Mortal Kombat 11 Recensione

Mortal Kombat 11

Mortal Kombat 11 sta a Mortal Kombat II come il cacio sta sui maccheroni. Niente corsa, combo limitate nel numero di colpi, ritmo comunque  frenetico e gameplay basato sulla tempistica, al netto di “finestre” ampie e generose. Mortal Kombat 11 è anche e soprattutto sangue. Tanto sangue. Più di sangue di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. E poi, un sacco di contenuti e, pure, le ampie possibilità offerte da una personalizzazione dei personaggi totale, che abbraccia tanto la loro cosmesi quanto il move set di ogni singolo lottatore. Tra Fatality, Brutality e le nuove Fatal Blowes, Mortal Kombat 11 è un grandguignolesco tributo alla violenza e al divertimento, per un comparto tecnico maestoso che spazza via a colpi di uppercut la più o meno agguerrita concorrenza.

Mortal Kombat 11: Hollywood

L’entusiasmo del paragrafo introduttivo non deve trarre in inganno. Mortal Kombat 11 non è per forza il miglior picchiaduro sul mercato, ma è probabilmente il miglior Mortal Kombat di sempre. Nessun dubbio anche per chi, per l’appunto, ha sempre posizionato il secondo capitolo della serie sulla vetta più alta di una qualsiasi “torre”. È da quel secondo, iconico episodio che l’opera ultima di NetherRealm Studios sembra aver tratto maggiore ispirazione, per un ritmo di gioco deliziosamente limato in una direzione ben precisa. Quella del divertimento, certo. Quella del carisma, pure, che sprizza da ogni aspetto di una produzione Tripla A imponente, dove gli aspetti single player non sono stati sacrificati, mai e poi mai, sull’altare del multiplayer, aspetto per altro che resta fuori da questa recensione a causa dell’apertura dei server rimandata al Day One.

Mortal Kombat 11

In altri casi, potete immaginarlo, avremmo rimandato pure noi il voto ad altri tempi o altri articoli. Questa volta, nonostante l’impossibilità di provare anche un solo match online, abbiamo deciso, invece, di cristallizzare sin da subito la critica con il numero a fondo pagina. Questo perché la carne sul fuoco è comunque tanta. Questo perché Mortal Kombat 11 sa intrattenere, divertire e stupire il giocatore solitario. Magari accompagnato sul divano da un amico. Proprio come un picchiaduro del 1994. E allora, si parta dallo Story Mode che, ricalcando la struttura narrativa e ludica già apprezzata con il reboot e con l’apprezzato X, ci racconta lo scontro tra Regni, di quella eterna lotta tra il bene e il male con in mezzo un’ampia scala di grigi. Quello che serve, ce lo ricorda più volte il nuovo personaggio Kronica, è infatti equilibrio tra fazioni. Un equilibrio rotto dal Dio del Tuono Raiden, corrotto e cieco a tal punto da torturare e decapitare Shinnok, il “cattivone” di X già sconfitto da Cassie Cage. È proprio la nuova indole da “giustiziere oscuro” di Raiden ad innescare gli eventi della nuova storia, scatenando l’intervento della Guardiana del Tempo e, quindi, una lunga serie di paradossi spaziali e temporali che, in estrema sintesi, porteranno sui Regni noti agli appassionati della serie le versioni “klassike” dei personaggi più noti. In buona sostanza, avremo un Johnny Cage guascone e arrogante, quello dei primi due MK, e quello già conosciuta in questi ultimi anni, più saggio e maturo. Avremo, pure, le versioni Revenant e umane di Liu Kang e Kung Lao, per toccare altri personaggi storici come Jax, Kano e, ovviamente, Sub Zero e Skorpion. Insomma, un melting pot affascinante già in partenza e poi ben narrato nelle circa 4 ore di gioco necessarie, in media, per portare a termini i 12 capitoli di una trama frizzante, che non fa nulla per nascondere livelli produttivi altissimi e inediti al i fuori degli studi di NetherRealm. A stupire è la qualità del soggetto, piuttosto che la sceneggiatura incalzante e i dialoghi doppiati, anche in italiano, da una squadra di professionisti, evidentemente più avvezza al cinema che ai videogiochi. Laddove altri picchiaduro, ma non solo, in questa generazione hanno mostrato il fianco ad una miseria contenutistica per quanto riguarda il comparto single player, Mortal Kombat 11 continua a rilanciare la sua personale sfida alle tendenze del mercato, coccolando una tipologia di utenza spesso bistrattata dalle strategie dei publisher.

Mortal Kombat 11

Insomma, meglio evitare di cadere nel tranello dello spoiler. Basti sapere, in questa sede, che nel corso dei 12 capitoli avremo la possibilità di controllare diversi personaggi del roster, con 4 incontri per fase inframmezzati, sempre e comunque, da cut scenes più o meno lunghe e, tutto sommato, sempre avvincenti. Non mancano, infatti, i colpi di scena. Non mancano, neppure, i richiami e le citazioni ad un passato e ad un universo che, dagli anni ’90 ad oggi, ha mantenuto intatto lo stile caciarone, un po’ cafone e chiaramente esagerato.

Mortal Kombat 11: Sangue

Contestualizziamo: quando elogiamo il comparto narrativo dello Story Mode di MK11, vogliamo chiaramente celebrare il trash tipico della produzione cinematografica degli anni ’90. Se, da quell’epoca, Street Fighter II ha saputo evolversi raffinando, step by step, il combat system e le animazioni, Mortal Kombat, la serie, ha rischiato di perdersi per strada nel tentativo, vano, di scimmiottare altri stili e altri sottogeneri. Aveva, insomma, perso la sua identità. L’ha ritrovata, a cavallo tra due generazioni hardware, non certo nella grafica digitalizzata delle origini, ormai improponibili, quanto nella ricerca di quei toni cupi mescolati alla cafonaggine più sfrenata. Il connubio, sulla carta irresistibile, trova proprio in 11 il suo naturale compimento. Vertice di un percorso ben preciso, che ha ridato alla saga un’identità ben precisa. Siccome, poi, non si vive di solo stile, ecco che pure il gameplay prosegue sulla strada della caratterizzazione alleggerendo, non è un paradosso, alcune sbavature rilevate dal reboot in poi. Come in attacco: sparisce la corsa che cede il suo posto ad un breve scatto. Sono state limitate le combo chilometriche, sacrificate sull’altare dell’accessibilità e, soprattutto, del bilanciamento. Spariscono, o quasi, le iconiche X-Ray Moves, retaggio da educande rispetto alle terribili ed inedite, anche per meccanica, Fatal Blowes. Ed ecco che, presi come siamo a percorrere il sentiero inverso da MK3 a MKII, quasi dimenticavamo di sottolineare la meraviglia estetica delle nuove “Arts”, non più legate al riempimento di una barra, quanto, piuttosto, alla perdita di ¾ di energia vitale. Sì, come Tekken 7. Anzi, meglio. Perché se la potenza visiva delle mosse, tutte diverse e tutte violente, non ha praticamente eguali, la sua implementazione nell’economia di gioco appare meno “sgaravata” rispetto alla concorrenza Namco da cui la tecnica ha palesemente tratto ispirazione. Poi, per carità, non si fa neanche in tempo ad abituarsi alla violenza delle Blowes, che già ci si ritrova, dopo aver metabolizzato il nuovo sistema di “parata Perfetta” e di contromosse, a fare i conti con le nuove Fatality e le Brutality, escluse dalla “Storia” per esigenze di sceneggiatura, ma presenti in ogni altro tipo di incontro legato alle altre modalità del corposo Single Player. Alle Torri Classiche, chiamate a svolgere il compito del fu Arcade Mode, si affiancano nuove variante da mescolare, sempre e comunque, con le ampie possibilità di personalizzazione offerte dall’apposita sezione. Tra Kripta e Multiplayer, ci scommettiamo, le possibilità offerte sono praticamente infinite. Purtroppo, l’apertura dei server a ridosso della scadenza dell’embargo, non ci ha permesso, non ancora, di acquisire abbastanza Kristalli e quindi di approfondire tutte le opportunità nella loro interezza. Allo stesso tempo, la sblocco di alcune varianti e, soprattutto, la possibilità di modificare non solo l’aspetto, ma anche il move set di ogni personaggio, apre ad uno scenario di soluzioni infinite chiamato, sin dalle prossime ore, al test dei match online. Allora, solo allora, sapremo se davvero MK 11 è, come sembra, un picchiaduro davvero bilanciato, oltre che estremamente divertente.

Mortal Kombat 11

Mortal Kombat 11: Buoni, Brutti e Kattivi

Cage, Liu Kang, Sub Zero e Skorpion. E ancora Kotal Kahn, Erron Black e Baraka, sino a Cetrion, Geras e Kollector. Impossibile scegliere a cuor leggere. Il roster base di 24 combattenti, tra vecchie conoscenze e new entry, è variegato e caratterizzato. Mortal Kombat 11 resta fedele alla saga, alternando stili di lotta e armi di ogni tipo e ogni foggia. Non si tratta di un gioco estremamente tecnico, o almeno non come i prodotti made in Japan, ma resta, comunque, un gioco lontano anni luce dal button mashing sfrenato. Giocare, per davvero, a Mortal Kombat 11 vuol dire memorizzare decine di combinazioni, ma anche di interpretare nella maniera più corretta i particolari “tempi” delle animazioni. Ad un input lag controllato e voluto, bisogna sommare le tipiche peculiarità della saga in fatto di salti e controlli. In questo senso, ad aiutare il team di sviluppo capitanato dal “solito” Ed Boon, concorre il motore grafico utilizzato. Lo stesso di Mortal Kombat X. O quasi. Piuttosto che lavorare sull’intima incarnazione dell’Unreal Engine, NetheRealm ha optato per una “customizzazione” piuttosto importante dell’UE3. Con risultati francamente stupefacenti. MK 11 è una gioia per gli occhi. Lo è quando esagera con il sangue e la violenza. Lo è, semplicemente, quando si concentra sulle animazioni facciali piuttosto che nei movimenti di ogni personaggio. Lo è, infine, quando mette in scena alcuni dei fondali più belli della serie, ancora parzialmente interattivi. Dove l’engine non poteva, è stato chiaramente il reparto artistico a mettere una pezza, nel tentativo, riuscito, di dare una mano di “kolore” ad una palette che, in X, sembrava un po’ troppo limitata.

Violento, divertente, accessibile. Eppure, mai banale. Mortal Kombat 11 è, semplicemente, il Mortal Kombat che i fan meritavano.  Una produzione a tratti sontuosa, che non trascura né il gameplay né, tanto meno, gli aspetti contenutistici. Aprendo alla personalizzazione quasi totale, MK 11 dovrà, sin dopo il lancio, dimostrare di essere pronto, in tema di infrastruttura e bilanciamento, a tutto quanto il multiplayer avrà da offrire. Ne riparleremo più avanti, integrando un testo che celebra una produzione occidentale, l’unica, capace ancora oggi di contrastare il Giappone su un terreno insidioso. Alla saga era davvero riuscito, almeno nella percezione, solo una volta, con Mortal Kombat II. Eh no, romanticoni: non può essere solo un caso.

Michele Iurlaro è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti e dei praticanti professionisti. Scrive molto. Scrive troppo. Da troppo tempo