La vita davanti a sé: Sophia Loren tra doloroso passato e roseo presente

La vita davanti a sé recensione

A più di dieci anni dalla sua ultima interpretazione in un lungometraggio, l’attrice premio Oscar Sophia Loren torna al cinema con il nuovo film La vita davanti a sé,  diretto da suo figlio Edoardo Ponti. La pellicola viene in realtà distribuita a partire da oggi, 13 novembre, sulla piattaforma Netflix, poiché l’uscita in sala è stata annullata in seguito alla chiusura a causa dell’emergenza Covid-19. Grazie allo streaming è però possibile fruire della nuova interpretazione dell’attrice di La ciociara, che dà qui vita ad un personaggio perfettamente coerente con quelli con cui la Loren si è resa celebre. La sua Madame Rosa è una donna complessa, segnata dalla vita, ma che non rinuncia per questo alla sua umanità.

Il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1975 dallo scrittore francese Romain Gary, all’interno del quale si ritrova Madame Rosa (Sophia Loren), una superstite dell’Olocausto ora impegnata nel prendere sotto la sua protezione alcuni bambini in difficoltà o figli di prostitute a lei amiche. L’ultimo arrivato è Momo, uno scontroso ragazzino proveniente dal Senegal che si era già imbattuto in Rosa dopo averle rubato alcuni oggetti. Il rapporto tra i due si dimostra dunque da subito particolarmente teso, anche per via dei rispettivi caratteri tendenti alla supremazia. Con il tempo, però, Rosa e Momo impareranno a volersi bene, a proteggersi l’un l’altro. Nel momento in cui Momo intraprenderà però strade pericolose, caratterizzate da vite allo sbando e problemi di droga, la loro tranquillità verrà messa in seria crisi.

La vita davanti a sé film

La paura dell’altro

Una storia come quella di La vita davanti a sé risulta più attuale oggi, in Italia, che non in Francia all’epoca in cui fu scritto il romanzo. In un paese che più di altri ha subito la problematica degli immigrati, quanto viene qui raccontato risulta particolarmente vivo e capace di dare spunti per una serie di riflessioni. Vi è infatti un’immagine in particolare, nel film, che sembra racchiudere il suo senso più profondo. In questa si osserva Madame Rosa assistere alla scena di una donna africana separata dal suo bambino dalle forze dell’ordine. Un’immagine che per Rosa, sopravvissuta all’orrore dei campi di concentramento non deve risultare nuova. E guardandola attraverso i suoi occhi, non risulta nuova neanche per noi spettatori.

Con un’immagine, il regista riesce a mettere in dialogo una tragedia contemporanea con una accaduta neanche un secolo fa. Attraverso questo rapporto si costruisce dunque un film che spinge a riflettere sulla ciclicità degli eventi storici, che si ripresentano in forme diverse, adattate ai nuovi contesti, ma contenenti sempre le stesse problematicità. Quello che poteva dunque essere un film lezioso, risulta invece essere un’interessante rilettura storica. Il fatto che questo avvenga attraverso lo sguardo di due personaggi tanto diversi permette certamente di poter ottenere ulteriori punti di vista, che arricchiscono il racconto.

Con una sceneggiatura scritta da Ponti insieme ad Ugo Chiti, autore tra gli altri film anche di Dogman, si costruisce così un racconto che individua nei suoi personaggi il proprio cuore. Madame Rosa e Momo, per non citare anche una serie di personaggi secondari, sono qui gli esempi viventi degli effetti della paura verso l’altro. Una paura di cui sono stati e sono ancora vittime indifese. Se un tempo ad essere visto con sospetto era l’appartenenza alla fede ebraica, ora lo è l’avere la pelle nera, il provenire da terre altre. Che sia un tatuaggio impresso in modo indelebile sulla pelle, o le cicatrici frutto di pestaggi, tali marchi sembrano definire i due personaggi principali, i quali però dimostrano agli altri e a sé stessi per primi di possedere molto altro. In questo altro ritrovano anche la vita, che non è alle spalle bensì davanti a sé.

La vita davanti a sé Sophia Loren

La responsabilità di chiamarsi Sophia Loren

Al netto di queste riflessioni, La vita davanti a sé appare dunque un film capace di dare un proprio contributo su tematiche oggi particolarmente sature di racconti, testimonianze e servizi di cronaca. Ciò avviene nonostante la pellicola non riesca a privarsi di una serie di cliché, anche e soprattutto nei dialoghi, che spezzano in parte l’incanto della visione. La fortuna del lungometraggio è quello di avere dalla sua parte un’attrice come la Loren, che regge sulle sue spalle il film catalizzando tutte le attenzioni su di sé e sul suo personaggio a seguire. Nel dar vita a Madame Rosa l’interprete dà nuovamente prova della sua capacità di rendere avvincenti e credibili i ruoli che attraversa, primeggiando in modo evidente su tutti gli altri, cosa che è anche l’unica remora che si può muovere nei suoi confronti.

Grazie al matrimonio tra la Loren e Netflix il film acquista così la possibilità di raggiungere un pubblico molto vasto sia per età che per collocazione geografica. E pur con i suoi non indifferenti difetti è un bene che un film italiano di questo tipo abbia un’opportunità del genere. Gli è così data la capacità di dimostrare che è ancora possibile avere spunti nuovi su tematiche tanto inflazionate. Ma in fin dei conti quella di La vita davanti a sé non è solo un storia sull’emarginazione, ma anche sulla famiglia e i modi imprevedibili in cui questa può manifestarsi e formarsi. Da questo punto di vista, pur limitato dagli stereotipi, il film riesce a condividere un emozione. Cosa questa che ogni buona storia, per definirsi tale, dovrebbe riuscire a fare.

 

Gianmaria è sempre stato un grande appassionato di cinema e scrittura, tanto da volerne fare la sua professione. Studiando queste materie all'Università decide di fondere le sue passioni nella critica cinematografica e nella scrittura di sceneggiature. Tra i suoi autori preferiti vi sono Spike Jonze, Noah Baumbach e Richard Linklater.