La Sirenetta Recensione: Meglio fuori dal mar

La Sirenetta

Per i Millenials, quelli che per definizione sono nati tra il 1980 e il 1996, il Classico animato “La Sirenetta” del 1989 è qualcosa di iconico e quasi intoccabile. Sono pochissimi quelli che diranno che La Sirenetta è un brutto film, non sia legato a qualcosa della loro infanzia e non porti alla memoria bei ricordi. È vero, non è certo un film per tutti, soprattutto non per quelle persone che poco sopportano le opere in cui, all’improvviso, i personaggi iniziano a raccontare le proprie emozioni cantando, ma questo non gli ha impedito di essere immagazzinato nella memoria collettiva come uno dei più belli tra i classici Disney. E questo spiega parte della paura e della diffidenza che ci hanno condotti a questo nuovo (ennesimo) adattamento live action di cui (noi Millenials) non sentivamo la mancanza. Perché una delle caratteristiche di questa generazione è proprio quella di relazionare tutto a se stessi, dimenticandosi che alcune scelte vengono spesso invece fatte pensato a quelli che oggi sono quello che eravamo noi negli Anni ’90, ma con linguaggi narrativi e preferenze completamente diverse. Tutto questo per dire cosa? Che va bene avere delle riserve sulla riproposizione di un film che ricordiamo come perfetto, ma meglio non dimenticarsi che forse non è stato creato per noi.

La Sirenetta: Cosa è cambiato

Quello di Rob Marshall è un adattamento abbastanza fedele dell’originale Disney, tanto che non staremo qui a discuterne la trama. Ci sono scene che riprendono in modo identico il film animato, rievocando emozioni dal passato. Ma, come ormai accade sempre più spesso, il regista ha sentito la necessità di approfondire alcuni aspetti, renderli più vicini alla mentalità odierna, e giocare anche un po’ con la fiaba, triste e senza tempo, scritta nel 1837 da Hans Christian Andersen. Ci si ritrova quindi con un senso molto più marcato di disagio e inadeguatezza, con quel desiderio di Ariel di far parte del mondo degli umani portato all’estremo, diventando emblema di una solitudine generazionale, in cui è impossibile farsi ascoltare dagli altri e seguire i propri desideri senza essere colpevolizzati per questo. Ariel diventa un’eroina moderna, non guidata solo da infatuazioni, ma da un sentirsi costantemente fuori posto, incompresa, in grado di vedere la sua vita in modo diverso rispetto a tutte le persone che la circondano. Poi, ovviamente, è un’adolescente e quindi diamo tutti per scontato che si lascerà sopraffare dal suo spirito di ribellione dando il via alla storia che tutti conosciamo, andando incontro al vero amore.

La Sirenetta

Attenti ai pregiudizi

Sembra che Rob Marshall sapesse già che questo film avrebbe dovuto attraversare molti problemi, tra cui quelli delle critiche dirette e feroci di chi, senza ancora aver visto il risultato finale, era pronto a dichiarare ovunque tutto il suo disprezzo in merito. È proprio sul concetto di pregiudizio, di come questo possa essere pericoloso e contagioso, che si basa tutta la struttura narrativa de La Sirenetta, analizzandolo sotto vari punti di vista, declinandolo emotivamente ma anche culturalmente: “Il tema centrale di questo film riguarda qualcosa di estremamente importante nel mondo di oggi, ovvero il modo in cui percepiamo altri popoli e altre culture e il fatto che esistano pregiudizi e preconcetti. La Sirenetta affronta tutto questo in modo davvero bellissimo, attraverso l’amore, la comprensione e l’unione tra culture diverse“. Sicuramente lo fa in modo esplicito, dando sì delle motivazioni narrative e sociali per le diverse etnie dei personaggi, non solo rispetto alla versione animata, ma non soffermandosi troppo su queste differenze e, anzi, abbracciandole ed esaltandole con contrasti cromatici e musicali. Sta allo spettatore riconoscere o meno la propria posizione, mentre il film ne analizza le varie conseguenze negli ambienti personali, emotivi, familiari e sociali, portando a una sola vera conclusione accettabile.

In fondo al mar

Ideologicamente La Sirenetta ci racconta lo scontro e poi l’incontro tra due mondi completamente diversi, divisi dalla superficie dell’acqua. “Ci sono due mondi diversi nella nostra storia: il mondo in superficie, che è il mondo reale, e il mondo sottomarino, un mondo magico in cui le sirene esistono davvero, i granchi cantano e gli uccelli marini come Scuttle parlano. Il mondo sottomarino è completamente digitale, mentre in superficie ogni cosa è costruita come in un classico film in costume“. L’idea di Rob Marshall è chiara… l’esecuzione però lascia un po’ interdetti. Se a livello narrativo le scelte seguite nella realizzazione di questo film possono essere facilmente comprese e anche, ammorbidendo i propri giudizi, accettate, sul piano tecnico si fa fatica a non accorgersi di quanto il mondo sottomarino de La Sirenetta sia estremamente posticcio e artificioso. L’enorme lavoro fatto sulle impostazioni coreografiche e scenografiche è indiscutibile, ma ogni cosa è filtrata da questa patina acquosa che rende tutto meno credibile, plasticoso, privo di espressioni ed emozioni. Rincorrendo il fotorealismo a tutti i costi, effettivamente indispensabile in un film di questo tipo, ci si ritrova davanti a composizioni di immagine a volte poco credibili, che annullano quella connessione di fiducia con lo spettatore. Non tutto è vittima di questo trattamento: su Ariel e Ursula, per esempio, sembra essere stato fatto un lavoro molto più attento rispetto a quello che vediamo su Tritone, le sue figlie, Sebastian e Flounder, con i quali si fa più fatica a non chiedersi come mai sembrino così finti. La situazione migliore quando ci si sposta sulla terra ferma e le interpretazioni di attori come Javier Bardem riescono finalmente a diventare forti e commoventi come ci si aspetta dalla situazione.

Sono passati alcuni giorni dalla visione di questo film eppure ammettiamo di fare ancora fatica a stabilire cosa pensiamo davvero di questo live action. Migliore di altri realizzati negli scorsi anni, certo, ma ben lontano da essere “il migliore”. Con tanti difetti, un doppiaggio altamente discutibile, in cui il lip sync delle parti cantate è stato totalmente ignorato favorendo una fedeltà delle parole ai testi originali (scelta apprezzabile, ma difficile non farsi infastidire dalla discrepanza tra movimenti delle labbra e suoni ascoltati) e una resa della computer grafica non proprio soddisfacente. Ma anche con il pregio di riuscire a essere una storia d’amore moderna, ormai sempre più distante dall’idea di classico colpo di fulmine e annullamento di se stessi per l’amore di un principe, concentrata più sull’accettazione di se stessi e degli altri e sulla costruzione di relazioni sane con chi ci vuole bene, comprensibile anche dalle nuove generazioni, a cui il film vuole ovviamente parlare. Per quei famosi Millenials di cui parlavamo all’inizio, alcune scelte saranno comunque difficili da digerire e nulla riuscirà a battere la stupenda coreografia e resa scenica dell’esibizione de In Fondo al Mar della versione animata, ma La Sirenetta riesce comunque a far provare delle emozioni, giocando bene con scelte fotografiche ed echi della colonna sonora. Non per tutta la durata del film, ma ha i suoi momenti di forza. Ovviamente al suo interno ci sono anche dei nuovi brani, creati dalla collaborazione tra Alan Menken e Lil-Manuel Miranda, forse non davvero così necessari e che dimenticheremo presto, didascalici e messi lì per spiegare e raccontare qualcosa che, nel film originale eravamo riusciti benissimo a capire da soli. Ma alla fine non ce la sentiamo di dire che il film non fa il suo lavoro: raccontare questa storia a un (in gran parte nuovo) pubblico che non riesce a empatizzare con la versione animata della storia di Ariel.

Voto: 6.5