Crackdown 3 Recensione, c’è davvero vita dopo i ritardi?

Questione di aspettative, questione di pregiudizi. In un mondo, quello videoludico, dove non si contano i prodotti morti di hype, Crackdown 3 è destinato a seguire il processo inverso presentandosi sugli scaffali, al netto di diverse criticità legate principalmente al comparto multiplayer, come un prodotto rifinito, piacevole e carismatico. Non siamo, mai, dalle parti del capolavoro, sia chiaro. Eppure, la pioggia di rane, e non solo, caduta sul progetto nel corso dell’ultimo lustro ha disegnato attorno al gioco una percezione infelice, costernata da evidenti errori di comunicazione da una parte e di esasperato scetticismo dall’altra. Per questo, il voto in calce che, curiosoni, avete già sbirciato, rappresenta non solo il valore del gioco, ma anche un monito, valga per tutti, alla cautela e all’analisi. C’è stato un momento, evidentemente, in cui sparare SU Crackdown 3 era divertente, non lo neghiamo. Per quanto sparare IN Crackdown 3, in realtà, lo è molto di più.

Crackdown 3

Corsi e fuori corso storici

Crackdown 3 arriva in ritardo. E questo è un fatto. La serie, in pausa dal 2010 dopo un secondo e deludente capitolo, ha avuto sì un gestazione eufemisticamente difficile, ma il travaglio, terminata con soddisfazione la campagna in single player, noi ci giureremmo, potrebbe aver riguardato il solo comparto in multiplayer su cui, maledetto marketing, Microsoft ha parlato e straparlato in questi anni. Ci torneremo. Per ora, focalizziamo gli sforzi su una storia banale portata avanti da una narrazione essenziale eppure superflua. Dieci anni dopo gli eventi del secondo episodio, l’Agenzia deve vedersela con una nuova minaccia terroristica. La pista giusta è quella che porta alla città di New Providence dove il comandante Jaxon, interpretato dal “pacato” Terry Crews , è diretto insieme alla sua squadra di agenti speciali. In fase di avvicinamento, Jaxon è un fiume in piena. Si agita e sbraita nel tentativo di motivare i suoi “soldati” alla prossima battaglia e, pure, il videogiocatore, magari assonnato dopo tutti questi anni di annunci e slittamenti. Ci sarà, però, da aspettare un altro po’: prima ancora di approdare a New Providence, infatti, la navicella dell’Agenzia viene intercettata e avvolta da un fascio di luce verde che, in pochi secondi, uccide tutti. Dissolvenza. Nero. Fine.

Crackdown 3

Jaxon, o quel che ne resta, si risveglia in una vasca di rigenerazione. La pelle è bruciata, il corpo ridotto a mezzo busto e il cervello fuori uso. Per fortuna, i ribelli che si oppongono ai terroristi di Terra Nova hanno preservato il suo DNA, permettendo di clonare un nuovo corpo per un nuovo Jaxson che, “incazzato nero”, si mette a caccia dei 9 cattivoni di base a New Providence. Uno alla volta, fino allo scontro finale. Il sistema piramidale in cui sono incastrati i boss esplica, pure, la struttura di gioco. Ogni “capo” è legato ad un particolare “settore” e, quindi, a particolari missioni sparse sulla mappa di gioco. Prima di affrontarlo bisogna, insomma, individuarlo e indebolirne le risorse. Ora, al netto di una mappa più grande rispetto ai predecessori, andare a valutare Crackdown 3 come “open world” sarebbe, a nostro parere, un grave errore. New Providence, per quanto estesa, non è un “mondo” di gioco particolarmente stimolante, ricco e vivo. Piuttosto, si presenta come una sorta di HUB che raccoglie e mette in collegamento, pur sempre in tempo reale, micro e macrolivelli di gioco dove all’attività principale, ovvero sparare e far saltare in aria i nemici, si alternano sezioni di platform puro e di esplorazione legate all’ottenimento degli orb necessari per sviluppare le abilità del personaggio. Punto. Davvero, c’è poco altro. Perché poca roba, ad esempio, è il modello di guida di mezzi e vetture liberamente utilizzabili. Poca roba, pure, le “attività secondarie” sparse con parsimonia, anche concettuale, lungo la mappa. Da questo punto di vista, la concezione di Open World di Sumo Digital, posizionata in cabina di regia, è semplicemente vecchia e obsoleta. Esiste, però, un altro piano su cui vedere ed analizzare il gioco e i suoi spazi. Ed è il piano più alto.

Crackdown 3

Crackup

Qualunque sia la missione da affrontare, Crackdown 3 vi richiederà, prima o poi, di salire. Salire davvero. Per pochi metri, alle volte. Per centinaia di metri, altre ancora. Non si tratta di un semplice pretesto per farvi ammirare il panorama, ma di una precisa scelta degli sviluppatori che, come e più che nei predecessori, hanno trasformato ogni isolato di New Providence in una sorta di livello a sé stante dove ai nemici, presenti sempre in popolosa orda, si alternano piattaforme, salti, arrampicate e, più in generale, scrupoloso studio dell’ambiente circostante e precisione millimetrica nei controlli. La meccanica, ereditata nella filosofia dai due titoli precedenti, funziona. Funziona talmente bene che proprio a queste fasi “platform” sono legati i momenti migliori del gioco. Sia per il raggiungimento di una sfera posizionata, a tradimento, sotto un ponte sospeso nel mare, sia nella “scalata” di un grattacielo per raggiungere il boss di turno. Ecco, la parola magica, in questo caso, è level design. Ogni palazzo, ogni quartiere, ogni missione è legata a doppio filo al particolare “disegno” dell’area, impreziosito dal controllo fatto di salti, doppio salti, dash e capriole del nostro agente. Ed è curioso come, nascosta da esplosioni, piombo, detonazioni, raffiche e fiamme, ad emergere, alla lunga, sia proprio la raffinata struttura dei livelli, la cui manualità richiesta si mescola, bene, con gli automatismi esasperati dalle sezioni shooting. Da questo punto di vista, mantenere il puntamento del nemico legato all’aggancio automatico del bersaglio, con le ovvie variabili in dote all’arma scelta dal vasto arsenale, si conferma una scelta obbligata per far fronte  al caos che, in alcuni momenti, si materializza a schermo. L’aggancio automatico, fondamentalmente, aumenta la leggibilità della scena e ne “ritma” la progressione, rendendo difficile, sui titoli di coda, pensare ad un Crackdown con un sistema di controllo diverso da questo.

Crackdown 3

Falling Crackdown

Insomma, tutto bello. Tutto giusto? No, non esattamente. Crackdown 3 presenta, anche nella campagna, alcune criticità. Meglio, alcune “banalizzazioni” del gameplay. Qualcuna, è già stata citata. La guida è realmente poco ispirata sin dalle prime fasi di gioco, per diventare praticamente inutile una volta sbloccati i “chekpoint” sparsi per la mappa. Migliorabile, pure, la gestione della telecamera durante l’esplorazione. La gestione dell’obiettivo finge una libertà che, in realtà, non è sempre assoluta, rendendo difficile, in alcuni momenti, trovare “la giusta via”. Inoltre, i limiti del “finto” open world si fanno più evidenti una volta portata a termine la main story, quando la roba migliore, ovvero la ricerca dei boss, si è ormai conclusa. Persino la possibilità di cambiare agente, o meglio DNA, è poco sfruttata in termini ludici. Crackdown 3, inoltre, è destinato a far discutere anche sul fronte tecnico, presentandosi, in ambito Xbox One, come uno dei giochi che, più di altri – più di tutti? – mostra il divario esistente tra gli hardware di S ed X. Nonostante il gioco sia sempre lo stesso, l’impatto visivo è completamente differente. Su S, il toon shading tipico della saga contribuisce, più che3 a nascondere i difetti, ad esaltare i limiti della macchina, tra colori slavati, spigolature varie ed un’effettistica non sempre convincente. Al contrario, su Xbox One X, il motore di gioco, pur limitato ai 30 FPS, mostra i muscoli. Non si tratta solo di risoluzione, per altro in 4K nativo: semplicemente, tutto, dagli effetti particellari alla gestione delle luci passando per texture e shader, assume un altro valore ed un altro aspetto. Quel che non cambia, se mai, sono le animazioni. Poche, alcune bruttine. Altre, semplicemente, rotte. Alcune cose, in sintesi, sono semplicemente inaccettabili da vedere in un AAA del 2019. Come, ad esempio, il salto di frame durante l’ingresso in una vettura. O, appunto, i movimenti di alcuni nemici, legati ad una generazione che credevamo chiusa ormai da anni e che, invece, si riaffaccia pure nell’assenza di vere e proprie cut scene, lasciando ad artwork parzialmente animati il compito di raccontare, per quel poco che c’è, una storia tutto sommato poco ispirata.

Crackdown 3

Distruggi il cloud

Ecco, insomma, spiegato quel voto, per una critica che premia, volutamente, alcuni aspetti della campagna in single player. Una campagna divertente, lunga il “giusto” e, laddove giocata su hardware prestanti, persino bella da vedere. Crackdown 3, però, è anche multiplayer. E non si tratta di una sezione contestualizzata all’interno del gioco principale, quanto, piuttosto, di un gioco a sé stante, con tanto di launch separato. La Wrecking Zone ha rappresentato, in questi anni, il vero “motore”, tra alti e soprattutto basi, della campagna marketing legata al gioco, quasi che, appunto, il titolo fosse stato concepito come una sorta di “Cavallo di Troia” per sdoganare la nuova fisica basata sulla “potenza del cloud”. Ora, ci sarebbe piaciuto parlarvi in dettaglio di questo “miracolo tecnologico” con un’accurata disamina dei pro e dei contro. Purtroppo, la curiosa politica di Microsoft circa l’apertura dei server ai recensori, per due uniche sessioni di multiplayer da due ore a ridosso della scadenza dell’embargo, ci ha permesso solo di “annusare” vizi e virtù, per altro presunti, legate al multi. Ora, a prescindere dalle magagne  vere – come l’impossibilità, al lancio, di giocare in squadra con gli amici – e da quelle tutte da verificare – ovvero il paventato downgrade in tema di “distruttibilità” della mappa  – quello che preoccupa maggiormente è il pesante lag che ha funestato la breve prova. Un vero peccato perché, nonostante la latenza, il gioco è, meglio: sembra  essere davvero divertente, mantenendo il sistema di aggancio automatico del nemico per impreziosire eventuali duelli e, pure, concentrarsi su mappe, tre quelle disponibili al lancio, che davvero collassano su se stesse, superando in maniera innovativa  il concetto di copertura. Certo, lag a parte, l’offerta è, al momento, davvero povera. Solo tre aree, appunto, per sole due modalità. Cacciatore di agenti chiede ad ogni componente di una delle due squadre di uccidere e, pure, raccogliere il distintivo dell’avversario. Territori, invece, si concentra sulla contesa e sul controllo degli spazi. Tutto intorno, edifici e struttura che crollano, per uno stile grafico basato sulla “simulazione à la Tron” che a qualcuno potrà anche non piacere, ma che mette in mostra una pulizia visiva che, almeno su X, non ha praticamente eguali.

C’è davvero vita dopo i ritardi? Noi, francamente, pensiamo di sì. Nella consapevolezza di rischiare grosso, riteniamo Crackdown 3 un titolo degno di nota che, superate le prime ore, consente, vivendolo nel giusto mood, di divertirsi in maniera “caciarona”, magari solo spensierata. Colorato, limato, esagerato: il single player secondo Sumo Digital non mostra elevati valori produttivi, quanto, piuttosto, un modo intelligente, per quanto “classico”, di sfruttare il design verticale proprio della saga. D’altro canto, per valutare realmente le qualità, anche in termini di innovazione, di Zona di Demolizione, bisognerà aspettare davvero l’apertura definitiva dei server, oltre che conoscere le politiche post lancio di Microsoft. Sembra un paradosso, ce ne rendiamo conto. Dopo tanto tempo, tanti annunci e tanti ritardi, Crackdown 3, in un modo o in un altro, è destinato a far parlare di se ancora per un po’, con una presenza nel Game Pass sin dal Day One che sembra un inno alla libertà di pensiero: mai come questa volta, usate la vostra testa. O, quantomeno, il vostro pad.

Michele Iurlaro è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti e dei praticanti professionisti. Scrive molto. Scrive troppo. Da troppo tempo