molto tempo prima, tanto che nessun dei due ne conserva dei ricordi. Questa eredità è però oltremodo inusuale, dato che si tratta di una vera e propria bacchetta magica, ma non è tutto. Lo strumento arcano, dulcis in fundo, ha nel suo involucro una formula speciale in grado di riportare in vita il padre per 24 ore, potrebbe esistere un dono più grande? Ian più di tutti non nasconde una drammatica insicurezza, vittima per la maggiore di una frustrante mancanza delle proprie radici. Barley d’altro canto è l’esatto opposto del fratello: un ragazzo robusto ed impavido, profondamente consapevole delle origini della realtà da dove proviene. L’improbabile duo non solo prova in un interminabile duetto scenico a completarsi, ma si mette in discussione in una serie di evoluzioni ed involuzioni che lasciano ampio respiro a una costruzione dei protagonisti ben bilanciata.

Onward

Vorrei un nome da stregone anch’io

Non tutto però va come sarebbe dovuto andare. L’incantesimo sprigionato dal bastone non riesce a portare in vita del tutto il padre, circa. Un miscuglio di incertezza e poca collaborazione ha riportato nel mondo terreno solo metà del genitore, letteralmente. Inizia così l’improbabile avventura di due fratelli diametralmente opposti, ma che condividono il sogno di ricercare sé stessi. Sebbene l’incipit sia scialbo e a tratti dal retrogusto del già visto, dopo pochi minuti il ritmo fa prendere all’opera una piega tutt’altro che prevedibile. Onward viene rapidamente contagiato dalla magia di casa Pixar, dissipando il grigiume di razionalità che aveva cambiato l’esistenza degli abitanti per sempre. Piccole missioni costellano un appassionante viaggio di formazione e maturazione dei due giovani adolescenti. La magia non è altro che lo specchio della nostra anima: un rimasuglio di genuina fanciullezza e spensieratezza che, con l’età e altri impedimenti, abbiamo soffocato. Laddove le animazioni e la struttura narrativa sono da lodare per eleganza visiva e dolcezza introspettiva, la rappresentazione dell’universo immaginifico non convince in toto. Pochi, pochissimi scorci di un quotidiano fiabesco che sarebbe stato incantevole esplorare e che avrebbero offerto un quadro generale più completo. La storia rimane difatti saldamente ancorata alle vicissitudini dei protagonisti, senza mai distogliere lo sguardo per un attimo dalla loro odissea: un’occasione sprecata se proprio vogliamo trovare un difetto. Nulla da dire sulle musiche, decisamente azzeccate per il contesto e ingolosite da una regia squisitamente avvincente e dal ritmo galvanizzante: vero e proprio tripudio celebrativo alle avventure targate Dungeons & Dragons (riferimento d’altronde piuttosto inquadrato).

Onward mi ha spiazzato. Ammetto che non mi aveva intrigato a primo impatto il tema di cui si faceva carico. L’universo immaginifico orchestrato da Pixar è un tripudio di magia grafica ed esilaranti elementi arcani, ma non è il solo asse portante. Nella società fiabesca vige un ingiustificato mutismo magico, che ha intorpidito e ottenebrato l’essenza dei singoli. L’opera ricerca e svela una serie di chiavi di lettura diverse e ben architettate, parlando al cuore dei ragazzi e a una realtà che è ormai schiava dei propri dettami. La regia è sicuramente, a braccetto con la sceneggiatura, la forza inestimabile della pellicola, capace non solo di intrattenere e folgorare lo spettatore con inaspettate riflessioni, ma anche di garantire un ritmo incalzante. Un po’ manca, e mi dispiace, la presenza di più figure portanti all’interno del lungometraggio che, in parte anche volutamente, non offrono al prodotto lo spessore che merita. Siamo ansiosi di attendere un degno seguito per osservare più da vicino gli echi di quel mondo perduto oltre la magia. La vera domanda ora è: a cosa hai rinunciato di te stesso per essere quel che sei ora? Usciti dalla sala è impossibile non porsi questo quesito.

Sebbene abbia un nome così letterario, sin dalla tenera età egli matura un interesse per il genere RPG e quello fantasy, al punto tale da sognare di farne parte. Avete presente quei bambini che emulano l’onda energetica? Ecco, il suo sogno è invece quello di entrare nella realtà virtuale per lanciare lui stesso magie ai suoi nemici! Se non gli piace qualcosa, attenti, vi farà assaggiare la potenza degli elementi!