Fanatici di Dark Souls, ci avete rotto!

Non so proprio come dirlo. Mi imbarazza anche un po’ ma… insomma, non se ne può davvero di più, di voi e di Dark Souls III! Non è che postare meme, video, e status deliranti ogni due secondi farà di voi dei giocatori migliori di chi si diverte con Skylanders. Fidatevi. Il fatto è che molti usano il brand di From Software come legittimazione del proprio status di hardcore gamer… e tutto ciò è parecchio infantile. Il problema di fondo è che non dovrebbe esistere un videogame in grado di elevare il proprio cultore ad un gradino di integrità superiore al resto dei videogiocatori. Questo è un concetto errato, che tradisce la stessa natura del gaming. Con Dark Souls si è arrivati a livelli paradossali. Sembra di essere alle elementari, quando tutti se lo misuravano col righello in mano! Qualcosa che succede solo con i Souls: Uncharted non è il titolo manifesto dell’hardcore gaming e come tale non viene sbandierato per legittimare la propria appartenenza a questa supposta élite di “intenditori”. Esprimere un parere entusiastico su Dark Souls ti definisce  in automaticocome “uno giusto”, “uno che gioca: forte”, “uno che ne capisce” e molti ragazzi e tantissimi ragazzini muoiono dalla voglia di passare per hardcore gamer.

Uno dei tanti problemi è legato ad una concezione distorta del coefficiente di sfida. Innanzitutto, la difficoltà non è necessariamente un valore aggiunto, specialmente quando dolosa o sfruttata per celare carenze narrative. A prescindere da tutto, essa non dovrebbe comunque essere circoscritta al solo format del muori/ripeti, perché questa non è che la via più becera per raggiungere l’obiettivo. Ai titoli “difficili” come i Souls-like io anteporrei in tal senso titoli complessi: progetti che trovino, ovvero, il proprio coefficiente di sfida in un gameplay ricco, magari poliedrico, profondo e innovativo. E, perché no, narrativamente stimolante. Credo si continui a fare una certa confusione in merito e il successo di Dark Souls viene costantemente alimentato dall’equivoco.

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Dark Souls non è un omaggio ai capolavori che furono, è un passo indietro inaccettabile che non tiene conto dell’evoluzione stilistica e tecnologica dei videogiochi.

Non finirò mai di dirlo: è un titolo concettualmente autistico e strutturalmente piatto, che vive di una sterile logica punitiva e non certo giusta, perché se la mortalità costante rappresenta un elemento cardine dell’esperienza è evidente che, in termini di gameplay, vi siano palesi forzature. Narrativamente sconclusionato, tecnicamente non certo all’avanguardia, propone un format idealmente vecchio di almeno 30 anni, lasciando puntualmente fuori dalla porta gran parte delle innovazioni maturate nel campo in tanti anni di sviluppo. Ne deriva un’esperienza sostanzialmente masturbatoria che, per quanto mi riguarda, non contribuisce certo all’evoluzione del medium stesso.

Per come la vedo io, la profondità concettuale di un gioco non dipende dal personalizzare all’infinito il proprio gameplay tramite la scelta dell’equipaggiamento e della distribuzione dei punti abilità. Questo per me è collezionismo ruolistico o, come detto in precedenza, autistica follia (fare sempre la stessa cosa in millemila modi diversi, sperando in un risultato diverso). Ho idea che un videogame moderno possa (debba?) sondare soluzioni un tantinello più complesse, propositive e brillanti… Altrimenti dall’Akalabeth del 1979 non ci saremmo poi mossi tanto. Io lo trovo deprimente. Nel 1982 o giù di lì eravamo chiamati a imparare i pattern a memoria per completare i giochi… quando si potevano completare. Ai tempi vi erano tuttavia immani limitazioni tecniche, concettuali e strutturali ed è proprio per questo motivo che conferiamo comunque un valore immenso a quei pionieristici esperimenti. Ma oggi mi sembra un po’ anacronistico, oltre che sterile. Se Dark Souls deve salvare il mondo dei videogame possiamo anche smettere oggi, perché non c’è nulla che esso proponga che non sia già stata fatta all’inizio degli anni ’80. Quando penso a titoli “benvenuti” che possono aiutare il mondo dei videogame a superare la fase di stallo penso più a The Witcher 3: Wild Hunt tanti altri progetti dal respiro concettuale più intrigante. Non metto in dubbio che si possa amarlo, non metto in dubbio che sia un capolavoro del crafting e di tutte queste pratiche fetish, dico solo che è uno degli ultimi esempi da tirare in ballo quando si parla di cosa si possa fare con un videogame nel 2016.

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The Witcher 3: Wild Hunt è il pinnacolo evoluzionistico del genere RPG videoludico. La narrazione sconclusionata e il gameplay di Dark Souls semplicemente non possono competere con il capolavoro firmato CD Projekt RED.

Non metto certo in discussione che il gioco possa piacere davvero o essere a suo modo avvincente, almeno per un certo di tipo di gamer. Né tanto meno metto in dubbio la genuinità della vostra passione per Dark Souls. Dico però che tutto questo hype isterico generale è francamente stucchevole; che il gioco presenta limiti concettuali palesi e che molti tendono a sventolarlo come una bandiera più per ciò che rappresenta a livello ideologico che per quello che offre effettivamente a livello di format. Sempre ricordandoci che non esiste una verità oggettiva: è sacrosanto che, almeno in ambito videoludico, ognuno si diverta come preferisce!

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